Claudio Gallo; Francesco Semprini, La Stampa 23/8/2013, 23 agosto 2013
LA FRANCIA: “FERMIAMO ASSAD” L’ONU SI SPACCA SULL’INTERVENTO
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È la Francia la grande potenza più determinata a reagire all’attacco chimico contro la popolazione civile in Siria. Ieri, il giorno dopo il massacro di Erbin costato la vita a centinaia di persone, il ministro degli Esteri Laurent Fabius ha evocato l’intervento armato: «La comunità internazionale deve rispondere con la forza», ha detto, anche se poi ha precisato che «non si tratta di inviare truppe sul terreno». L’intervento internazionale presuppone però un accordo all’Onu, al momento impossibile. Il Consiglio di sicurezza ha chiesto di «fare chiarezza» sull’attacco, ma per l’opposizione di Russia e Cina, non è stato raggiunto un accordo per l’invio immediato degli ispettori, che pure sono a Damasco. Fabius ha ribadito che «se l’Onu non è in grado di prendere decisioni, bisogna rispondere in altro modo». Ma un intervento senza mandato in questo momento non è ipotizzabile, neppure da parte degli Stati Uniti. E la raccolta delle prove, in caso di attacco chimico, diventa sempre più difficile di ora in ora. Per Mosca bisogna aspettare perché «il governo siriano ha confermato la propria disponibilità a collaborare». Restano le immagini, le testimonianze delle vittime di Erbin. Ma fino a che punto possono darci una ragionevole certezza che Assad è colpevole?
LE DOMANDE:
1. I sintomi: possono essere solo quelli dovuti a un attacco con gas nervino oppure no?
2. La tattica: i ribelli premono dai sobborghi di Damasco, quanto grave è la minaccia per Assad, giustifica una simile mossa?
3. La strategia: che senso ha per il raiss usare i gas adesso, con gli ispettori Onu in Siria, mentre cerca di ripulirsi l’immagine?
4. Le foto: perfette, di grande impatto. Possibile, subito dopo una notte così drammatica, questi scatti così puliti?
RAGIONEVOLI DUBBI–
1. Gwyn Winfield, specialista britannico di armi chimiche, è da due giorni su giornali e tv. L’altro giorno ha sollevato il dubbio che si trattasse di lacrimogeni rilasciati in ambiente ristretto, «talvolta sono fatali». Ma alla luce dei nuovi filmati ha cambiato idea: «Sempre più - dice al telefono - le immagini paiono mostrare i risultati dell’uso di fosfati organici (come il sarin, ndr) ma finché non avremo dei campioni non possiamo dire di che cosa si tratti». Gli ispettori Onu sono bloccati dai combattimenti a una trentina di chilometri dal luogo dell’attacco: più il tempo passa e meno sarà facile trovare tracce. La maggior parte dei cadaveri è già stata sepolta in fosse comuni. I russi sostengono che i missili sono stati lanciati dagli stessi ribelli, la cosa lascia intendere che Mosca non mette più in dubbio l’uso dei gas.
2. Assad ha perso il controllo, preso dal panico per non riuscire a «ripulire» la capitale dai ribelli è ricorso alle armi chimiche. È la tesi, ad esempio, del ministro della Difesa israeliano Moshe Ya’alon. Lo situazione militare per l’esercito non sembra così drammatica, anche se dalle loro aree i ribelli possono colpire il centro di Damasco coi mortai. È poi vero che, sotto la regia turcosaudita (un binomio scricchiolante dopo la crisi egiziana), i ribelli stanno preparando una controffensiva ad Aleppo. L’uso dei gas da parte del governo potrebbe dare un minimo vantaggio tattico ma dal punto di vista strategico sarebbe un disastro.
3. Se si dimostrerà che l’attacco chimico è stato lanciato dal regime, ci sono ragioni politiche e militari per definire la scelta, oltre che disumana, suicida. Assad può bombardare i ribelli alla periferia orientale di Damasco con ogni sorta di arma, perché usare uno strumento che gli attirerebbe la condanna del mondo e potrebbe scatenare un intervento occidentale? E perché farlo subito dopo aver invitato gli ispettori Onu nella capitale proprio per controllare le armi chimiche? Si può rispondere dicendo che la razionalità non sempre è di casa nella storia. Ma non vuol dire molto, nel bel mezzo di una guerra anche mediatica, servono prove concrete.
4. Per quanto sia evidente che dietro le orribili immagini dei morti soffocati dai gas ci sia una regia mediatica che sa come sfruttare le inquadrature, è difficile concepire, se non a Hollywood, il coordinamento di tante persone in una finzione di massa. Ma questi fotogrammi, che si affollano intorno a noi per chiedere la nostra pietà, ci rinchiudono in un cerchio paradossale: nell’avvicinarci al nucleo drammatico della realtà ce ne allontanano.
Claudio Gallo
RAGIONEVOLI CERTEZZE–
1. «I sintomi non sembrano lasciare molto spazio a dubbi. L’utilizzo delle armi chimiche, in particolare del Sarin, provocano effetti come quelli evidenziati nelle prove visive e descritti nei report dei ribelli e degli osservatori. Le tracce che sono riscontrate sulla pelle, e gli effetti sui centri nervosi del corpo umano e causano, in ultima istanza, il decesso sono praticamente inconfutabili». La riflessione di David George Newton, già ambasciatore in Iraq e in Siria, ed uno dei massimi esperti di questioni mediorientali delle amministrazioni Reagan e Clinton, si basa sulla sua esperienza diretta dell’uso di armi chimiche da parte di Saddam Hussein. «Ci sono molti elementi simili, mi sembra si riproponga ai nostri occhi la stessa tragica situazione».
2. «L’impiego delle armi chimiche da parte di Basah al Assad è anche la risposta alle rinnovate offensive dei ribelli intorno a Damasco, ma non è il solo elemento che ne ha causato l’impiego in questo particolare frangente». L’analisi dell’ambasciatore Newton parte da una considerazione di carattere strategico, ovvero in Siria, un forte ascendente sul comando ce l’ha il vicino Iran, che ha tutto l’interesse a ricorrere a prove di forza da parte di Damasco, anche per mostrare i muscoli ad Israele. «Dobbiamo tener presente che lo sviluppo di arsenali chimici da parte del regime è sempre stato un effetto condizionato dalla presunta minaccia che per loro rappresenta lo Stato ebraico».
3. «Damasco non ha avuto mai problemi a giocare su un doppio terreno. Ritengo che anche adesso non si faccia troppi problemi sebbene abbia gli ispettori dell’Onu nel cortile di casa. Con loro cerca di rifarsi un’immagine, ma sul campo opera in maniera cinica e spietata». Per l’ex ambasciatore, un attento conoscitore delle questioni siriane, a far gioco ad Assad è anche la dislocazione delle armi chimiche in suo possesso, i cui depositi di stoccaggio sono ben lontani dagli occhi «indiscreti» degli ispettori. «Per certi versi è un interesse del regime disfarsene in tempi utili, e magari proprio utilizzandole contro i ribelli».
4. «Non avrei dubbi sulla veridicità di foto e documenti filmati, siamo nell’era di Internet, dei videotelefonini e dell’i-reporting, penso che l’immediatezza delle testimonianze non ne compromettano l’autenticità». L’ambasciatore Newton spazza via ogni dubbio in materia anche perché, spiega, i ribelli temendo un’offensiva chimica da parte del regime, erano ben pronti a documentarla e denunciarla subito. «Credo proprio che il regime abbia messo mano ai suoi arsenali chimici e non è la prima volta, ma almeno la seconda. Allo stesso tempo, per la complessità di queste armi e del loro utilizzo, non sono affatto convinto che i ribelli abbiano fatto altrettanto».
Francesco Semprini