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 2013  agosto 25 Domenica calendario

SE VERDI È UN LOGO SENZA ISTRUZIONI

Come succede che un grande narratore popolare sia trasformato dalla tv in un fenomeno élitaristico e kitsch ? Giovedì, in seconda serata su RaiUno, è andata in onda la ripresa dell’evento musicale svoltosi il 20 luglio a Roncole di Busseto davanti alla casa di Verdi, nel quadro delle celebrazioni per il bicentenario. Ma che ha visto realmente uno spettatore medio e non necessariamente melomane? All’inizio da una suggestiva casa ottocentesca è uscito un coro che cantava una melodia triste di cui si capivano solo le parole «Patria oppressa», mentre una scritta segnalava «Macbeth atto quarto». Poi la scritta è diventata Trovatore e una soprano dal seno abbondante e dalla gestualità stereotipa si è dichiarata pronta, «d’amor sull’ali rosee», a salvare l’uomo amato. Poi Rigoletto si è tormentato perché un vecchio lo aveva colpito con una maledizione, poi ha parlato con un ceffo dotato di pugnale, poi ha avuto un colloquio amorosissimo con la figlia. A quel punto la Traviata si è mostrata combattuta tra parole d’amore e voglia di divertirsi, ma mentre ancora gridava «follie!» c’è stata l’irruzione di Rigoletto con in braccio la figlia sanguinante; poi è tornata la signora del Trovatore e si capiva che anche lei stava morendo; per non essere da meno la Traviata si è messa a morire anche lei e tutte e tre le ragazze sono andate a morire ai piedi della statua di Verdi in cortile. A quel punto la telecamera ha mostrato il pubblico che applaudiva sulle gradinate e per finire con una nota positiva il coro ha intonato il Va pensiero . Primo piano sulla luna piena e fine.

Autrice di questo pasticcio registico Cristina Mazzavillani, la moglie di Muti: il quale Muti aveva fatto una breve imbarazzata introduzione parlando di Verdi ribelle, sprezzatore di cariche politiche e convinto in vecchiaia che «tutto nel mondo è burla». Il titolo acchiappa-citrulli ( Echi notturni di incanti verdiani ) è forse invece un’invenzione Rai. Non che tutto fosse da buttare, naturalmente: l’impegno produttivo era notevole, le luci molto ben fatte e anche un profano poteva capire che quel Verdi è assolutamente un genio nell’esprimere in musica sentimenti primari. Sempre meglio che l’ennesimo poliziesco o l’abbronzatura irosa dell’onorevole Ravetto. Ma che ci voleva a dotare il canto di sottotitoli, permettendo a tutti almeno di seguire le parole? Se l’idea era di prendere le eroine della trilogia romantica e delegare a loro l’omaggio, perché non farne almeno i nomi, Leonora Gilda Violetta? Spiegare in un cartello, come si faceva coi film muti, almeno chi fossero il Manrico e l’Alfredo che si sentivano cantare fuori scena ? Un centone come quello messo su aveva senso soltanto per chi le opere le conoscesse già a memoria; la forza di Verdi è la sua immediata teatralità, ma se non si capisce chi parla e cosa dice bisogna ammirarlo sulla fiducia. Verdi diventa un logo, un marchio, un bene senza istruzioni per l’uso.