Vittorio Sabadin, La Stampa 26/8/2013, 26 agosto 2013
SPRANGHE E CORANO, LA VENDETTA ISLAMISTA SUI TESORI DEI FARAONI
La comunità internazionale deve certamente dare priorità al ritorno della democrazia in Egitto ed evitare che ci siano altri scontri e altre vittime, ma non una sola parola è stata spesa né dagli Stati Uniti né dall’Europa per fermare il grande saccheggio di millenari reperti archeologici in corso nel Paese. Da mesi, approfittando del caos e dell’attenzione dei media concentrata solo sulle piazze del Cairo, molti siti archeologici vengono attaccati da uomini armati, i musei più lontani dalla capitale sono devastati, le piramidi meno famose e meno protette sono violate e le loro pietre di nuovo usate per costruire muri e case.
Contro questo scempio si battono, impotenti, poche coraggiose persone. Monica Hanna, un’archeologa di 29 anni, era a Mallawi nei giorni del saccheggio del museo, che custodiva importanti reperti scavati nell’area di Amarna. Era in corso una manifestazione di Fratelli musulmani in favore del loro leader Mohamed Morsi, quando alcuni giovani armati sono entrati nell’edificio. Hanno ucciso l’uomo alla biglietteria, spaccato le vetrine e razziato tutto quello che c’era: di 1.089 reperti, 1.050 sono stati portati via. Le statue più pesanti sono state abbandonate sul pavimento, ma più tardi qualcuno è tornato con sbarre di ferro per distruggerle. «Ho cercato di fermarli – racconta Hanna – e mi hanno risposto che volevano rompere tutto per punire il governo, che al Cairo uccideva i loro compagni. Ho detto loro che stavano distruggendo oggetti che appartenevano da millenni al popolo egiziano e non al governo del Cairo, ma non hanno capito. Mi hanno insultata perché non portavo il velo».
I saccheggiatori hanno bruciato due mummie e rubato pezzi davvero unici, come un busto della sorella di Akhenaton, il faraone della diciottesima dinastia che istituì a Tell el-Amarna il culto del dio solare Aton. Il busto di sua moglie, Nefertiti, è per fortuna al sicuro nel Neues Museum di Berlino.
Pochi chilometri a Sud del Cairo, la necropoli di Dahshur è crivellata di buche scavate nel terreno da saccheggiatori di tombe. Nella vasta area archeologica ci sono le piramidi di Snefru, il padre di Cheope, e la piramide nera sotto la quale, nel 1800 a. C., il faraone Amenemhat III fece scavare un complesso dedalo di cripte e cappelle. La zona, che è stata per lungo tempo area militare e che veniva usata da re Farouk come riserva di caccia, è considerata ancora vergine dagli archeologi, e si ritiene che nasconda eccezionali reperti.
Una notte – ha raccontato Said Hussein, uno dei responsabili del sito - sono arrivati 30 uomini armati di mitra, hanno rotto un braccio al custode e hanno sfondato il cancello per scavare nell’area. Nessuno contrasta i predatori: molte guardie sono state richiamate al Cairo a sedare i disordini, e le poche rimaste non vogliono rischiare la vita per una misera paga. Così anche gli abitanti della zona hanno cominciato a scavare indisturbati, sperando di trovare il reperto che cambierà loro la vita.
Altre razzie sono state segnalate a Abu Rawash, Abusir, El Hibeh e Luxor, e un tentativo di distruggere le collezioni custodite a El Bahnasa è stato respinto. Il saccheggio di un patrimonio che appartiene all’umanità va avanti da due anni, a causa dell’impotenza di chi dovrebbe impedirlo. Il ministero delle Antichità si finanzia con i soldi dei turisti, ma di turisti non ce ne sono più. Con le poche lire rimaste, il ministro Mohamed Ibrahim ha promesso il perdono e una ricompensa a chi restituisce oggetti trafugati, e nei giorni scorsi qualche pezzo poco importante è tornato al museo di Mallawi.
Nella comunità internazionale degli archeologi c’è il terrore che si possa ripetere l’attacco al museo del Cairo avvenuto nel gennaio 2011, durante i primi disordini contro il presidente Hosni Mubarak, nel quale furono rubati circa 50 reperti, alcuni appartenenti al corredo funebre di Tutankhamon. Il museo è chiuso ma, nonostante i carri armati che lo circondano, non è per niente al sicuro.
Su Facebook si è organizzata una Egypt’s Heritage Task Force, una comunità composta da esperti e da cittadini comuni, egiziani e stranieri, che segnalano i saccheggi di cui sono venuti a conoscenza, documentandoli con foto. Scorrere l’elenco, che si allunga ogni giorno, riempie di indignazione e tristezza. Speriamo che a Washington, a Mosca e a Bruxelles, dove si discute tanto sul destino di questa oscura «primavera egiziana», qualcuno se ne accorga, e levi almeno una voce.