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 2013  agosto 23 Venerdì calendario

NEWYORK IL CANDIDATO SFIDA IL TABÙ “SCUSATE, TIFO BOSTON”


Ryan sta davanti al Gate 6 dello Yankee Stadium: sulla sessantina, cappellino blu con il logo bianco a contenere i riccioli grigi, camicia hawaiana e jeans. Ha appena chiuso il negozio, abita nel Bronx, a due fermate di metropolitana: cresciuto dal padre nel culto del baseball e degli Yankees, lui lo trasmette al figlio che sta al suo fianco. Guarda alcuni ragazzi che distribuiscono i volantini in favore di William Thompson e ride: «Quello tiene per i Mets, che vuole da noi? Mica lo votiamo uno così. E tanto meno quel pazzo che urla in giro il suo amore per quei maledetti dei Boston Red Sox».
Sta tutta qui, quella che il New York Times definisce in prima pagina «l’eresia del candidato Bill De Blasio»: “il pazzo” appunto. Avvocato democratico di 51 anni, che corre per succedere a Michael Bloomberg nella carica di sindaco, in forte risalita tanto da insidiare la favorita Christine Quinn ma ad un passo dalle primarie di settembre ecco lo scandalo che rischia di affossarlo. Niente foto porno mandate via Twitter come per Anthony Weiner, ma una confessione ancora più dirompente: «Io sono cresciuto a Cambridge, nel Massachusetts e adoro i Red Sox: ho sempre sognato di essere uno di loro. Lo ammetto, sono un grande tifoso, nutro una profonda devozione. Io voglio bene alla mia città, sono nato a Manhattan, ma rimango fedele alla squadra della mia giovinezza. La passione sportiva non si cambia a comando». Poi prova a rimediare: «Certo farei festa se New York vincesse», ma nessuno lo sta più ad ascoltare. Radio, siti e televisioni lo processano in diretta. Gli avversari sono senza pietà: «Deve essere squalificato dalla gara», attacca Adolfo Carrion, indipendente. E il collega di partito Sal Albanese è ancora più cattivo: «Giuro che lo sosterrò quando deciderà di partecipare alle elezioni di Boston».
Per il New York Times «rischia di accadere qualcosa di assolutamente impensabile». I sindaci precedenti infatti si sono nutriti a parole e sport da sempre, in particolare il baseball che racchiude l’epica americana. Le tinte color seppia che fanno subito leggenda, le foto di Joe di Maggio, la pallina di Underworld raccontata da Don DeLillo, la favola di Jackie Robinson. Piccola eccezione Michael Bloomberg, anche lui cresciuto a Boston e anche lui all’inizio protagonista di qualche gaffe: si presenta ad una parata con i calzini rossi dei rivali. Ma è un attimo, il suo cinismo gli fa da bussola e divide il mandato con presenze fisse nelle tribune delle due squadre cittadine. Studia la lezione e la recita a memoria: «Ho sempre amato Mickey Mantle», altro volto da hall of fame. Ma Bill de Blasio non è così: «Lui è sincero, ha coraggio», gli concede Maureen Dowd, editorialista del New York Times. Rudy Giuliani si definisce un «tifoso rabbioso, quasi violento », per lui cappellino e giacca sportiva sono una sorta di seconda divisa. Le cronache politiche raccontano che nel 1969 John Lindsay è messo male, va incontro ad una sconfitta sicura, poi si fa fotografare inzuppato di champagne nello spogliatoio dei Mets e stravince.
Amanda è giovane ma da sempre vende souvenir degli Yankees ai piedi della tribuna: fede e lavoro. Lei ha il dono della sintesi: «Quel De Blasio non lo voto. Non mi fido di uno che tifa Red Sox». Fa caldo dentro lo stadio, il settore 209 è presidiato da famiglie. Birre e hot dog ad ondate, l’odore della senape si mischia all’umidità che sale dal campo. Alvaro e Patricia vengono da Brooklyn, a loro era pure simpatico: «Attacca tutti i giorni Bloomberg e questo va bene. Vuole una città senza lustrini, sa che non esiste solo Manhattan. Ma questa storia del baseball non ci voleva». Sul diamante Ichiro Suzuki colpisce la sua battuta numero 4000 e corre verso le basi, ma il gioco si ferma, i suoi compagni entrano in campo e lo abbracciano. È un record storico. Lo stadio lo celebra, lui si inchina. Alvaro si gira e dice: «Ecco cosa farebbe stasera De Blasio? Secondo me non sarebbe qui a far festa con noi».
Presunti amici del candidato raccontano che sul lavoro è uno che provoca, fa battute, scommette sempre. Una volta incassa il pegno da una collega costringendola ad andare in giro con il cappellino dei Red Sox. Poi bestemmia: «Gli Yankees sono dei sopravvalutati». Tornato a New York per il college non rinnega i suoi eroi e alterna esami e liti con i compagni: «La mia squadra spesso era data per perdente ma io ho assistito a grandi imprese: per me questa è stata un’importante lezione», ripete provando a buttarla in filosofia. Christine Quinn, come con Weiner, per ora prende tempo non affonda i colpi contro il nemico in difficoltà. Si limita a far sapere: «Io tifavo Mets, poi per amore di mia moglie Kim sono passata agli Yankees. Lei mi disse: non tollero diversamente». Gli strateghi suggeriscono una mossa a sorpresa: «Al rush finale dica che si è convertito ».
Gli Yankees vincono 4 a 2 sui Toronto Blue Jays, Molte birre dopo, con il sole calato dietro le tribune, gli occhi lucidi Ryan quasi ci ripensa: «Sai cosa ti dico? Beh, almeno è stato onesto, che per un politico è già qualcosa». Poi si infila tra la folla tenendo per mano il figlio.