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 2013  agosto 26 Lunedì calendario

ARTICOLI SU MIKE TYSON


«STO MORENDO PER DROGA» - DI CARLO SANTI PER IL MESSAGGERO DEL 26/8/2013
L’uomo che credeva di essere invincibile, un duro in un mondo di duri, quel Mike Tyson che amava ripetere «la vita non è un gioco, è sopravvivenza», adesso abbassa la testa. «Sono sul punto di morire, per colpa dell’alcol», ha confessato ammettendo di assumere abitualmente droga ma, al tempo stesso, di voler voltare pagina. A 47 anni e dopo una vita spesa non solo sul ring ma tra sregolatezza, riformatori, anche il carcere e mille disavventure, Tyson mostra un volto umano. All’indomani dell’esordio della sua Iron Mike, la società che organizza match di boxe, ecco l’ex re dei massimi confessarsi al programma della Espn, Friday Night Fights. Parole scioccanti, le sue. «Sono un cattivo ragazzo, a volte. Ho fatto un sacco di cose cattive e voglio essere perdonato. Voglio cambiare la mia vita, voglio vivere una vita diversa, ora».
UN VOLTO UMANO
Tyson è arrivato ad un punto di non ritorno. Come altri campioni dello sport, e un esempio è Paul Gascoigne, si è rifugiato nell’alcol e ha abusato. Non solo, però, perché Iron Mike ha sconfinato nella droga tanto da esserne schiavo. «In sei giorni non ho bevuto o preso droghe e per me questo è un miracolo», ha spiegato promettendo che «non farò più uso di sostanze».
Sempre al massimo, sempre in fuorigiri: Tyson ha fatto sempre tutto oltre i limiti. Se il primo match da professionista, nel marzo del 1985, è stato un fulmine spedendo al tappeto il suo avversario Hector Mercedes in appena 107 secondi meritandosi la copertina di Sport Illustrated che lo ha definito Kid Dynamite, l’ultimo è stato una pena. Difatti, Mike è stato costretto a tornare su un ring per via dei debiti. Con i creditori alla porta, con una bancarotta dichiarata e con 38 milioni di dollari chiesti dal fisco, nel 2005, a 39 anni e dopo un ko rimediato l’anno prima contro l’inglese Williams, ha subito un’altra sconfitta con l’irlandese Kevin McBride. Era l’addio dal quadrato. «Non ho più cuore», ammise subito dopo Tyson.
ADDIO MOSTRO
Quel mostro che ringhiava, il Tyson finito in carcere nel 1992 con una condanna di 10 anni con l’accusa di aver stuprato Desiree Washington, una reginetta di bellezza che lo aveva seguito nella sua stanza d’albergo, non c’era più. E adesso c’è ancora meno dopo la sua confessione: bevo e mi drogo, ha detto chiedendo aiuto per liberarsi.
«Tu sei il campione, ma io sono il re!», diceva nei giorni del suo dominio. E in quei giorni di onnipotenza quando tutto gli era consentito, con a fianco Don King, il potente promoter, eccolo mordere l’orecchio di Holyfield staccandogliene un pezzo. È capitato nel match della rivincita dopo il kot all’undicesima ripresa che lo ha visto perdere - era il 30 novembre 1996 - il titolo mondiale WBA. Sette mesi dopo, a Las Vegas, Mike ha perso la testa: nel terzo round, nonostante i richiami dell’arbitro, si è scagliato contro il rivale mordendolo. Adesso Tyson ammette le sue debolezze, alcol e droga che possono distruggerlo. Sogna di uscirne e di fare sue le parole di Holyfield dopo la loro pace. «Siamo un esempio», ha detto Evander e «un esempio di vita» ora vorrebbe esserlo Mike.
Carlo Santi

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TYSON CHE PUGNO - RICCARDO CRIVELLI PER LA GAZZETTA DELLO SPORT DEL 26 AGOSTO 2013 -
In quelle poche ore c’è tutto Mike Tyson: quindi la belva che fu campionissimo e ora perennemente avvinghiata in un pericolosissimo flirt con l’autodistruzione, ma anche l’uomo che ha conservato lo spirito fanciullesco di quando allevava piccioni. Prima, venerdì sera, la confessione shock in un’intervista alla Espn: sto morendo, ho il fisico consumato dall’abuso di alcool e droghe. Poi, il mattino, quando esce dalla stanza del Casinò di Verona, stato di New York, che la sera prima ha ospitato la sua prima uscita (felice) da organizzatore di pugilato, l’improvvisata a Greg e Amber Keller, che stanno festeggiando il matrimonio sul prato del resort. Lui li raggiunge, tra lo stupore loro e degli invitati, fa gli auguri e scatta foto con tutti.
Per gli sposini, un weekend da ricordare, ma i sorrisi che Iron Mike dispensa per pochi attimi al party sono solo un raggio di luce nell’oscurità di una vita che sta conoscendo tutti gli abomini. Nell’intervista di qualche ora prima, con una crudezza che fa male più di uno dei suoi pugni, l’ex iridato dei massimi ha rivelato al mondo di non essere mai uscito dal baratro: «Sono sul punto di morire, perché sono un alcolista. Però io voglio vivere la mia vita sobria. Io non voglio morire». Frasi raggelanti. Pur se trafitte da un barlume di speranza: «Negli ultimi sei giorni non ho bevuto o preso droghe e per me questo è un miracolo. Ho mentito a tutti gli altri, che ancora pensano io sia sobrio: ma non lo sono. Questo è il mio sesto giorno. Non farò più uso di sostanze». E’ una richiesta d’aiuto, straziante: «Sono un cattivo ragazzo, a volte. Ho fatto un sacco di cose cattive e voglio essere perdonato. Voglio cambiare la mia vita, voglio vivere una vita diversa, ora».
Sarebbe bello pensare che è stato tutto preconfezionato, che si tratta di una discutibile operazione pubblicitaria per lanciare la nuova carriera di promoter. Ma Tyson è negli abissi da troppo tempo per coltivare illusioni: la condanna per stupro, il morso a Holyfield, la bancarotta, la dipendenza dalla cocaina, il dramma della piccola Exodus — la figlia di 4 anni morta per un incidente domestico nel 2009 — che ne ha minato il già fragilissimo equilibrio. Eppure sentire dalla sua voce apparentemente senza emozioni l’ultimo episodio della personale discesa agli inferi infligge un k.o. pesantissimo a chi lo ha amato o anche solo ammirato. Perché dal 2011, da quando allo show televisivo di Ellen DeGeneres dichiarò di aver smesso di farsi del male con gli stupefacenti e di seguire una dieta vegana, l’ex uomo più cattivo del pianeta sembrava davvero un altro. Un matrimonio finalmente felice, con Lakiha Spencer (è stata lei, tra l’altro, a convincerlo ad accettare l’offerta di entrare nella nuova società di promozione pugilistica), impreziosito dalla nascita di due figli. L’one man show che ha portato nei teatri di tutti gli Stati Uniti la sua storia, dall’adolescenza trascorsa in riformatorio all’apoteosi del ring e poi il buio della quotidianità, un’affabulazione tra trionfi e cadute che ne ha messo a nudo l’anima e lo ha reso ancor più popolare. Oppure i documentari girati con Holyfield, la riappacificazione con l’avversario più odiato, e il tempo che cancella le ferite e cementa un’amicizia. Lampi di normalità. Ma il destino per lui ha scelto di scrivere solo tragedie.
Riccardo Crivelli

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QUEI PUGNI CHE SPENGONO LA MENTE - GIANNI RANIERI PER LA STAMPA DEL 26 AGOSTO 2013
Sarebbe interessante vedere Mike Tyson, l’uomo dai pugni di cemento armato, il campione al quale mancava soltanto la coda e il ruggito e poi lo si sarebbe potuto tranquillamente definire una belva, sarebbe davvero un drammatico spasso vederlo e ascoltarlo a una di quelle riunioni degli A.A., alcolisti anonimi, che si tengono in ogni angolo di New York. «Adesso vorrei parlare io. Grazie. Mi chiamo Tyson, Mike Tyson e sono sobrio da una settimana». Applausi degli astanti alcolisti. «Siccome non voglio morire e sono ridotto veramente male oltre che per i pugni anche e soprattutto per le bevute e la droga, ho deciso di mettermi sulla giusta strada. Datemi un tutore, o come diavolo lo chiamate, che mi tenga a bada e che mi sgridi e mi picchi se mi sorprende attaccato alla bottiglia o a sniffare cocaina. Giuro che non gli staccherò la testa con un gancio sinistro».
Che sport (sport?) formidabile il pugilato. Alcuni ne escono in perfette condizioni. È difficile capire come fanno dopo tutti i jab,i crochet, gli swing, i montanti che gli piovono addosso, però ci riescono; e Nino Benvenuti, un puro rappresentante della «nobile arte», è il primo della lista. Ma come è finito Johnny Saxton, campione mondiale dei welter, ardimentoso rivale di Kid Gavilan e di Carmen Basilio? Ricoverato in una casa di cura in California. Demenza pugilistica. E il crepitante Johnny Bratton altro mondiale nel 1951? Anche lui a ciondolare in manicomio a prendere cazzotti nei sogni. Ma terribile fu la storia del coreano Duk Koo Kim che ebbe la sventura di imbattersi in Ray Boom Boom Mancini. Era il 1982. Dopo 14 round di botte da far spavento, il povero Duk si ritrovò all’ospedale col cervello che non funzionava più. Morì 5 giorni dopo. La madre disperata si suicidò. E si suicidò anche l’arbitro di quel match di sangue.
Che sport il pugilato. C’è chi muore di colpi e chi mi ammala di parkinson anche se è stato un artista sul ring. Chi sopravvive senza pensieri perché la mente non può più contenerne e chi, come Tyson, ha deciso che non vuol crepare. A volte non voler crepare basta, ma è sempre un viaggio pieno di nebbia e di trappole. «Mi chiamo Mike e sono sobrio da una settimana». È l’ottavo giorno il più duro.
Gianni Ranieri

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TYSON: «ALCOL E DROGA, STO PER MORIRE» - PAOLO MASTROLILLI PER LA STAMPA DEL 26 AGOSTO 2013
Non era difficile prevederlo. Ora si tratta di capire se Mike Tyson, che ammette di essere «sul punto di morire per l’alcool e la droga», sta cercando davvero di salvarsi, oppure vuole mettere in piedi il solito show autolesionista.
La confessione dell’ex Iron Mike è venuta a Verona, nello stato di New York, dove stava facendo l’ennesimo esordio della sua vita piena di sorprese: promoter della boxe, che un tempo aveva sublimato con i suoi ko fulminanti, e poi aveva cercato di abbattere con la sua condotta folle. Parlando con la televisione sportiva Espn, Tyson ha detto: «Voglio vivere una vita sobria, non voglio morire. Sono sull’orlo della morte, perché sono un vizioso alcolizzato». La penitenza pubblica per i suoi peccati non si è fermata qui. Parlando in conferenza stampa, Mike ha aggiunto: «Sono stato un cattivo ragazzo, certe volte. Ho fatto un sacco di cose cattive, e voglio essere perdonato. Per riuscirci, però, devo cominciare a perdonare io». Così ha spiegato l’abbraccio con Teddy Atlas, l’ex allenatore con cui in passato si erano quasi ammazzati. Mike aveva fatto pesanti avances a una parente di Atlas, che era andato a cercarlo con la pistola carica. Quando lo aveva trovato, gli aveva urlato che doveva smetterla di fare il cretino. Per convincerlo che non scherzava, aveva sparato, mirando apposta per mancarlo: «Gli ho detto che avevo torto, gli ho chiesto scusa. La vita è breve, non si possono portare dietro tutti questi rancori. Se domani morissi, come farei poi a riconciliarmi con tutte le persone con cui ho sbagliato?».
Sembrava sincero, Tyson, mentre parlava agitando le mani che un tempo erano martelli. Quindi ha spiegato: «Voglio cambiare la mia vita, voglio comportarmi in modo differente, ora. Sono sei giorni che non bevo e non prendo droghe, e questo per me è un miracolo. In passato ho mentito a tutti, dicendo che avevo smesso, quando in realtà non ero sobrio. Questo però è il sesto giorno di astinenza, e non ci ricascherò. Non prenderò mai più alcol e droghe».
Credergli è assai complicato. Quasi come credere che il pugilato sia in grado di redimersi, e tornare ad essere uno sport nobile invece di un circo. Già nel 2005, infatti, Tyson aveva dichiarato sulla prima pagina di Usa Today che «ho sprecato la mia vita, sono stato un fallimento. Voglio scappare, sono imbarazzato da me stesso. Voglio fare il missionario». Nemmeno un anno dopo, però, era stato arrestato per guida in stato di ebbrezza e possesso di sostanze stupefacenti, in Arizona, dove si era ritirato a curare i suoi amatissimi piccioni. Farà sul serio, stavolta?
«Tutte queste cose belle che mi sono capitate nella vita, il successo, i soldi, le donne, non erano per me. Non era previsto che ciò accadesse, e invece è successo», ha detto Mike alla Espn. Ha ragione, perché un ragazzino di Brooklyn come lui, figlio di un padre che viveva in strada ed era scappato dopo la sua nascita, aveva un destino diverso già scritto. Violenza, droga, criminalità, e poco altro. Tyson si era avviato su questa strada, al punto che all’età di 13 anni lo avevano già arrestato 38 volte. «Tornavo a casa con vestiti nuovi, e mia madre sapeva che non avevo i soldi per comprarli». Ma Bobby Stewart, un ex pugile che faceva il consulente proprio nei riformatori, aveva scoperto le sue capacità di combattente e l’aveva segnalato a Cus D’Amato. Il resto è storia, nel bene e nel male. Campione mondiale a vent’anni, il più giovane di sempre, e poi padrone di tutti i titoli in palio nei pesi massimi. Invincibile, terrificante. Poi il divorzio dalla prima moglie Robin Givens, la sconfitta con lo sconosciuto Buster Douglas, la condanna per lo stupro di Desiree Washington nel 1992, la riconquista del titolo mondiale Wbc e Wba, e la nuova caduta con Holyfield, seguita dal grottesco match del morso all’orecchio. Poi ancora il crollo, in picchiata. Fino alla dichiarazione di bancarotta, nel 2003, nonostante avesse guadagnato almeno 300 milioni di dollari nella sua carriera.
Sposato tre volte, con otto figli avuti da troppe donne diverse, Mike è diventato la parodia di se stesso. Il selvaggio che minacciava di mangiare i bambini degli avversari, ridotto a interpretare la propria follia in uno show teatrale di Broadway diretto da Spike Lee: «Mike Tyson: Undisputed Truth».
Già, ma quale è la verità indiscutibile di Tyson? Quella balorda che ha raccontato per anni, nella boxe e nella vita reale, demolendo se stesso e lo sport a cui doveva la salvezza? Oppure quella che racconta oggi, in penitenza, giurando di voler cambiare per non morire? Questo sarà il match più duro per Iron Mike, ammesso che abbia davvero il coraggio di scendere sul ring.