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 2013  agosto 23 Venerdì calendario

SINDROME FANTOZZI: PERCHÉ I MALI ALTRUI CI FANNO RIDERE


C’è chi ride vedendo i film di Fantozzi o quando qualcuno, per la strada o in una videoraccolta di gaffe come Paperissima, scivola goffamente a terra. Chi, in treno o sul tram, assapora con una certa voluttà le reprimende del controllore al passeggero senza biglietto. Ma anche chi sogghigna quando racconta agli amici che la casa dei vicini è stata svaligiata dai ladri. Per non parlare di quelli che, scomparsi da tempo i circhi con i gladiatori, guardano su YouTube le clip delle «bum fights», le lotte tra homeless pagati qualche dollaro per azzuffarsi. Sono esempi, in un crescendo che dal peccato veniale scivola verso l’orrore, di un’emozione particolare, e così malvista socialmente da non aver neppure trovato nome nelle lingue occidentali. Fa eccezione il tedesco, avvantaggiato dalla facilità con cui costruisce un nuovo termine semplicemente affiancandone altri due, in cui esiste Schadenfreude, ovvero gioia (Freude) per il danno (Schaden) ovviamente altrui.
Gli psicologi definiscono questa emozione «discordante», perché sorge da un conflitto di interessi tra chi la prova e chi ne è il bersaglio. Perciò provarla, soprattutto nei casi in cui il «danno» non è un semplice scivolone, spesso non fa sentire del tutto a proprio agio. In passato però anche forme estreme di Schadenfreude erano considerate socialmente accettabili: basta pensare alle esecuzioni in piazza e ai loro soddisfatti spettatori, in prima fila le tricoteuses, le magliaie francesi che ai tempi del Terrore si sedevano sotto la ghigliottina per godersi l’agonia dei decapitati. Ma forse giova ricordare che anche nel nostro civile secolo la fine di tiranni o di signori del terrore, per quanto cruenta, spesso non produce solo triste sollievo ma anche veri festeggiamenti.
Sulla gioia per il dolore degli altri è appena uscito un libro, The Joy of Pain: Schadenfreude and the Dark Side of Human Nature (Oxford University Press, pp. 256). L’ha scritto Richard Smith, docente di psicologia all’Università del Kentucky. «La Schadenfreude è un sentimento poco ammesso, ma molto diffuso, perché rappresenta un vantaggio evolutivo» spiega. «È vero che come animali sociali tendiamo alla cooperazione, perché questa fa sì che il nostro gruppo prosperi. Ma è vero pure che nelle tante situazioni competitive della vita quotidiana, godiamo quando siamo in una situazione di vantaggio. E, anche quando questa superiorità si ottiene per un errore o un difetto altrui, è naturale, per quanto poco nobile, sentirci gratificati. Se non lo fossimo, significherebbe che non ci interessa il confronto sociale. E rischieremmo di finire su un ramo avvizzito della pianta dell’evoluzione». Proprio in virtù della nostra natura di animali sociali, la gioia per i guai altrui raggiunge l’apice quando chi si trova a malpartito appartiene a un gruppo rivale. Così se un calciatore, solo davanti al portiere, invece di segnare cade a terra malamente, non mancano mai i cori di gioia di tifosi della squadra avversaria. Il gusto un po’ (o anche molto) maligno di ridere dei guai degli altri si estende però anche a persone che non minacciano né noi né il nostro gruppo. Un giorno un ragazzo canadese un po’ sovrappeso si filmò mentre mimava goffamente, con un’asta metallica, i virtuosismi Jedi con le spade laser. I suoi amici gli fecero lo «scherzo» di diffondere il video via internet. Risultato: lo «Star Wars Kid» fu deriso da 28 milioni di internauti e finì dallo psichiatra.

«Ci sono ancora pochi studi sulle condizioni che scatenano la Schadenfreude» spiega Almut Rudolph dell’Università di Lipsia, coautore di uno studio pubblicato sulla British Psychological Society, che è anche il primo su questo sentimento nei bambini. «Noi abbiamo mostrato che appare già intorno ai quatto anni di età. Se raccontiamo a un bambino una storia dove Sarah vuole cogliere delle mele e però cade malamente dall’albero, la reazione è di solito una risata. Però la Schadenfreude si manifesta di più se lo scopo di Sarah era cattivo (prendere le mele per tirarle al fratellino) piuttosto che buono (regalarle al fratellino). Insomma, nello scatenarsi di questa emozione, già nei più piccoli, interviene una valutazione morale».
Ecco perché oggi gli scienziati sono affascinati dalla Schadenfreude. È un impulso di cui ci si vergogna perché lo si considera imbarazzante, primitivo e poco sociale: dietro di esso, intravediamo il cavernicolo esultante per essere stato risparmiato dal leone che ha sbranato un altro, più sfortunato, troglodita. Però è anche un’emozione che ha a che fare, almeno in parte, con il senso di giustizia, con le nostre valutazioni morali, ossia con le funzioni più alte del cervello.
«In una società è importante avere un’idea della giustizia e, se non sentissimo soddisfazione quando un qualche ordine morale viene ristabilito, non avremmo alcuno stimolo ad agire contro ciò che percepiamo come ingiusto» spiega ancora Richard Smith. Questo può però condurre a casi estremi e inquietanti come la trasmissione americana To Catch a Predator: «Lì dei potenziali pedofili venivano contattati in chat da finti minorenni e invitati a recarsi in case piene di telecamere. Qui, invece della loro vittima, si trovavano di fronte il conduttore Chris Hansen, che li svergognava in diretta. Prima dava spazio alle loro risibili scuse, poi sviscerava i contenuti delle chat che li inchiodavano. A questo punto c’era l’intervento dalla polizia, con messa a terra del pedofilo e arresto in favore di telecamera» racconta Smith. «Lo spettatore era invitato a godersi senza remore la distruzione psicologica di questi uomini perché gli veniva ricordato in ogni istante che si trattava di persone abominevoli. La trasmissione è stata interrotta nel 2007, dopo il suicidio di uno degli uomini smascherati da Hansen».
Ma ad alimentare la Schadenfreude ci sono anche sentimenti più controversi di un senso della giustizia più o meno draconiano. Per esempio, l’invidia. «Soprattutto quella inconscia, che non ammettiamo neppure con noi stessi. Ma che può influenzare i nostri comportamenti» dice Smith. «L’invidia è un sentimento psicologicamente dannoso per chi lo prova: se ammetto di invidiarti, ammetto infatti al tempo stesso di essere inferiore a te. Inoltre, se tradisco la mia ostilità nei tuoi confronti, mi danneggio perché tu mi ripagherai con moneta simile. Così, quando qualcuno che invidiamo segretamente subisce un danno, la Schadenfreude ci inebria perché la nostra aggressività repressa può sublimarsi». Arthur Schopenhauer, in proposito, aveva le idee chiare: «L’invidia è umana, la Schadenfreude è diabolica». Difficile non vederla strettamente imparentata con il sadismo. «Il sadismo implica però una parte attiva nel causare agli altri un dolore da cui trarre appagamento. La Schadenfreude invece è passiva: è il piacere per le sventure altrui, che non abbiamo provocato. È un’emozione meno malvagia ma più vile» spiega Smith. «Credo però che, nelle sue forme estreme, sia proprio al confine con il sadismo. Se il dolore degli altri non è meritato, se non se ne trae nessun vantaggio personale e se gli altri non sono oggetto di invidia, allora significa che si sta traendo piacere proprio dalla sofferenza stessa. In questo caso la Schadenfreude è sadica».
Chi non ha mai pensato, del resto, che ci sia anche qualcosa di simile al sadismo nell’interesse dei telespettatori per trasmissioni come L’isola dei famosi o il Grande Fratello, costellate di occasioni in cui qualcuno viene umiliato, isolato o offeso dagli altri? «La Schadenfreude è in effetti un sentimento molto televisivo» dice Smith. «In combinazione con la rete diventa ubiquo e sempre presente nel tempo. Oggi moltissimi hanno in tasca un cellulare con cui sono pronti a immortalare qualcuno che si rende ridicolo, per poi caricare la scena su YouTube e darla in pasto al mondo. Prendiamo la figuraccia fatta da una concorrente a Miss Teen Usa 2007 durante un’intervista nella quale mostrò un’ignoranza abissale: a oggi quella scena ha raggiunto e fatto ridere via YouTube sessanta milioni di persone».