Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  agosto 26 Lunedì calendario

L’INTROVABILE MATERIA OSCURA

La misura esatta del momento in cui è nato l’Universo ci arrivava nel marzo scorso dal satellite astronomico Planck dell’agenzia spaziale europea Esa stabilendo che era avvenuta 13,82 miliardi di anni fa. Allora, un potente Big Bang, un grande scoppio, dava origine al tutto. Lo strano nome era già stato scelto e pronunciato durante una trasmissione radiofonica dal grande astrofisico e scrittore di fantascienza Fred Hoyle per screditare l’idea in cui egli non credeva. La nuova data di Planck ci invecchiava di 50 milioni di anni rispetto ai dati precedenti, ma questo non impressionava granché. Ciò che interessa di più è scoprire che cosa sia accaduto in quelle epoche che hanno poi condizionato inesorabilmente l’evoluzione cosmica successiva. E qui le cose si fanno più difficili perché gli strumenti di indagine hanno limiti per ora invalicabili nella ricostruzione dei primi remoti passi. Sempre Planck ci ha mostrato la mappa dell’universo quando aveva appena 380 mila anni; la più dettagliata mai tracciata. È una sorta di immagine «archeologica» che rivela le prime concentrazioni di energia, le impronte fossili dalle quali si sarebbero formate le galassie circa 2-300 milioni di anni più tardi. La temperatura di quell’orizzonte formato da una zuppa di protoni, elettroni e fotoni, era incandescente: intorno a 2.700 gradi centigradi.
Oltre questo fotogramma non si riesce ad andare. Ma per superare l’ostacolo e decifrare i primi momenti gli scienziati hanno ideato un modo diverso. Riproducono in laboratorio le energie allora in gioco scontrando fra loro particelle nucleari. È quello che accade al Cern di Ginevra frantumando fra loro nuvole di protoni con il Large Hadron Collider Lhc, il più potente acceleratore di particelle finora costruito. «In questo modo riusciamo a riprodurre la natura del mondo primordiale» spiega Fabiola Gianotti alla guida dell’esperimento Atlas, uno dei due (l’altro è Cms) con i quali è stato scoperto il bosone di Higgs, la famosa particella di Dio. «Abbiamo visto che il bosone esisteva un centesimo di miliardesimo di secondo dopo il Big Bang — racconta la scienziata — e questo ci ha spiegato come le altre particelle avevano ed hanno una massa».
Ma i ricercatori districandosi nei primi frammenti di secondo delle origini non sono riusciti invece a trovare altre particelle che immaginavano esistessero. Sono le particelle supersimmetriche come, ad esempio, il neutralino formato da un fotino, da uno zino e da due higgsini, tutti con caratteristiche un po’ diverse dalle particelle originarie quali il fotone di luce, il bosone Z, e il bosone di Higgs. Il neutralino potrebbe fornire la prova finora inutilmente cercata della materia oscura scaturita dal Big Bang.
«All’energia di 7 Tev alla quale ha funzionato l’acceleratore il neutralino non lo abbiamo scovato — nota Fabiola Gianotti — ma questo non vuol dire che non esista. Potrebbe esserci ad un’energia più elevata ed è quello che cercheremo di appurare quando l’acceleratore raddoppierà la sua potenza. Può anche darsi che si trovi pure ad energie elevatissime che mai saremo in grado di raggiungere. Lo vedremo».
Il dopo Big Bang come lo avevano immaginato i fisici ha dunque bisogno di altre indagini e forse di qualche ridisegno. Per ora la supersimmetria non c’è.
In compenso, proprio la scoperta del bosone di Higgs ha rafforzato uno degli elementi, dei passi più importanti compiuti dall’Universo nella sua convulsa nascita. Dopo il Big Bang in una frazione di secondo sarebbe avvenuta, secondo una teoria avanzata agli inizi degli anni Novanta dai fisici Alan Guth e Alexei Starobinski, una rapidissima espansione capace di raffreddare e stabilizzare il nascente mondo. «Il protagonista di questo fenomeno, forse l’elemento scatenante, sarebbe appunto il bosone di Higgs», dice Fabiola Gianotti.
Intanto si discute sul nuovo identikit dell’Universo fornito dal satellite Planck il quale ha misurato più materia oscura e meno energia oscura del previsto.
«Ciò vuol dire — spiega Reno Mandolesi, dell’Istituto nazionale di astrofisica e responsabile delle ricerche — che la velocità di espansione dell’universo innescata dopo il Big Bang è meno accelerata di quanto si ritenesse. Perché essendoci meno energia oscura l’universo è più lento e l’effetto attrattore che gli imprime velocità è dunque più ridotto».
Giovanni Caprara