Marco Palombi, il Fatto Quotidiano 25/8/2013, 25 agosto 2013
NENCINI, IL DERVISCIO ROTANTE DI SILVIO
Riccardo Nencini ha un record. È probabilmente l’unico appartenente al Partito socialista – nelle sue varie forme – a cui negli anni della diaspora non è mai mancata una poltrona: d’altronde è il nipote di Gastone Nencini, il “Leone del Mugello”, grande ciclista capace di vincere un Giro e un Tour nonostante una passionaccia per vino e sigarette. Deve aver appreso da lui, s’intende, l’aurea capacità alla fatica silenziosa, ingrata e pure il talento nel piazzare il colpo di reni sul traguardo arrivando, nel suo caso, a sedersi prima degli altri.
CLASSE 1959, debutta da consigliere comunale a Firenze nel 1990, nel 1992 diventa pure deputato e – sia detto a suo merito – rinuncia al doppio stipendio. Nel 1994, quando il Psi è ormai a un passo dall’oblio, strappa una poltrona a Strasburgo che però ora rischia di costargli cara assai: a giugno, infatti, la Corte di Giustizia europea ha deciso che il nostro deve restituire al-l’Europarlamento la bellezza di 456 mila euro per spese di viaggio e di segreteria indebitamente percepite fino al 1999 e contestate dall’Olaf, l’ufficio antifrode dell’Ue. Lui ha annunciato ricorso non si sa bene a chi, ma è difficile che gli vada bene. Brutta storia, ma comunque il buon Nencini in questi anni non è stato un attimo fermo: dal 2000 al marzo 2010 è stato presidente del Consiglio regionale toscano (con annesse poltrone in varie assemblee italiane ed europee), poi è stato assessore al Bilancio ed ora è senatore, eletto nelle liste del Pd - con altri sei fortunati socialisti - ma iscritto al gruppo delle Autonomie coi sudtirolesi.
In questo lasso di tempo il nostro ha fatto in tempo a rifondare il Psi, a divenirne il segretario e a fare un simpatico scherzetto a quelli di Sinistra e Libertà con cui s’era affratellato per un po’: nel luglio 2009, infatti, firmò un patto segreto col Pd che gli garantiva un posto da assessore in Toscana se avesse rinunciato a correre alle primarie, a presentare il simbolo e ad appoggiare una legge elettorale regionale che stabilisse una soglia di sbarramento al 4%. Niente di male, se non fosse che si dimenticò di dirlo ai suoi alleati e che nel frattempo tuonava pure contro la nuova legge elettorale per le europee che aveva una soglia di sbarramento che uccideva i piccoli partiti. Al 4%. Niente di nuovo sotto il sole: come disse lui stesso, presentando il suo romanzo storico L’imperfetto assoluto, “il bene e il male convivono sempre mescolandosi e confinando”.
È COSÌ. E Nencini ha introiettato questa bipolarità esprimendola senza problemi in politica. Il 2 agosto, per dire, postava sul suo profilo Facebook parole di pietra: “La legge è chiara. In caso di elezioni, B. non potrà candidarsi. La legge è chiara. Il Senato non potrà che votare la decadenza di B”. Poi allo Yin successe lo Yang e qualche giorno dopo i socialisti, invece di votare la decadenza, propendono per “consigliare a un leader condannato di farsi da parte”. Il problema è che ormai l’alternarsi di Yin e Yang è diventato rapidissimo, capita addirittura che si succedano nella stessaintervista. Sarà lo stress, ma Nencini ormai è come un derviscio rotante. La legge Severino? “Ci sono molti interrogativi. Uno su tutti: se sia possibile o meno un ricorso alla Consulta”, ha spiegato ad almeno tre quotidiani. Per poi ripensarci dieci righe più in là: “L’articolo 66 della Costituzione è chiaro: è la Camera di appartenenza che deve esprimere un giudizio”. Essendo un temperamento artistico, per di più, Nencini ha persino trovato il modo di dare un nome e una personalità alla notte e al giorno che si succedono nella sua anima: li chiama Biancofiore e Casson. Sono la destra e la sinistra. Non vorrebbe essere nessuno dei due, Nencini, ma finisce per esserli entrambi.