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 2013  agosto 23 Venerdì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - BOMBE A TRIPOLI DEL LIBANO, IL MEDIO ORIENTE IN FIAMME


TRIPOLI - Due forti esplosioni hanno provocato almeno 27 morti e 358 feriti a Tripoli, la seconda città del Libano. Gli attentati si sono verificati nei pressi di due moschee sunnite, al termine della preghiera del venerdì. Il bilancio, ancora provvisorio, è stato diffuso dal ministro della Salute, Ali Hassan Khalil. Il primo attacco è stato messo a segno, vicino alla moschea di Taqwa, nei pressi della casa del primo ministro uscente Najib Mikati. Si tratta dell’usuale luogo di preghiera per Salem Rafei, un religioso salafita in contrasto con il gruppo militante libanese di Hezbollah. Non è chiaro se si trovasse all’interno della moschea, tuttavia secondo prime notizie non sembra sia rimasto ferito. Lo scoppio si è verificato al momento dell’uscita dei fedeli.
La seconda esplosione ha scosso, cinque minuti dopo, la zona del porto, vicino alla moschea di Salam e non lontano dalla casa dell’ex capo della polizia Ashraf Rifi. Le emittenti libanesi hanno mostrato alte colonne di fumo, facciate degli edifici colpite e veicoli in fiamme. I predicatori di entrambe le moschee sono oppositori del presidente siriano Assad e del suo alleato siriano Hezbollah.
Un’azione che mira a "fomentare il conflitto" in Libano. Così il primo ministro Mikati ha condannato l’accaduto. "Ma promettiamo ai nostri figli e fratelli a Tripoli che rimarremo al loro fianco, specialmente in questo momento critico", ha aggiunto il premier.
Le esplosioni nella città costiera libanese arrivano a una settimana di distanza dall’autobomba kamikaze che ha investito i sobborghi meridionali di Beirut, roccaforte di Hezbollah, uccidendo 27 persone. Negli ultimi mesi Tripoli è stata teatro di combattimenti tra sunniti, sostenitori dell’opposizione siriana, e alawiti, vicini a Bashar al-Assad.
Il raid israeliano. Cresce anche la tensione con Israele. L’aviazione di Tel Aviv ha bombardato un "sito terroristico" vicino Nàameh, tra Beirut e Sidone, in risposta al lancio di razzi libanese di ieri. Secondo la tv al-Manar, gli aerei israeliani hanno colpito la base di un gruppo di militanti palestinesi a 15 chilometri a sud della capitale libanese. Altre fonti hanno precisato che si tratta di una posizione, e in particolare di tunnel utilizzati per gli spostamenti e per il lancio di razzi, del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina-Comando Generale (Pflp-Cg), gruppo guidato da Ahmed Jibril, basato a Damasco, con stretti legami con l’Iran e il partito sciita libanese Hezbollah. Non ci sono state vittime.
Ieri sono stati quattro i razzi lanciati dal Libano contro le città di Nahariya e Acri, nel nord dello stato ebraico. Uno intercettato dalle batterie antimissili ’Iron Dome’, gli altri tre andati a vuoto. Un portavoce del Pflp-Cg ha negato ogni coinvolgimento nell’attacco, rivendicato su Twitter dalle Brigate Abdullah Azzam, organizzazione legata ad Al Qaeda che ha già rivendicato attacchi simili nel 2009 e nel 2011.
Il premier israeliano Benyamin Netanyhu aveva avvertito: "Chiunque ci faccia male o provi a farlo, sappia che si farà male".
Secondo il portavoce dell’esercito Yoav Mordechai, i responsabili dei lanci sarebbero questa volta "membri della jihad internazionale" sunnita (sempre più attivi anche nella vicina Siria, all’interno dello schieramento anti-Assad) e non Hezbollah sciiti libanesi.
La zona di tiro - ha aggiunto Mordechai - si trova nei pressi del villaggio di Kalila, a sud della città di Tiro. Notizia poi confermata dall’esercito libanese.
L’episodio di oggi è stato in qualche modo collegato dagli analisti all’incidente di confine di due settimane fa quando quattro soldati israeliani furono feriti in un’esplosione a ridosso della frontiera (secondo l’esercito di Beirut all’interno del territorio libanese). E più in generale alle violente turbolenze che investono la regione circostante.
Il ministro della Difesa israeliano, Moshe Yaalon, ha ricordato nei giorni scorsi che "se per lungo tempo i confini sono stati relativamente tranquilli, ora non ci sono garanzie. Il Medio Oriente è in tumulto".

BAMBINI IN FUGA IN SIRIA
ROMA - Il numero di bambini rifugiati fuggiti dal conflitto in Siria ha raggiunto oggi la drammatica soglia del milione. Lo rivelano gli ultimi dati dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Acnur) e dall’Unicef resi noti oggi a Ginevra. Del milione di bambini e minorenni costretti a fuggire dal proprio Paese, circa i tre quarti, 740mila, hanno meno di undici anni, precisano le due agenzie specializzate delle Nazioni Unite.
"Questo milionesimo bambino rifugiato non è solo un altro numero. E’ un vero bambino in carne ed ossa strappato alla sua casa, forse anche alla famiglia, di fronte a orrori che possiamo solo cominciare a capire", ha dichiarato il direttore generale dell’Unicef Anthony Lake denunciando il "fallimento della comunità internazionale" di fronte alle sue responsabilità.
"Dobbiamo tutti condividere la vergogna", ha aggiunto. Per l’Alto Commissario Unhcr Antonio Guterres, sono "in gioco la sopravvivenza ed il benessere di una generazione di innocenti".
I giovani siriani "hanno perso la loro casa, i loro familiari ed il loto futuro. Anche dopo aver attraversato il confine verso la sicurezza, sono traumatizzati, depressi ed ha bisogno di un motivo di speranza", ha aggiunto.
Secondo gli ultimi dati delle due agenzie specializzate delle Nazioni Unite, circa 3.500 bambini e minorenni siriani sono giunti in Giordania, Libano e Iraq non accompagnati o separati dalle loro famiglie e globalmente i minorenni costituiscono circa la metà dei due milioni di profughi fuggiti dalla guerra in Siria e giunti in Libano, Giordania, Turchia, Iraq ed Egitto. Sempre più spesso, i siriani approdano anche in Nord Africa e in Europa.
Il prezzo pagato dall’infanzia siriana al conflitto, entrato nel suo terzo anno, è enorme. Al milione di bambini rifugiati si sommano infatti oltre due milioni di bambini e minorenni sfollati all’interno del loro Paese e l’Onu stima che almeno in 7mila sono stati uccisi. I bambini e minorenni rifugiati sono inoltre esposti a minacce quali il lavoro forzato, il matrimonio precoce e lo sfruttamento sessuale. Unhcr, Unicef e l’Onu si sono mobilitate per assistere i rifugiati siriani, ma molto resta da fare e solo il 38% dell’appello di fondi per finanziare gli aiuti ai profughi fino alla fine dell’anno è stato ricevuto.

SULLE ARMI CHIMICHE A DAMASCO
SEOUL - La diplomazia internazionale non riesce a trovare un’unica voce sul conflitto siriano e in particolare sull’attacco con armi chimiche che secondo i ribelli ha provocato oltre mille morti. Ufficialmente tutte le cancellerie sono d’accordo sulla necessità di un’indagine Onu, ma nei fatti prevalgono le divisioni. Mosca, che ha sempre appoggiato il regime di Damasco, da una parte auspica un’inchiesta approfondita e dall’altra insiste nell’affermare che la denuncia dell’opposizione siriana è "chiaramente una provocazione". Il governo di Londra è certo che le forze del presidente Bashar Al-Assad abbiano effettivamente usato gas nervino contro i civili alla periferia di Damasco. L’amministrazione americana adotta formalmente una posizione più cauta sottolineando che bisogna in primo luogo accertare se e da chi sono state utilizzate sostanze messe al bando.
La posizione russa. Tramite il portavoce del ministero degli Esteri, Alexander Lukashevic, Mosca insiste sulla tesi della "provocazione" e sostiene che il materiale che accusa l’esercito siriano di aver usato le armi chimiche vicino a Damasco era stato preparato prima dell’incidente. Il governo russo accusa inoltre l’opposizione siriana di ostacolare un’indagine obiettiva: "Sfortunatamente non stanno arrivando i segnali necessari dall’opposizione, inclusa la sua disponibilità a garantire la sicurezza e l’efficacia del lavoro degli esperti Onu nel territorio controllato dai militanti", si legge in una nota.
Date queste premesse, per il ministero degli Esteri di Mosca sono "inaccettabili" i richiami all’uso della forza contro il regime di Assad fatti in questi giorni da alcuni governi europei: "In questo contesto di nuova ondata di propaganda anti-siriana, noi pensiamo che gli appelli da qualche capitale europea a fare pressioni sul Consiglio di sicurezza dell’Onu e ricorrere alla forza siano inaccettabili". Il riferimento sembra, in particolare, a Parigi. Ieri il ministro degli esteri francese, Laurent Fabius, ha dichiarato che "qualora fosse confermato (l’uso delle armi chimiche, ndr) la posizione della Francia è che è necessaria una reazione, una reazione che può assumere la forma di un’azione di forza" (video).
Questa presa di posizione dai toni durissimi contrasta con il comunicato diffuso dallo stesso ministero dopo il colloquio telefonico tra il capo della diplomazia di Mosca Serghiei Lavrov e il segretario di Stato Usa John Kerry, secondo cui Mosca e Washington condividono la necessità di una "inchiesta imparziale". In quella conversazione il ministro russo ha affermato, secondo quanto riportato dal suo dicastero, che l’opposizione siriana deve garantire agli ispettori delle Nazioni Unite di poter visitare in maniera sicura il sito dove sarebbe avvenuto l’attacco chimico e ha assicurato di aver invitato le autorità di Damasco a collaborare all’indagine.
Le certezze di Londra. Netta, ma sul fronte opposto, la posizione del governo britannico: "Crediamo che si sia trattato di un attacco chimico ad opera delle forze di Assad - ha detto il ministro degli Esteri britannico William Hague in un’intervista televisiva - So che alcuni vorrebbero sostenere che si tratta di un complotto messo in piedi dall’opposizione in Siria ma credo che le possibilità che sia così siano molto scarse, perciò noi crediamo che si tratti di un attacco chimico condotto dal regime di Assad".
Washington tra cautela e venti di guerra. L’amministrazione Usa mantiene un atteggiamento molto cauto. Il presidente Barack Obama ha ripetuto in un’intervista alla Cnn che gli Stati Uniti, insieme agli ispettori dell’Onu, stanno cercando di raccogliere informazioni sul presunto attacco con armi chimiche ma le notizie arrivate finora stanno a indicare un "fatto enorme", che suscita "grande preoccupazione". "Siamo già in contatto con l’intera comunità internazionale - ha aggiunto il capo della Casa Bianca - ci stiamo muovendo attraverso le Nazioni Unite per cercare di favorire un suo intervento. E abbiamo chiesto al governo siriano di autorizzare un’inchiesta sul sito, perché gli ispettori Onu sono presenti in Siria. Ma non ci aspettiamo cooperazione, visti i precedenti".
Oltre le dichiarazioni ufficiali ci sono le indiscrezioni di stampa secondo cui il Pentagono ha iniziato a definire le opzioni militari per un possibile attacco in Siria. Il Wall Street Journal cita alcuni rappresentanti dell’amministrazione secondo i quali sarebbero anche stati avviati sforzi diplomatici per delineare una risposta internazionale alle accuse sull’uso di armi chimiche da parte del regime di Assad. In quest’ottica oltre a Lavrov, nelle ultime ore Kerry ha sentito al telefono Fabius, Ban Ki-moon, i ministri degli Esteri di Turchia, Giordania e Unione Europea.
Le Figaro va anche oltre e titola: "L’operazione anti-Assad è cominciata". "Secondo le nostre informazioni - scrive il giornale francese - i primi contingenti siriani addestrati dagli americani in Giordania sarebbero entrati in azione dopo la metà di agosto nel Sud della Siria. Questa offensiva potrebbe spiegare il possibile ricorso del presidente siriano alle armi chimiche". E ancora: "Un primo gruppo di 300 uomini, senza dubbio sostenuto da israeliani e giordani, così come da uomini della Cia, avrebbe attraversato la frontiera il 17 agosto. Un secondo li avrebbe raggiunti il 19. Secondo fonti militari, gli americani" addestrano "da mesi combattenti" dell’Esercito siriano libero.
Ban Ki-moon: "Crimine contro l’umanità". All’indomani della riunione del Consiglio di sicurezza, il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha ribadito che "qualsiasi utilizzo di armi chimiche, indipendentemente dalle circostanze, violerebbe il diritto internazionale. Un tale crimine contro l’umanità avrebbe gravi conseguenze per chi lo ha perpetrato". "E’ una sfida grave per la comunità internazionale nella sua totalità, e l’umanità che abbiamo in comune, e altrettanto che ciò sia avvenuto mentre la missione di esperti dell’Onu si trovava nel Paese", ha aggiunto il numero uno del Palazzo di Vetro.
Mercoledì il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite convocato d’urgenza a New York ha espresso "forte preoccupazione" e ha chiesto "chiarezza" sulle accuse dei ribelli siriani secondo i quali il regime di Damasco ha usato i gas sui civili provocando un migliaio di morti, tra i quali molte donne e bambini. Ma non ha esplicitamente chiesto un’inchiesta targata Onu limitandosi ad apprezzare la "determinazione" con cui Ban Ki-moon ha assicurato che ci sarà una "pronta indagine imparziale" su quanto avvenuto ad est di Damasco.

GLI ISPETTORI IN SIRIA HANNO IL MANDATO ESPLICITO DI VERIFICARE LA PRESENZA DI AGENTI CHIMICI NON DI TROVARNE L’ORIGINE E QUESTO LIMITA MOLTO IL LORO OPERATO.
L’ESODO DALLA SIRIA È COMINCIATO ALL’INIZIO DELL GUERRA CIVILE. GIA QUESTA PRIMAVERA INIZIO IN LIBANO C’ERANO 500 MILA RIFUGIATI FINE ANNO UN MILIONE. POI GIORDANIA E ALTRI, ANCHE IN EUROPA E GERMANIA

EGITTO
IL CAIRO - Mentre i Fratelli musulmani tornano in piazza per il "venerdì dei martiri" contro la destituzione del presidente Mohammed Morsi, la stampa governativa egiziana pubblica le proposte di modifica della Costituzione che metterebbero al bando i partiti religiosi e cancellerebbero l’art. 219 sull’interpretazione della Sharia. Gli emendamenti proposti dal comitato di revisione dovranno ora passare l’esame di un altro organismo e poi, tra due mesi, la Carta sarà sottoposta a referendum.
La tensione in tutto il Paese rimane altissima e non ha certo contribuito a placare gli animi la scarcerazione dell’ex raìs Hosni Mubarak, ora ai domiciliari in un ospedale militare. Migliaia di sostenitori di Morsi hanno inscenato nuove manifestazioni dopo la preghiera del venerdì. I dimostranti inneggiano al presidente deposto e alla Fratellanza musulmana, ma negli slogan rivendicano: "Non siamo Fratelli musulmani, solo musulmani".
E’ di almeno un morto e 14 feriti il bilancio dei violenti scontri in corso a Tanta, nel Delta del Nilo. Ad Assiut, a circa 350 chilometri dal Cairo, la polizia ha sparato lacrimogeni sui dimostranti. Cortei si sono svolti anche ad Alessandria.
E il portavoce del generale al-Sisi stronca ancora Morsi: "ha fatto più errori in un anno che i regimi dittatoriali in 80 anni" commentando la destituzione dell’ex presidente, della quale proprio al-Sisi è considerato l’artefice e aggiunge "se Hamas è terrorista lo è anche la Fratellanza"
Proprio in vista delle nuove manifestazioni indette per oggi, il Cairo è tornata una città blindata: truppe e unità speciali della polizia sono schierate in tutti i punti nevralgici, anche se con l’evidente ordine di mantenere un profilo basso; chiuse la strategica piazza Tahrir e le principali arterie urbane, si vedono blindati e reticolati di filo spinato ovunque. La mobilitazione è un test per la Fratellanza musulmana che spera di riuscire a mantenere la pressione sul governo ad interim e sull’esercito tramite la piazza. Dal 3 luglio scorso, giorno della destituzione di Morsi, centinaia di persone sono state uccise e centinaia di attivisti del movimento sono stati arrestati, compreso il leader Mohammed Badie.
Sia sulla Siria, sia sull’Egitto, il presidente americano Barack Obama sulla Cnn sostiene che è arirvata l’ora delle scelte e intende assumere decisioni chiave.

CORRIERE.IT
Due forti esplosioni si sono verificate, venerdì, a Tripoli, la seconda città del Libano: il primo ordigno è esploso vicino alla moschea al Taqwa nel quartiere di Zahiriye, durante le ore della preghiera del venerdì; secondo quanto riferito dalla tv libanese «Lbc» e dalla radio «Voce del Libano», si contano centinaia di feriti. L’esplosione di Zahiriye è avvenuta nel centro della città e vicino a due obiettivi sensibili: il primo poco lontano dal luogo dove, giovedì, è stato ucciso in un agguato un miliziano vicino al movimento sciita Hezbollah e nei pressi della casa del premier dimissionario Najib Mikati che tuttavia, secondo il suo ufficio, in quel momento non si trovava a Tripoli. Da segnalare, inoltre, che l’imam della moschea al Taqwa, Salem al Rafei, è un noto predicatore sostenitore della rivolta siriana contro il regime di Damasco. Non è chiaro se il religioso salafita, che si oppone al gruppo militante libanese Hezbollah, si trovasse al momento dell’esplosione all’interno della moschea.
MORTI E DISTRUZIONE - La seconda bomba, invece, è esplosa - cinque minuti dopo - vicino alla moschea Salam nel quartiere di Al Mina, dove è situato il porto, non lontano dall’abitazione dell’ex capo della polizia Ashraf Rifi. Le emittenti libanesi hanno mostrato alte colonne di fumo, facciate degli edifici colpite, corpi senza vita e veicoli in fiamme. Si sarebbero sentiti, nella zona dove è situata la moschea Salam, anche colpi d’arma da fuoco e, in un primo momento, fonti istituzionali libanesi, parlavano di almeno 27 morti e 352 feriti. Un bilancio che si aggravato nel corso delle ore: il direttore delle operazioni della Croce Rossa in Libano, Georges Kettane, riferisce all’agenzia Reuters che «le persone morte nei due attentati sono 29, almeno 500 i feriti».
DOPPIO ATTENTATO - Tripoli è regolarmente teatro di scontri tra fazioni armate sunnite, oppositrici del regime siriano di Bashar al Assad, e alawite, schierate con il presidente. Il 15 agosto scorso un attentato ha provocato 24 morti nel sud di Beirut, roccaforte del movimento sciita Hezbollah, le cui milizie combattono in Siria al fianco di quelle di Assad. Il primo ministro libanese ad interim, Najib Miqati, commentando la notizia delle esplosioni avvenute nei pressi di due moschee ha sottolineato che «una mano criminale una volta ancora ha colpito Tripoli» con l’obiettivo di «fomentare il conflitto» in Libano. «Ma Tripoli e la sua gente dimostreranno di nuovo che sono più forti della cospirazione - ha concluso il primo ministro - e non permetteranno che il conflitto mini la loro fede in Dio e nella Nazione».

CORRIERE.IT
GINEVRA - Il numero di bambini rifugiati fuggiti dal conflitto in Siria ha raggiunto venerdì la drammatica soglia del milione. Lo rivelano gli ultimi dati dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) e dall’Unicef resi noti a Ginevra. Del milione di bambini e minorenni costretti a fuggire dal proprio Paese, circa i tre quarti, 740 mila, hanno meno di 11 anni, precisano le due agenzie specializzate delle Nazioni Unite. «Questo milionesimo bambino rifugiato non è solo un altro numero. È un vero bambino in carne ed ossa strappato alla sua casa, forse anche alla famiglia, di fronte a orrori che possiamo solo cominciare a capire», ha dichiarato il direttore generale dell’Unicef Anthony Lake denunciando il «fallimento della comunità internazionale» di fronte alle sue responsabilità. «Dobbiamo tutti condividere la vergogna», ha aggiunto.
«GENERAZIONE DI INNOCENTI» - Per l’Alto Commissario Unhcr Antonio Guterres, sono «in gioco la sopravvivenza ed il benessere di una generazione di innocenti». I giovani siriani «hanno perso la loro casa, i loro familiari ed il loro futuro. Anche dopo aver attraversato il confine verso la sicurezza, sono traumatizzati, depressi ed ha bisogno di un motivo di speranza», ha aggiunto. Secondo gli ultimi dati delle due agenzie specializzate delle Nazioni Unite, circa 3.500 bambini e minorenni siriani sono giunti in Giordania, Libano e Iraq non accompagnati o separati dalle loro famiglie e globalmente i minorenni costituiscono circa la metà dei due milioni di profughi fuggiti dalla guerra in Siria e giunti in Libano, Giordania, Turchia, Iraq ed Egitto. Sempre più spesso, i siriani approdano anche in Nord Africa e in Europa.
ALTRI 2 MILIONI ALL’INTERNO - Il prezzo pagato dall’infanzia siriana al conflitto, entrato nel suo terzo anno, è enorme. Al milione di bambini rifugiati si sommano infatti oltre due milioni di bambini e minorenni sfollati all’interno del loro Paese e l’Onu stima che almeno in 7 mila sono stati uccisi. I bambini e minorenni rifugiati sono inoltre esposti a minacce quali il lavoro forzato, il matrimonio precoce e lo sfruttamento sessuale. Unhcr, Unicef e Onu si sono mobilitate per assistere i rifugiati siriani, ma molto resta da fare e solo il 38% dell’appello di fondi per finanziare gli aiuti ai profughi fino alla fine dell’anno è stato ricevuto.

BRERA SU REPUBBLICA DI STAMATTINA
Niente da fare, il giorno dopo il massacro dei bambini di Damasco l’Onu è rimasto a braccia conserte, paralizzato dalle sue regole sui veti e dalle divisioni nei suoi membri permanenti.
Non ci sarà, per il momento, nessuna missione dei suoi ispettori scientifici per toccare con mano gli indizi, per verificare se oltre a un orrore bellico sia stato commesso anche un crimine di guerra. Una paralisi che rischia di produrre scenari inquietanti: se fosse provata l’escalation della guerra civile siriana, per la Francia sarebbe necessario «rispondere con la forza», e il Regno Unito sarebbe pronto a «tutte le opzioni».
Ma se «al momento non ci sono ancora le prove», per gli Usa ci sono comunque «forti indicazioni » che il regime di Assad abbia effettivamente attinto al suo arsenale chimico. E il presidente francese Hollande definisce «molto probabile» l’uso delle armi di sterminio. Secondo Debka, poi, un sito di informazione israeliano con buone fonti nell’intelligence, i Servizi israeliani sono addirittura in possesso della registrazione dell’ordine di sparare i gas, impartito dai comandanti di alcune batterie di missili siriani.
david cameron con i militaridavid cameron con i militari
L’Onu rimane al palo. Quei dodici chilometri tra il Four Seasons di Damasco, dove alloggiano gli ispettori, e la periferia orientale della capitale siriana sono un
passo troppo lungo per la diplomazia internazionale: il Consiglio di sicurezza riunito mercoledì notte non li ha autorizzati a lasciare la loro camera d’albergo per andare sul posto a verificare cosa sia successo davvero mercoledì mattina prima che sorgesse il sole.
I video e le immagini dell’ecatombe hanno commosso il mondo, ma non abbastanza la sua principale istituzione che non è riuscita a trovare una posizione comune: Russia e Cina hanno ribadito di credere alla versione del regime di Assad e non hanno consentito di andare oltre un auspicio formale di «fare chiarezza ». L’unico risultato effettivo è stato un plauso alla «determinazione » del presidente Ban Ki-Moon a bandire una «pronta indagine
imparziale», una minestrina sciapa che rischia di produrre uno strappo gravissimo.
«Se il Consiglio di sicurezza non è in grado di rispondere, dobbiamo farlo in un altro modo», dice il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, chiarendo però che «non è in discussione mandare truppe sul campo». E la Turchia rilancia auspicando un immediato intervento perché si è «ampiamente superata ogni linea rossa».
Camminando come può sui fili della diplomazia, il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon è «molto preoccupato»: ha spedito il suo vice a Damasco, e ha ordinato agli inviati di trattare con il regime una visita nei distretti bombardati. Il governo, però, ha già risposto che al momento è impossibile: sarebbe «troppo pericoloso» per gli ispettori. Già, perché nel frattempo l’attacco lealista contro «i terroristi » asserragliati nei sobborghi orientali della capitale prosegue, durissimo. Altri bombardamenti, altri morti.