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 2013  agosto 23 Venerdì calendario

CINA, SORPRESA AL PROCESSO BO XILAI VA AL CONTRATTACCO


«No» su tutta la linea. Questa la sfida di Bo Xilai ai giudici (e al Partito): «Non sono corrotto, non ho mai preso tangenti». La prima udienza del processo contro l’ex leader maoista, alla sbarra per «corruzione, appropriazione indebita e abuso di potere», si è chiusa ieri in un clima surreale a Jinan, nella Cina orientale. Nell’aula numero 5 del tribunale provinciale, presieduta dal giudice Wang Xuguang, presenti 110 selezionatissimi spettatori (cinque i parenti di Bo) e nessun giornalista straniero, secondo le previsioni doveva andare in scena poco più che una recita, con magistrati e accusato pronti a ripetere frasi preconfezionate e scelte dopo una lunga trattativa, come è uso nel sistema giudiziario cinese. Non è stato così, almeno stando al resoconto trasmesso praticamente in diretta non alla televisione ma su Weibo, il Twitter cinese, da funzionari presenti al dibattimento. Certo, l’autenticità dei Tweet che hanno raccontato il - a tratti - burrascoso interrogatorio di Bo Xilai, 64 anni, «principe rosso» caduto in disgrazia nella primavera del 2012, non è verificabile in maniera indipendente. Tuttavia, il quadro che ne emerge è plausibile e riflette la personalità dell’uomo.
Bo Xilai, dopo un’iniziale dichiarazione di «fiducia» nell’operato del tribunale («Spero che i magistrati mi giudicheranno con equità, secondo le leggi del nostro Paese») ha risposto colpo su colpo a tutte le accuse che gli venivano rivolte, a partire da quella di aver accumulato 27 milioni di yuan, l’equivalente di 3 milioni di euro e più in tangenti ricevute da due uomini d’affari. L’ex leader neo-maoista ha reagito con stizza: sono stato incastrato, ha detto, le confessioni mi sono state estorte contro la mia volontà. Un riferimento alla detenzione (sette mesi) da parte della Commissione per la disciplina del Partito comunista. Cioè, il periodo durante il quale sarebbe avvenuta la «contrattazione» sulla (inevitabile) colpevolezza. «Mi hanno trattato civilmente - ha spiegato Bo ai giudici -. Ma questo non significa che non ci fosse una pressione psicologica». Aggiungendo, forse senza troppo calcolare l’effetto paradossale delle sue parole: «Io non ho un carattere forte e sono responsabile di aver ceduto a quella pressione».
Bo un «debole»? Non si direbbe a giudicare dalle immagini trasmesse ieri: in camicia bianca, i polsi liberi dalle manette, dimagrito ma curato, con i capelli corti e tinti di nero. Per farlo sembrare «piccolo», lui che è alto 1 e 86, le autorità hanno dovuto faticare per trovare due poliziotti più robusti. E poi, quando è arrivato il turno di un testimone dell’accusa, l’imprenditore Tang Xiaolin, Bo ha sfoderato i denti: «Quello è un pazzo, un corrotto, un imbroglione: sarebbe capace di sostenere qualunque cosa per salvare se stesso, anche di vendere la propria anima». Il presidente del tribunale lo blocca, gli chiede di moderare il linguaggio. Ma l’uomo che stava trasformando Chongqing in una metropoli-esperimento, dove praticare la «lotta alla corruzione» con il pugno di ferro e allo stesso tempo rinverdire i fasti della propaganda maoista, non si tira indietro. Soltanto il processo a Jiang Qing, vedova di Mao, alla sbarra nel 1980 con gli altri membri della Banda dei Quattro, si era rivelato tanto imprevedibile, con colpi di scena e invettive contro i giudici che osavano giudicare chi aveva affiancato Mao per decenni. Bo non supera questo confine, si limita a contestare tutte le accuse e a mettere in ridicolo i testimoni, moglie compresa.
Afferma di non avere mai ricevuto tangenti, che la consorte «è più ricca di me», che il figlio, Guagua, non è mai stato intermediario nella consegna di mazzette. Definisce «ridicola» la dichiarazione scritta della moglie, Gu Kailai (in carcere per l’omicidio del businessman britannico Neil Heywood), che confessava di aver «preso dalla cassaforte di casa il denaro, frutto della corruzione, per pagare gli studi di nostro figlio a Oxford». Insomma, si difende in un giudizio che appare deciso in partenza. Bo Xilai conosce troppo bene il sistema, non si fa illusioni. Ma forse la sua strategia è un’altra, dimostrare che si tratta di un processo politico: così lui avrebbe vinto. Oggi la seconda udienza. La sentenza, dice la Tv di Stato Cctv, ai primi di settembre.
Paolo Salom
@PaoloSalom