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 2013  agosto 24 Sabato calendario

A SCUOLA DI MARE SULLA NAVE PIÙ BELLA D’ITALIA


I grattacieli della City sono pareti di vetro verde che formano una sorta di strano canyon attorno al bacino dei West India Docks. Vi si specchia una giornata insolitamente soleggiata, poche nuvole e il cielo azzurro. Il vetro dei palazzi riflette la forma slanciata ed elegante di un veliero d’altri tempi. Questa mattina i nasi dei «commuter» che ogni giorno arrivano a Londra per lavoro si alzano meravigliati per osservarne lo scafo, l’alberatura e l’intricato disegno delle sartie; la nave scuola Amerigo Vespucci li domina dall’alto. È una visione magica e sorprendente, il massimo della modernità che si fonde con la storia della navigazione. Molti si fermano qualche secondo a guardare, altri scattano foto.

La campagna d’istruzione
Ogni anno la più bella nave scuola della Marina Militare compie una crociera di diversi mesi come ambasciatrice dell’arte, della cultura e dell’ingegno italiani. Durante questi lunghi viaggi si svolge anche la campagna d’istruzione per gli allievi del primo corso dell’Accademia Navale.
Oltre all’equipaggio, sono imbarcati un centinaio di cadetti che su questa nave impareranno a conoscere il mare, a navigare a vela e si avvicineranno di qualche miglio nautico alla futura carriera di ufficiali di marina. Vengono da tutta Italia, soprattutto dal Sud e dalle città di mare, ma qualcuno anche da Torino, da Desenzano e perfino da Belluno.
Quest’anno l’Amerigo Vespucci è salpata dal porto di Livorno, ha fatto scalo a Barcellona, ha passato lo stretto di Gibilterra (e qui tutti coloro che lo attraversano per la prima volta subiscono a bordo una sorta di battesimo), e ha visitato La Coruña all’estremo Nord della Galizia, Spagna. Londra è stata la tappa successiva. E ora la traversata del Mare del Nord lo porterà ad Amburgo.
Sul ponte di teak l’attività non si ferma mai. Come dice il comandante, il capitano di vascello Curzio Pacifici, la nave è a tutti gli effetti territorio italiano, quindi il suo aspetto deve in ogni momento essere in ordine. Le attrezzature sono lucide come specchi, il legno viene costantemente ramazzato. Ogni movimento compiuto dall’equipaggio ha il sapore di un gesto antico. Sottocoperta, i corridoi e gli ambienti in legno scuro conservano i trofei, le foto e i cimeli di questa lunga avventura. Tra gli altri, la fiamma olimpica che la Vespucci trasportò da Olimpia e Siracusa per le Olimpiadi di Roma.

L’aria frizzante della partenza
Il giorno della partenza l’aria è frizzante. La tensione si percepisce dai volti degli ufficiali e dei sottufficiali ai quali competono le manovre di disormeggio. La notizia si è sparsa, sul molo i londinesi si stanno raccogliendo per veder partire la regina della Marina italiana. Sono arrivati anche i rimorchiatori che accompagneranno il veliero nel difficile balletto che lo porterà nelle acque del Tamigi. Il cielo è grigio, la mattina presto è piovuto, sprazzi di sole si fanno strada tra le nubi per salutare la partenza.
A bordo un ospite d’eccezione, l’ambasciatore italiano a Londra. L’aria si riempie degli ordini urlati dai sottufficiali, dei lamenti striduli modulati dai fischietti. Il bompresso che ruota lento sull’acqua sembra sfiorare le pareti dei grattacieli. Tutto si muove al rallentatore, perfetto come il meccanismo di un orologio. La scena ha qualcosa di memorabile, l’antico che si muove lento in mezzo al massimo possibile del moderno. Dopo una sosta di poco più di un’ora all’interno della chiusa, la grande nave entra infine nel fiume. Lo spettacolo mozza il fiato. Davanti alla prua sfila l’enorme bolla schiacciata del Millennium Dome con le sue dodici torri di sostegno gialle, poi le sponde del fiume riempiono la visuale. Al passaggio della Vespucci, le altre imbarcazioni suonano le sirene tre volte in segno di saluto.
Il primo ostacolo è la Thames Barrier, il futuristico impianto che regola l’afflusso della marea. Il veliero deve passare esattamente al centro dove il pescaggio di oltre sette metri non costituisce un problema. La città lascia il posto a una periferia di cantieri navali, basse colline alberate e piccoli centri abitati. Nella brezza già salmastra, il Queen Elizabeth Bridge appare improvviso, è un nastro verde sorretto da due piloni sottili. L’albero di maestra passa di misura sotto i sessantacinque metri di altezza della campata, poi la strada verso l’estuario è aperta.

Verso il mare aperto
A Gravesend scende l’ambasciatore e sale l’ultimo pilota, quello che porterà la nave verso il mare aperto. Quando i nocchieri salgono sui pennoni dell’albero di trinchetto per aprire le vele, la luce del sole basso sull’orizzonte è arancione. I nocchieri, gli uomini dell’equipaggio addetti alla manovre sul ponte di coperta, si muovono sicuri arrampicandosi sulle sartie e si dispongono lungo i pennoni per liberare le vele.
Parte dell’equipaggio e diversi cadetti sono donne. Il lavoro è lo stesso per tutti, senza distinzioni, la sola differenza è che le donne dormono in un ambiente separato. Ma in alto sui pennoni ci vanno anche loro. Quasi non si distinguono dai colleghi maschi, indossano le stesse tute da lavoro, la stessa attrezzatura. Solo l’uniforme di gala, elegantissima, è più femminile.
L’Amerigo Vespucci lascerà l’estuario per il mare aperto di notte. È ora di cena, l’altoparlante avvisa che è pronto il primo turno di mensa per coloro che entro breve monteranno di guardia. L’equipaggio è composto da quattordici ufficiali, settantadue sottufficiali e centonovanta sottocapi e comuni. Poi ci sono un centinaio di cadetti e questo portail totale a oltre quattrocento anime affamate. Le cucine di bordo non sono quelle di un transatlantico, ma i cuochi riescono a preparare millecinquecento pasti al giorno, comprese le colazioni della mattina e diverse teglie di pizza che vengono sfornate a mezzanotte.
La cena nel quadrato ufficiali è più o meno formale a seconda che vi partecipi il comandante. L’atmosfera è rilassata, si parla della giornata, di ciò che avverrà in futuro, si scherza. Nei periodi di navigazione, è tradizione che il comandante inviti ogni sera a cena un piccolo gruppo di cadetti. Questo avviene nella Sala Consiglio, che fa parte dell’alloggio di comando. Come un padre severo ma bonario, il comandante chiede da dove vengono e nel corso di un «dinner» molto serio ascolta le loro storie.
Intanto, a poppa sul cassero, l’ammainabandiera chiude la serata. In genere è una cerimonia contenuta, quasi in sordina, ma la domenica, in navigazione, diventa solenne. Davanti a tutto l’equipaggio schierato sull’attenti, viene letta ad alta voce la motivazione di una medaglia d’oro. Il cappellano di bordo recita dunque la preghiera del marinaio, poi la bandiera viene ammainata. È solo un attimo, perché in navigazione deve rimanere a posto. Ed è lì che torna lento il tricolore, sventolando contro il blu della sera, al suono quasi nostalgico del fischietto del nostromo.
La notte a bordo è illuminata da lampade rosse. La vita che vi si svolge sembra sospesa in un sogno. Sull’orizzonte scuro del Mare del Nord brillano luci lontane: navi, piattaforme per l’estrazione del gas, un aereo che passa alto nel buio. L’oscurità è viva, si muove, il lavoro della guardia notturna è scandito dai rintocchi della campana che suona le mezze ore. Il presente sembra lontano, si vive nel passato. All’epoca dei grandi velieri.
Il sole rompe l’incanto, la vita riprende frenetica. Si sale «a riva», come si dice quando i nocchieri si arrampicano sulle sartie per andare ad aprire le vele, si pulisce, si lucida e si impara. I cadetti studiano nella sala carteggio facendo il punto nave in parallelo con la plancia di comando. Altri si addestrano all’uso del sestante e alla navigazione astronomica. Risuonano gli ordini e l’aria si riempie di fischi. Poco dopo l’unico rumore è quello del vento che gonfia le vele.

Al largo dell’Olanda
Incrociando al largo dell’Olanda i telefoni prendono la linea per qualche ora. È un piccolo evento, si può chiamare casa, parlare con la fidanzata, dare notizie. Poi di nuovo il mare aperto. Ma l’estuario del fiume Elba si sta avvicinando: all’arrivo ad Amburgo tutto deve tornare lucido e pulito per accogliere le autorità e i visitatori. Il teak del ponte, le manovre d’ottone, i legni e i metalli vanno lucidati e protetti per il resto della navigazione. I trentaquattro chilometri di cordame in fibra naturale che ora giacciono disordinati sul ponte vanno ricomposti e ordinati.
La sera del terzo giorno di navigazione, dopo aver sceso il corso dell’Elba, il Vespucci si mette alla fonda a quindici miglia nautiche da Amburgo. L’ancora di quattro tonnellate viene liberata e piomba nell’acqua sollevando uno spruzzo che supera la murata. L’enorme catena che si trascina dietro a velocità folle dà l’idea delle forze mostruose che muovono questo vascello. Una disattenzione può avere conseguenze pesanti, ma la sicurezza a bordo è una priorità per tutti. È importante che nessuno si faccia male, che le regole vengano rispettate e che tutto funzioni nel migliore dei modi.
L’ultima sera alla fonda è accompagnata da un tramonto che disintegra i nuvoloni neri che hanno accompagnato la giornata. Attorno al veliero, piccoli cargo e grandi portacontainer dondolano sull’acqua come intimiditi dalla sua presenza maestosa. Il pilota che porterà la nave alla banchina è già a bordo. Domattina alle cinque si entra in porto. Ci saranno la fanfara, le autorità portuali e decine di curiosi che vorranno vedere l’Amerigo Vespucci.

Le promesse di Amburgo
L’equipaggio già pregusta la franchigia. Il quartiere di Sankt Pauli li aspetta, pieno di promesse. Prima della ritirata, sul ponte inferiore dove i cadetti dormono su amache sospese, Amburgo è stata raccontata nei minimi particolari. La presentazione per l’equipaggio è organizzata dai cadetti, una consuetudine ogni volta che la nave visita un porto.
Lo sciabordio del mare e un lento dondolio cullano il grande scafo in una sera già nordica che costringe a indossare una giacca a vento. La terra è vicina, pare di poterla toccare allungando una mano. Si vedono le luci e se ne intuisce il profilo. Nel buio la regina aspetta il giorno, attorno tutto e silenzio.