Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  agosto 25 Domenica calendario

ORA LA GUERRA DELLE VALUTE CI FA PAURA

ORA LA GUERRA DELLE VALUTE CI FA PAURA –
Al meeting dei banchieri centrali di Jackson Hole una poltrona è rimasta vuota. Alexandre Tombini, governatore della banca centrale del Brasile, ha dovuto rinunciare all’ultimo momento alla tavola rotonda con il governatore della Boj, Haruhiko Kuroda, per coordinare sul campo le manovre per difendere il real, l’ultima vittima della brutale frana che ha fatto cadere come tanti birilli, le quotazioni delle valute di Russia, India e Turchia. E non solo.
Il bollettino di guerra è davvero drammatico: tra maggio e luglio le riserve degli Emergenti sono scese di 81 miliardi di dollari nel vano tentativo di fermare la frana nei confronti del dollaro. Il Brasile ha destinato da ieri 60 miliardi di dollari alla battaglia per la difesa della propria moneta che ha perduto il 30% in un anno scivolano ai minimi dal 2009. Non molto diversa la situazione indiana: la rupìa è scesa del 25% circa, il rublo russo del 12% circa.
Una notizia non bellissima per il nostro export perché almeno tre di questi Paesi, ovvero Brasile, Russia e Turchia, sono ottimi clienti del made in Italy. O anche di più, perché Fiat è ormai, per volumi di fatturato e dipendenti, più brasiliana che italiana. E Pirelli, tanto per fare un altro esempio, ha basi robuste in Turchia, uno dei Paesi dove è più forte l’influenza italiana. Per non citare il caso che più ha impressionato Piazza Affari: le conseguenze della crisi egiziana sui conti del gruppo Italcementi, che da quelle parti realizza, secondo Exane, circa il 30% del suo giro d’affari.
Proviamo a fare un primo calcolo dell’effettivo impatto della crisi dei Bric e dintorni per le nostre aziende. La svalutazione delle monete, almeno in forma diretta non peserà più di tanto, visto che molte aziende hanno coperto buona parte del rischio cambio: l’impatto sugli utili dell’esercizio in corso, secondo le stime dell’ufficio studi Websim/Intermonte, dovrebbe aggirarsi attorno al 2,5%. L’impatto sarà più forte su Indesit (-9%), seguita da StM (- 8%), Safilo (-7,5%), Piaggio (- 6,5%), Fiat (-5,8%) e Pirelli (- 5,8%).
Ma le conseguenze per il made in Italy promettono di essere assai più rilevanti. Più rilevante di quel che non si possa immaginare.
Circa un terzo dei ricavi totali di tutte le aziende presenti sul listino di Piazza Affari arriva dai Paesi emergenti: l’America Latina e l’Asia valgono il 7% ciascuno, un altro 7% arriva dall’Europa dell’Est e della Turchia, mentre l’Africa vale il 9%.
Per quanto riguarda le società l’esposizione alle valute (escluso il dollaro e lo yuan cinese) in termini di ricavi, riguarda soprattutto le società petrolifere e dell’impiantistica: al primo posto c’è la Saipem (70% circa), seguita, con percentuali attorno al 65%, da Eni, Maire Tecnimont e Trevi. Poco sotto figurano Pirelli e Stm (attorno al 55%). Tra le manifatturiere spicca Indesit, il 47% ( Est Europa e Russia soprattutto) e Piaggio, il cui fatturato è per poco meno della metà realizzato in India e dintorni.
Fin qui le conseguenze immediate. Ma la progressiva caduta delle monete, aldilà degli effetti diretti, rivela un generale indebolimento del quadro economico in aree del mondo che sembravano destinate ad una crescita infinita. La frenata del Brasile avrà probabilmente non poche conseguenze sui tassi di crescita di un mercato che, per volumi, rappresenta ormai la quarta potenza.
Così come le difficoltà della Turchia, particolarmente esposta in dollari, potrebbe consigliare ad Ankara di frenare gli imponenti progetti infrastrutturali, dalle autostrade all’aeroporto di Istanbul in cui sono impegnate aziende come Astaldi o Salini-Impregilo. Per non trascurare la domanda che si fanno molti interisti: il brusco rallentamento del ringgit e della Borsa di Giacarta raffredderà la voglia di Inter di mister Thorir? Ma in questo caso non si sa se sotto la Madonnina prevalga la paura o la speranza.