Michael Spence, Il Sole 24 Ore 23/8/2013, 23 agosto 2013
SERVE UNA RIPRESA A OTTO CILINDRI
Nella canicola estiva, Milano è una città più tranquilla di tante altre in Europa. I milanesi sono via e, a differenza di Parigi o Roma, non sono rimpiazzati dai turisti. Qui e altrove la gente, le aziende, i governi e i mercati si stanno prendendo una pausa, si rilassano e riflettono. A settembre i problemi economici dell’Europa saranno ancora qui, in nostra attesa. Quando finirà l’estate, l’incertezza sulle questioni più importanti sarà all’ordine del giorno, e non soltanto in Europa. Michael Spence
I movimenti di protesta in Turchia e Brasile, in buona parte non previsti, hanno sollevato interrogativi non indifferenti sulla sostenibilità economica e sociale della crescita dei mercati emergenti. Gli incendi scoppiati nelle fabbriche di abbigliamento in Bangladesh ci hanno indotto ancora una volta a interrogarci in merito alla gestione delle catene di distribuzione globale. Negli Stati Uniti la Federal Reserve ha accennato all’idea di "diminuire per gradi" la sua politica di alleggerimento quantitativo verso la fine dell’anno: di conseguenza ha iniziato ad allentarsi una sorta di carry trade globale basato sulle situazioni monetarie dei Paesi avanzati, e ciò ha provocato una stretta creditizia e una turbolenza dei mercati nelle economie emergenti. Tutto ciò assai probabilmente è soltanto un’anteprima delle complesse difficoltà dell’uscita dal modello di crescita assistita post-crisi che è prevalso negli Stati Uniti, in Europa e ora in Giappone. Una probabile battuta d’arresto della politica negli Usa a settembre, per questioni di bilancio e del tetto di indebitamento, complicherà di sicuro ancor più le previsioni. Nondimeno, buona parte dell’attuale incertezza è destinata a dissolversi. Nei prossimi mesi saranno rese note decisioni politiche dalle importanti conseguenze in alcune aree sistemicamente fondamentali per l’economia globale, con ripercussioni significative sui tassi di crescita, i prezzi degli asset e la fiducia complessiva. Tanto per cominciare, la nuova leadership cinese ha lasciato perdere gli eccessivi stimoli fiscali e monetari, e ha accettato un rallentamento dell’economia scommettendo sul cambiamento strutturale, sulla riforma sistemica e sulla crescita sostenibile su un periodo più lungo. Segnali chiave arriveranno a questo proposito dall’assemblea plenaria del Partito comunista cinese che si svolgerà all’inizio dell’autunno. Le riforme in Cina daranno un valido sostegno alla transizione economica, offrendo nuovo slancio alla fiducia e migliorando le previsioni legate alla crescita, oppure verranno meno e deluderanno, e molto probabilmente a quel punto l’attenzione sarà tutta incentrata sulla portata e sulla natura dell’intervento statale nei mercati. In entrambi i casi, essendoci in gioco il futuro della crescita del motore trainante più importante dell’economia globale, le ripercussioni si faranno avvertire ovunque. Negli Stati Uniti il deleveraging economico è andato molto oltre rispetto a quello in Europa. Gli Usa si trovano in pieno aggiustamento strutturale, stanno generando una crescita reale del Pil, anche se ben al di sotto del suo tasso annuo di crescita potenziale del 3-3,5 per cento. Si può immaginare l’economia statunitense come un motore a otto cilindri che gira a cinque a causa del deleveraging restante, del consolidamento e del drenaggio fiscale, delle carenze degli investimenti nel settore pubblico e dei dubbi sullo stato di salute delle finanze e sulla sicurezza dei nuclei famigliari a medio reddito (la colonna portante della domanda interna aggregata). L’occupazione part-time si va diffondendo e potrebbe diventare ordinaria nel mercato del lavoro. C’è poi la questione del modello di crescita assistita della Fed. L’economia statunitense è davvero pronta a crescere da sola, senza un eccessivo appoggio politico? Appare evidente che la decisione della Fed di procedere gradualmente da qui alla fine dell’anno a una riduzione degli acquisti mensili di titoli a lunga scadenza provocherà un riallineamento dei valori degli asset nei mercati finanziari. Capire in che modo tutto ciò potrà ripercuotersi sull’economia reale è un altro motivo di incertezza. Malgrado qualche turbolenza transitoria nei mercati, tuttavia, molto probabilmente il risultato complessivo sarà positivo. L’effetto benefico sulle opzioni di rischio-rendimento disponibili per gli investitori/risparmiatori (compresi i fondi pensione) sorpasserà nettamente un più alto costo del debito. In realtà, un importante sotto-insieme di motori della crescita non dipende dall’indebitamento a basso costo. Altrettanto non può dirsi dell’Europa, dove le elezioni tedesche di settembre sono considerate un indicatore fondamentale dell’impegno duraturo nei confronti dell’euro. Il programma delle Omt (Outright monetary transactions) della Banca centrale europea - quantunque soggetto a condizioni, limitato all’indebitamento pubblico a breve termine, e finora inattivo - pare aver stabilizzato i mercati del debito sovrano della zona euro, anche se in un clima di crescita molto basso o pari a zero. Il programma Omt, però, è vincolato all’appoggio della Germania. Il problema adesso è capire quanto a lungo potrà andare avanti questa situazione, tenuto conto della crescita dell’Europa meridionale e delle sfide dell’occupazione (e dell’apparente incapacità da parte dei policymaker e dell’opinione pubblica a comprendere che non esistono soluzioni a breve termine). In Italia il dibattito verte per lo più sulle imposte, e in particolare sulla tassa, alquanto bassa, sulle proprietà immobiliari. L’imposta sul reddito (e di conseguenza la tassa sul lavoro) è alta. Ma il Paese è relativamente abbiente, soprattutto in termini di beni di proprietà che compaiono nei bilanci dei nuclei famigliari. Quindi tasse più alte sulla proprietà e tasse inferiori sul reddito aiuterebbero sicuramente a dar vita a un’economia più dinamica e competitiva. Peccato che una simile idea sia molto lontana da ciò su cui si focalizza l’attenzione del dibattito pubblico al momento. Nell’agenda italiana (a causa di una mancanza di fiducia di fondo degli elettori) quelle riforme cruciali per la liberalizzazione, che conferirebbero flessibilità all’economia e lo slancio necessario per l’aggiustamento, non compaiono neppure. Ciò ha la sua importanza, perché in Italia (e in Spagna) il settore privato non è in grado di assicurare quella medesima flessibilità fiscale riscontrabile negli Stati Uniti (e dopo le riforme del 2003-2006 anche in Germania). A questo punto, in questo caso si farebbe meglio a pensare a un motore a otto cilindri che non gira a cinque, ma nel migliore dei casi a due o tre cilindri. (Di certo, le riforme spagnole del mercato del lavoro entrate in vigore all’inizio dell’anno potrebbero iniziare a far lievitare l’occupazione e migliorare la competitività e la crescita, cambiamento vincolato però per lo più dalla bassa produttività e non dalla domanda debole.) È tuttavia inverosimile che nel contesto di una situazione di stallo politico - una strategia zoppicante, di bassa crescita, troppo incentrata sull’austerità fiscale, contraddistinta da un’alta disoccupazione, soprattutto giovanile - l’opzione di default resti accessibile ancora a lungo. A un certo punto, l’agenda politica dovrà procedere a varare riforme reali, oppure il sentire collettivo si orienterà sostanzialmente contro l’euro. Per fortuna, questa fastidiosa sensazione di incertezza non durerà ancora molto, in Europa come altrove. La leadership cinese opererà le sue scelte, come del resto l’elettorato tedesco. La Fed sarà più chiara circa la direzione che vuol far imboccare alla politica monetaria statunitense. I mercati si adatteranno e si tranquillizzeranno. Le distorsioni inizieranno ad allentarsi. Senza liquidare i rischi al ribasso, resto cautamente ottimista in merito alle prospettive dell’economia globale. Con una maggiore chiarezza in termini di politica cinese e americana, entrambe le economie dovrebbe guadagnare slancio e ciò farà soffiare un vento favorevole ai Paesi in via di sviluppo (molti dei quali sono alle prese con difficili scelte di politica interna), rendendo al contempo più facili da affrontare e risolvere le complesse sfide in Europa e in Giappone.
(Traduzione di Anna Bissanti)