Bernardo Valli, la Repubblica 26/8/2013, 26 agosto 2013
GERMANIA UN VOTO PER L’EUROPA
Tra neppure un mese, il 22 settembre, i tedeschi dovrebbero confermare lo stesso leader che da otto anni occupa il posto di maggior prestigio e potere nell’Unione europea. Potrebbero impedire un terzo mandato di Angela Merkel come cancelliere federale soltanto un imprevedibile terremoto psicologico, una rivolta silenziosa e misteriosa nelle menti degli elettori incerti, che sono tanti. Sette su dieci, stando alla tv pubblica ZDF, non escludono di cambiare idea prima di entrare nella cabina. Questa immagine di una Germania volatile, insensibile ai vecchi richiami della politica, distratta durante una campagna elettorale senza passione, stenta a convincerci. Essa esibisce un’espressione neutra, in apparenza dimessa, simile a quella di Angela Merkel, che con atteggiamenti contenuti, senza alzare la voce, guida la Germania con mano ferma, ma non di ferro.
Per questo, forse, il paese fiero e intimidito dalla propria forza, a tratti riluttante a esibirla o a esercitarla, un po’ svizzero si è soliti dire, si riconosce in lei. E sembra disposto a rieleggerla. Resta invece incerta la coalizione con la quale governerà.
Nella Germania federale non si vota direttamente per il capo dell’esecutivo, il quale è scelto da un parlamento di cui circa la metà dei deputati è eletta con lo scrutinio maggioritario (vince chi raccoglie più suffragi), e il resto con la proporzionale su liste stabilite dai partiti. Ma le prossime legislative appaiono più che nelle passate edizioni qualcosa di simile a un referendum sul cancelliere, equivalgono a un esame di Angela Merkel, a un voto su come ha gestito la grande crisi economica. E tuttavia la composizione del Bundestag determinerà quella del suo governo. Su questo sussiste una certa suspense.
Nella “Repubblica di Bonn”, la parte occidentale e democratica della Germania divisa della guerra fredda, perlomeno fino agli anni Settanta, c’era un bipolarismo perfetto. Due partiti si spartivano più del novanta per cento dei voti. Semplificando, da un lato i socialdemocratici (Spd) stavano con i sindacati; dall’altro i cristiano democratici (Cdu e l’alleata bavarese Csu) stavano col mondo degli affari e con la chiesa. La spaccatura era chiara. Nella “Repubblica di Berlino”, nella Germania riunificata, quattro anni fa, alle ultime elezioni, quasi un votante su due ha scelto i partiti minori. Nel frattempo l’Spd e la Cdu-Csu avevano perduto il cinquanta per cento degli iscritti.
Oggi i sondaggi attribuiscono alla coalizione guidata da Angela Merkel (cristiano democratici e liberali) il 45 per cento delle intenzioni di voto. Mentre i socialdemocratici navigano attorno a un mediocre 25. Se a questo quoziente virtuale si aggiungono il 13 dei Verdi e il 9 di Die Linke (la Sinistra) il rapporto di forze formalmente cambia. Nel suo insieme l’opposizione di sinistra supera la coalizione di Angela Merkel. Ma nella pratica non è cosi. Perché se i Verdi sono i naturali alleati dei socialdemocratici, lo sono già stati nel passato, quelli di Die Linke potranno essere potenziali alleati soltanto nel futuro, oggi sono ancora considerati, a torto a ragione, gli eredi della Germania comunista. Quindi al momento non troppo frequentabili. Col tempo la memoria si appanna. Esiste inoltre l’incognita di Alternativa democratica, il nuovo partito euroscettico del quale si pronostica un’ascesa certa, più del 3 per cento aggiudicatogli oggi, che sarebbe insufficiente per entrare al Bundestag.
I risultati potrebbero offrire alla cancelliera diverse combinazioni. Una nuova edizione con i liberali, se questi superassero l’emorragia di consensi e riuscissero a ottenere sul serio più del 5 per cento necessario per entrare in parlamento. Anche se Peer Steinbrüke, il candidato della Spd, e la stessa Angela Merkel adesso non la tengono in considerazione, non è escluso che si arrivi a una nuova grande coalizione, come è già accaduto più volte nel passato. Se nel clima della campagna elettorale socialdemocratici e cristiano democratici cercano di affermare le loro diversità, una recente indagine ha rivelato che sette tedeschi su dieci stentano a trovare la differenza tra gli uni e gli altri. Perché dunque non dovrebbero governare insieme?
Il fatto che il candidato socialdemocratico sia stato il ministro delle finanze di Angela Merkel durante la grande coalizione del 2005-2009, e negli ultimi tre anni abbia approvato la sua politica europea, sollecita la visione scettica di molti elettori. In particolare di quelli di sinistra. La presenza di Gerhard Schröder ai comizi di Peer Steinbrück ricorda inoltre che fu proprio lui, l’ex cancelliere socialdemocratico, a promuovere la famosa “agenda 2010”, un insieme di riforme non proprio favorevoli alle classi popolari e destinate a rendere più flessibili i rapporti di lavoro.
L’agenda 2010 ha contribuito alla tenuta della Germania nella crisi economica, quando Angela Merkel era alla cancelleria. Oggi il tenace Gerhard Schröder, diventato un milionario dirigente del gigante russo Gazprom, viene in aiuto a Peer Steinbrück, il quale è però costretto a correggere alcuni effetti dell’agenda 2010 e a proporre l’aumento del salario minimo legale, a 8,50 euro all’ora. Le riforme di Schröder furono utili, ma molte devono essere riviste. Non è facile per il volenteroso Steinbrück trattenere i voti che slittano verso Die Linke, o che sono destinati ad Angela Merkel, abile nel recuperare il discorso socialdemocratico. Quando un’idea le va a genio, lei se ne appropria, senza badare da dove viene.
Il lento, incerto attenuarsi della crisi in alcuni paesi dell’Unione, rafforza la posizione di Angela Merkel, rivelatasi più europeista di quel che lasciasse pensare la sua storia personale, cominciata lontano dagli ideali all’origine della costruzione europea. I suoi otto anni alla cancelleria hanno coinciso con la crisi economica e lei, destreggiandosi tra gli umori spesso collerici dei suoi connazionali, ha in definitiva contribuito in modo determinante a non compromettere il processo di integrazione. Se il risultato del voto sarà quello pronosticato, la Germania continuerà a essere quella che è, oscillante tra presunzione e riserbo. Ma europea. Come la Merkel, appunto, senza slanci, e tuttavia convinta sulla necessità di esserlo.