Ricardo Franco Levi, Corriere della Sera 23/8/2013, 23 agosto 2013
BEZOS E LA LEZIONE DI AMAZON: L’INFORMAZIONE A MODELLO DI LETTORE
L’acquisto per 250 milioni di dollari della Washington Post da parte del fondatore di Amazon, Jeff Bezos, è stato una delle notizie di quest’estate. Ora ci si chiede quali saranno le novità che il nuovo proprietario, uno tra i più geniali imprenditori dell’era di Internet, vorrà e saprà portare nel prestigioso giornale della capitale americana e, di riflesso, nell’intero settore dell’editoria, negli Stati Uniti e non solo. Chiunque abbia acquistato libri sul sito di Amazon, attraverso le mail che giornalmente lo raggiungono con le proposte di nuovi titoli coerenti con i suoi precedenti acquisti, conosce l’abilità dell’azienda di lavorare sulle abitudini e preferenze dei propri clienti. Il primo e più ovvio campo di applicazione di queste esperienze ad un quotidiano potrebbe essere quello della pubblicità, e in particolare quello della pubblicità su Internet, l’unico nel quale gli investimenti siano in crescita, tanto da apparire ormai come la terra promessa per ogni editore. La capacità di disegnare accuratamente i profili dei propri clienti potrebbe permettere di realizzare messaggi sempre più mirati, aumentando l’efficienza e, quindi, il valore del quotidiano come strumento di pubblicità. Le medesime tecniche sviluppate su Amazon si prestano, inoltre, ad essere utilizzate per proporre il marchio del quotidiano come garanzia di affidabilità e, dunque, come veicolo per acquisti diversi (dai viaggi alle case, dai biglietti per i concerti alle automobili), aggiornando così all’era di Internet l’antica ma ormai ampiamente perduta fonte di reddito della «piccola pubblicità commerciale». Ma è lo stesso contenuto d’informazione del quotidiano che potrebbe essere progressivamente modellato sulle preferenze del singolo lettore, tanto da far immaginare un futuro nel quale, seppur con notevoli rischi per l’identità della testata, ciascun cliente si veda offrire un giornale tutto suo. Su ciascuno di questi sentieri di possibile sviluppo la Washington Post di Jeff Bezos, così come qualsiasi altro quotidiano in qualsiasi altro Paese, potrà avanzare con tanta più velocità quanto più la lettura si trasferirà dal giornale stampato al giornale in formato digitale e quanto più essa sarà stata capace di consolidare la fedeltà dei propri lettori portandoli a sottoscrivere un abbonamento. Una possibilità — è doveroso ricordarlo — fortemente ostacolata in Italia dalla sperequazione tra le aliquote dell’Iva imposta sull’acquisto di un giornale su carta (il 4 per 100) e di un giornale in formato digitale (il 21 per 100). Ma, tornando a Washington, come escludere che, con la spinta del fondatore di Amazon, possa mettersi in moto un processo di innovazione che conduca a cambiare in modo anche radicale la stessa forma del prodotto giornale come l’abbiamo sin qui conosciuto? Non dimentichiamo che Jeff Bezos è l’imprenditore che, trasferendo i segni della scrittura dalla carta all’elettronica dell’e-book ed offrendo con il suo Kindle uno strumento per la lettura totalmente diverso dal libro stampato, ha dato un contributo essenziale, cinquecento anni dopo la prima Bibbia stampata da Gutenberg, ad una rivoluzione della quale non siamo neppure in grado di definire gli sviluppi. Accanto a queste appena immaginate novità, a me, tuttavia, piace pensare che Jeff Bezos ne possa portare un’altra e più immediata alla Washington Post: la nomina di un direttore donna (naturalmente con tutto il rispetto per l’uomo, Martin Baron, che ora la dirige). Perché questo? Non per la ricerca del facile effetto di una spettacolare concorrenza con l’altro grande quotidiano americano, il New York Times, oggi diretto proprio da una donna, Jill Abramson. E nemmeno per un omaggio al mondo femminile che rischia di diventare poco più di una moda, tanto ripetuta quanto priva di autentico contenuto. La ragione dell’auspicio di una direzione femminile è ben piantata nella logica e nella pratica dell’era di Internet. A fronte della concorrenza rappresentata dall’enorme e continuo flusso di notizie ottenibili con estrema facilità e in modo del tutto gratuito sulla e dalla Rete, la disponibilità dei lettori a pagare un prezzo per un giornale dipenderà sempre più dalla qualità e dall’originalità del prodotto. Per alcuni giornali sarà un elemento di forza l’essere dedicati a settori specifici come lo sport o la finanza o l’essere la voce di una particolare comunità locale, ma la differenza, alla fine, sarà data dalla capacità di offrire un’informazione che non si possa trovare altrove. Dall’India della «Rivoluzione dei sari rosa» delle donne dello stato dell’Uttar Pradesh, impegnate in una battaglia per la miglior manutenzione per strade così disastrate da poter essere usate «per coltivare verdure» che è diventata rapidamente una grande storia di emancipazione e di libertà, all’Afghanistan dove l’artista colombiano Yazmani Alboreda ha distribuito diecimila palloncini rosa per rivendicare la ricchezza dell’universo femminile, il rosa sta diventando in tutto il mondo il colore della giustizia. Ma non c’è bisogno di andare in terre lontane per comprendere come infiniti siano i campi, dall’istruzione alla salute e alla cura delle persone, dalla politica al lavoro (basta leggere la «Ventisettesima ora», il blog del Corriere della Sera), che guardati con l’occhio, la curiosità, la sensibilità di una donna si prestino ad una lettura, e dunque ad un racconto, nuovi ed originali. La scelta, proprio di questo giornale, di dedicare, pochi giorni fa, le sue prime pagine non ai consueti argomenti della politica ma al tema della violenza contro le donne, ne è un buon esempio. Per questo, una direzione di un quotidiano affidata a una donna si presenta come un’opportunità. Interrogato su come pensava di potere allargare il proprio pubblico di lettori, una ventina di anni fa l’editore di un quotidiano rispose: «Assumendo quante più donne possibile nella mia redazione». La sua risposta fu solo apparentemente banale. Ma sarebbe stata ancora più appropriata se avesse detto «nominando un direttore donna».