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 2013  agosto 23 Venerdì calendario

GADDA PRIVATO, LA COGNIZIONE DELL’UMORE


In un saggio del 2008 su Carlo Emilio Gadda, Pietro Citati accennava alla Cognizione del dolore come a una sorta di tribunale in cui l’autore recita tutti i ruoli di un immaginario processo penale. Uno scenario che si spiega con quell’intricatissimo groviglio di sensi di colpa da cui nasceva il romanzo. Ora quel testo di Citati torna in appendice alla raccolta di lettere che Gadda mandò al critico amico per oltre un decennio (Un gomitolo di concause. Lettere a Pietro Citati 1957-1969, a cura di Giorgio Pinotti, Adelphi). E la lettura di quelle epistole cariche di tragicomico tormento nel segno dell’inventività barocco-gaddiana evoca proprio l’immagine del tribunale in cui il mittente gioca in contemporanea le diverse parti in causa: il pubblico accusatore (di sé e degli altri), la difesa, l’imputato colpevole e innocente, il giudice e il testimone, persino il perito d’ufficio.
Citati conosce Gadda nel 1955, dopo aver recensito sullo «Spettatore italiano» il Giornale di guerra e di prigionia: ne nasce un’amicizia destinata a durare: «Per certi aspetti — ha scritto Citati — mi aveva eletto suo padre (io ero infinitamente più giovane di lui); mi chiedeva consiglio per tutte le cose della vita: le tasse, la domestica, il cibo, l’editore, il rapporto con gli scrittori e tutti gli esseri umani». Dal ’56 consulente di Livio Garzanti, Citati tenne i rapporti tra l’Ingegnere e l’editore milanese, che aveva offerto ottocentomila lire a Gadda perché portasse a termine il Pasticciaccio. L’iniziativa garzantiana avrebbe aperto una dura rivalità con Einaudi, che si proponeva quale «editore definitivo» del Gran Lombardo. In effetti, Gadda è stato uno degli obiettivi più ambiti dagli editori, molti dei quali brevemente sedotti, poi illusi, poi estenuati dalle tante promesse inevase, come illustra benissimo Pinotti nella postfazione e nel commento. Citati svolge molto più del suo incarico professionale, rassicurando lo scrittore sul piano organizzativo e sul piano morale, con discrezione, generosità, pazienza, comprensione, complicità. Sollecita gite di relax, lo invita in vacanza in Liguria e in Toscana, lo calma quando sente avanzare l’esagitazione e le crisi di panico per inezie insormontabili, lo frena se avverte che davvero «il fisico non risponde all’utopia» dei troppi impegni. Fa da mediatore quando il paventato processo di «einaudizzazione» scatena l’ira funesta di Livio. Elargisce consigli a proposito del penoso slalom tra gli esorbitanti progetti editoriali: sulla confezione degli Accoppiamenti giudiziosi, sul libro Ricciardi da consegnare a Raffaele Mattioli (Verso la Certosa), su Eros e Priapo, il «volume obbligativo» ceduto a Garzanti in forma quasi riparatoria. Ma il trentenne Citati si guadagna sempre più la stima dell’anziano corrispondente anche sottoponendogli i propri saggi, come quando gli invia le bozze del Goethe, «lettura attesa e desiderata» il cui «enorme e totale "sguardo"» definisce geniale.
Le 44 lettere, che si concentrano nei mesi estivi (in cui Citati lasciava Roma per le ferie), sono occupate in buona parte dalle paranoie persecutorie relative alle calunnie e alle malvagità, alla «bieca invidia» e al «farabuttismo» di cui Gadda sarebbe oggetto; dalle preoccupazioni economiche, dalle ansie delle scadenze. Il tutto enfatizzato da chi si sente (ed è) tra l’incudine (Garzanti) e il martello (Einaudi), «tra due fuochi, anzi sotto due fuochi», «ghiotta preda» braccata dalla «furia libidinosa» dei potenziali stampatori. «Inadempiente o remorante» per sua stessa ammissione, cerimonioso e velenoso all’occorrenza (cioè spessissimo), sempre più infastidito «Lollobrigido» e «Sofio Loren» tardivamente baciato dal successo con il Pasticciaccio, Gadda affonda «colpi di spillo» contro (quasi) tutti quelli che lo frequentano con «molto baccano» in serate conviviali a Trastevere. È visibilmente infastidito dai «coniugi romanzieri», cioè Moravia e la «gentile» Morante («che urla e pontifica troppo»), e dalla loro «aspra cornacchiante erogazione di teoremi storiografici»; sorvola con lieve ironia sul «ragazzo di vita», ovvero Pasolini. Immagina (e promette) viaggi e trasferte («traslazioni») che per lo più sfumano nel nulla: «sono affaticato e malato geronte». Salvo eccezioni: i primi di settembre 1961 lo troviamo, per esempio, a Venezia, «fra traumi alberghieri, ferroviari», presente obtorto collo ai «trionfi accattoneschi», dove è stato voluto «gentilmente e imperativamente» da Pasolini. Negli stessi giorni è in (eroica) contemplazione del pittore quattrocentesco veneziano Carlo Crivelli, alla cui mostra dedicherà un articolo-racconto sul «Giorno». Per la sua collaborazione al quotidiano milanese è sempre Citati a farsi garante con Italo Pietra e Paolo Murialdi.
Ogni tanto le inquietudini sembrano placarsi. Quando, un giorno di fine agosto 1961, irrompe la figura di Goffredo Parise, si accende una luce di vitalità: la pesante mole dello scrittore verrà adagiata su una spider-rossa-biposto-inglese e «traslata» in gita a Bracciano, per consumarvi un ottimo pranzetto «con certi gnocchi trascendenti e digeribilissimi». A Parise l’Ingegnere regala aggettivi di sorprendente generosità: «mi sembra un intelligente e un geniale (…), talora un tantino o un tantone surreale». Con un ricordo dei suoi paesaggi infantili, suggerito nell’ottobre ’65 dalla nuova casa maremmana di Citati, si offrono al lettore pagine magnifiche che evocano la Cognizione: «Si dà il caso che il sottoscritto sognatore e maniaco abbia sognato e pensato, cioè architettato mentalmente, case e ville e castelli durante le lunghe camminate dell’infanzia e dell’adolescenza sugli stradali prealpini, nelle ore d’una fuggente serenità; e abbia patito l’incanto di parchi e giardini, dei frutici odorosi, dei grandi allori e delle loro ombre materne».
Non mancano le considerazioni letterarie. Tra cui svetta, nel luglio 1960, la strenua difesa dei Promessi sposi, per un famoso articolo in polemica con il «sistematismo» del Moravia «antilombardo, antiborghese, antivattelapèsca», dove inveisce contro la riduzione semplicistica operata dal «bisturi» moraviano. Una difesa anche pro domo sua (quasi un’autodifesa, avverte Pinotti). Naturalmente, la polemica in pubblico non può che sollecitare ripensamenti e sensi di colpa e Gadda sembra tirare un provvisorio sospiro di sollievo venendo a sapere che Moravia, nella settimana dell’uscita del pezzo sul «Giorno», si trova in Brasile, non senza temerne le reazioni al ritorno.
«Io vivo nella povertà, sia pure con bagno». Fa volentieri la vittima, l’Ingegnere: si flagella e si assolve, si flagella per assolversi da peccati più presunti che reali. Lo spettro del dottor Garzanti aleggia su tutto, onnipresente, silenzioso e implacabile. Nei suoi confronti Gadda si sente per lo più debitore, certamente lo teme e fa di tutto per evitare di incontrarlo, ma ogni tanto tenta di ribellarsi agli editori-avvoltoi-carogna-tigri che si contendono il capriolo; si difende dal suo minaccioso «main-publisher», attaccando e contemporaneamente, per interposta persona (Citati, ça va sans dire), rovesciandogli addosso i suoi guai. Nel «gomitolo di concause» c’è di tutto, compresi i nodi dell’infanzia che vengono al pettine, fatiche, traumi, ossessioni che tolgono il sonno. E la «non salute», che affiora ovunque, esplodendo qua e là in accessi di angoscia e insieme di esilarante comicità grottesca: la depressione su tutto, poi via via: «stanchezza, cuore, confusione mentale di fronte a terzi», «dilatazione del cuore e dell’aorta, fatti artrosici alla colonna vertebrale», «enfisema polmonare già segnalato», «diminuita pressione», «stato di sconsiderata vacuità mentale» («quel cervello da ragazza grulla…»), «stato sonnambulico», «blocco delle funzioni organiche basilari» eccetera. E non rari sono i puntuali consuntivi clinico-farmacologici con tanto di dettagli sulle oscillazioni del peso (tra i 92 «netto-nudo» e i 100) e sulla «panza-circonferenza»: «Polputo e idropico è il Gadda!», impreca, con annessa invettiva contro quella «pappagallata dall’America U.S.A.» che è la moda della dieta.
Sono «momenti di esasperazione da calura», confessa, nel porgere le scuse per gli eccessi epistolari al «gentile e ragionante amico», grato per le «tante prove di bontà», pieno di «rimorsi molteplici», pregandolo di consegnare alla combustione sui carboni accesi e all’incenerimento le missive più furibonde. Esasperazione che dal ’62 graverà anche sulle spalle del «molto cordiale» Gian Carlo Roscioni, l’elegante erudito-francesista-filologo (e futuro esegeta maximo della filosofia gaddiana) cui spetta l’opera di diplomazia sul fronte einaudiano: sarà lui a seguire da vicino, dopo un abile gioco di sponda con Citati, l’approntamento della Cognizione, delle Meraviglie d’Italia e del Giornale. E con Citati formerà la coppia più solidale e rassicurante che l’Ingegnere potesse augurarsi: una rete di protezione a cui dal ’61 contribuiva anche l’«eroica» governante Giuseppina Liberati.
Il commento di Pinotti è l’ideale per gaddisti adepti e in erba che vogliano soffermarsi sui rapporti tra l’epistolografo e lo scrittore, sulle relazioni di scambio passate e coeve, sugli sviluppi di trattative e progetti, sulle risposte del corrispondente: il curatore tira le fila, colma le lacune, ricostruisce la rete delle allusioni rimandando ai testi letterari per chiarire le numerose, fantastiche, invenzioni verbali che percorrono queste lettere. Lettere uniche di un epistolografo esorbitantemente unico.