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 2013  agosto 23 Venerdì calendario

L’AUTUNNO PATRIARCA


MADRID. Il Palazzo della Zarzuela ha 386 anni. L’attuale inquilino 75. E solo un po’ meno acciacchi. Nemesi tremenda. Lui che andava pazzo per Porsche e Harley Davidson, si ritrova adesso inchiodato al più antieroico fra i mezzi di locomozione: le stampelle. Grucce hi-tech. A misura di ex centauro. Dotate di ammortizzatori, luci di segnalazione, addirittura un clacson. Ma non hanno pesato sull’erario. A Su Majestad le ha regalate la ditta che le fabbrica. Juan Carlos deve percorrerci sei chilometri a settimana. Ordine del fisioterapista, affinché si riprenda dall’ennesima operazione. Ernia del disco. E così, quando non è in giro, lo vedono pencolare lento per i saloni della Zarzuela. E quasi non lo riconoscono. Il Re gaudente, ora triste, solitario. Se non final, quantomeno muy crepuscular.
La popolarità in pezzi. Un’immagine pubblica butterata da scandali familiari, dissapori coniugali, pettegolezzi altamente inquinanti, gaffe planetarie. Pare che, a febbraio, Don Juan abbia preso in seria considerazione l’idea di abdicare a favore del figlio Felipe. Ma che poi l’abbia richiusa in cassaforte. Concedendosi ancora qualche anno di tregua. Per rincollare i cocci, restituire alla monarchia uno straccio di credibilità
«Simbolo della permanenza e dell’unità della Patria, la Corona non può tollerare in alcuna forma azioni o atteggiamenti di persone che pretendano di interrompere con la forza il processo democratico».
«Mi dispiace tanto. Ho sbagliato. Non succederà più».
Segnatevi queste due frasi. Sono l’alfa e l’omega del regno, ormai quasi quarantennale, di Juan Carlos De Borbón y Battenberg. La prima il Re la pronunciò in tv la notte del 23 febbraio 1981, soffocando in culla le velleità dei militari golpisti che volevano riportare indietro le lancette della transizione postfranchista. La seconda è dell’aprile 2012. Quando – davanti alla Spagna strozzata dalla crisi – il sovrano chiese scusa per un safari in Botswana – elefantiaco e pagato da amici arabi – durante il quale era caduto sfasciandosi un’anca. Da allora, per Sua Altezza, solo rogne.
Altre due volte in sala operatoria. La figlia Cristina impigliata nelle inchieste sui paludosi affarucci del marito Iñaki Urdangarin: supposta appropriazione truffaldina di fondi pubblici. L’indagine va avanti e non è detto che non raggiunga il monarca – anche se, per Costituzione, lui sì che è legibus solutus, blindato da regia immunità.
Eppoi c’è la faccenda dei conticini in Svizzera: l’equivalente di 2,2 milioni di euro. Re Juan Carlos li ricevette in eredità dal genitore, Don Juan senior. Ma giura di averli spesi tutti per ripianare i buffi lasciati da papà. Il caso sembra archiviato. Però i bilanci borbonici restano una nebulosa.
Certo, rispetto a casa Windsor, quella spagnola ha l’aria di una monarchia low cost: un appannaggio di 8 milioni annui contro i 45 e rotti di Buckingham Palace. Ma non è tutto. Imboscate nei budget dei vari Ministeri – Esteri, Interni, Difesa... – voci di spesa quali viaggi, sicurezza, trasporti, ricevimenti, manutenzione giardini o scuderie formano una ragnatela quasi del tutto inesplorata. È vero, Juan Carlos – che da tempo arrotonderebbe facendo da intermediario discreto in maxi transazioni di Stato (petrolio, telecomunicazioni, alta velocità, turismo) – paga le tasse: aliquota del 40 per cento. Ed è vero che nel 2011 la Corona ha infine reso pubblici i propri conti. Ma è anche vero che non succedeva dal 1979. E che ne sono venute fuori quattro paginette smunte. Robetta a confronto dell’arcigna glasnost praticata dai Reali d’Inghilterra: 150 cartelle on line nelle quali c’è un giustificativo per tutto, dal parrucchiere all’acquisto materassi. Quanto al patrimonio personale del Sovrano, il New York Times la sparò un po’ troppo grossa stimandolo a 1.800 milioni di euro. Dal nonno Alfonso XIII, Juan Carlos ebbe in lascito 100 milioni. Da ripartire tra quattro eredi. Stop. Sui forzieri di casa Borbone di più non si sa.
JC non è di quelli col pallino dello sfarzo. Sin dall’inizio – in tempi nei quali sobrietà non era ancora una parola mantra – ha rinunciato alla corte; si è circondato di uno staff leggero; sulla carta d’identità, alla voce professione, ha fatto scrivere: funzionario statale; ha mollato il Palacio de Oriente, pomposa reggia franchista, destinandolo agli eventi di rappresentanza; è andato ad abitare nel misurato lusso della Zarzuela «dove, almeno, per avere un bicchiere d’acqua non devi aspettare venti minuti». Eppure in lui il pragmatismo da monarca postmoderno sembra coabitare con un immaginario rétro, una visione ludica e spericolata dell’esistenza da viveur anni Settanta. A riprova, l’impressionante sequela di infortuni che hanno tempestato la carriera di Sua, più volte lesa, Maestà. In sintesi, 1981: dopo una partita di squash, JC corre per un tuffo in piscina, non nota una porta di cristallo troppo trasparente e ci si schianta contro. Tagli a torace, braccia, naso, gambe. 1983: lesione pelvica mentre scia a Gstaad, Svizzera; 1989: contusioni ed escoriazioni multiple in seguito a una caduta sulle piste di Courchevel, Alpi francesi. 1995: a Baqueira Beret, Pirenei, viene travolto da un pirata delle nevi. Frattura della tibia. 1995: a Candanchú, Pirenei aragonesi, scivola su una lastra di ghiaccio perdendo il controllo dell’auto. Danni alla mano. Senza contare gli occhi pesti. Quello del 2011, quando intruppò contro un armadio della Zarzuela. O quello del 1988, durante una spedizione venatoria in Svezia. Colpa di un ramo.
L’uomo è cacciatore. Il Wwf se n’è accorto in ritardo e subito ha ritirato a Juan Carlos la presidenza onoraria. Certo, da un Re così non si può pretendere che passi le serate davanti alla tv addentando hamburger alle staminali. Ma c’è un limite a tutto. Gli elefanti del Botswana non sono stati che l’ultimo trofeo. Prima di loro, cervi, stambecchi, cinghiali, pernici, caprioli... Nel 2006, ospite di Putin in Russia, il Sovrano abbatté un orso di cui i malevoli dissero che era stato inebetito a mezzo cocktail di miele e vodka. Calunnie. Quella di JC per le armi è passionaccia incoercibile. Antica. Perfino drammatica. 1956: il futuro monarca ha 18 anni, sta pulendo una pistola, parte un colpo. Il proiettile buca una porta centrando Alfonso, il fratello quindicenne, che resta ucciso. Nell’aprile 2012, tutti ripensarono a quell’episodio insabbiato quando Froilán, il nipote del re, si ferì a un piede maneggiando un focile. A 13 anni.
Ufficialmente, Juan Carlos era a caccia anche quella volta che – nel ‘76, dintorni di Toledo – la consorte Sofia andò a fargli Cuccù, sorpresa! E lo pizzicò al lavoro con tutt’altra preda. Lui e la Reina erano sposati da 14 anni. Da Toledo in poi divennero amici. Non tanto affettuosi. Le voci di divorzio sono ricorrenti. E l’anno scorso i due non hanno elegantemente festeggiato le nozze d’oro. A Sua Maestà la biografa Pilar Eyre ha attribuito 1.500 amanti. Bella cifretta tonda.
Ci sarebbe stata «la vedette», e «la spogliarellista dagli incredibili occhi verdi». Per tacere delle «due Paloma». E di Lady D. (che definì Juan Carlos hombre muy libidinoso). O dell’italiana «dal caschetto biondo». Caramba. L’ultima tenera amicizia, quella con la contessa di cui gli spagnoli, e non solo loro, ancora non riescono a pronunciare il nome come dio comanda: Corinna zu Sayn-Wittgenstein, tedesca residente a Londra. In Botswana erano insieme. Ma dall’epoca del putiferio si sentirebbero solo per telefono.
A raccogliere la tristezza di Juan Carlos, pochi sodali: la sorella Pilar, la figlia Elena. Tra gli interlocutori di seconda fascia, l’ex premier socialista Felipe González, l’ex segretario della Nato Javier Solana o il paron del Real Madrid Fiorentino Pérez. Da quando lei è finita sotto inchiesta, i rapporti con l’infanta Cristina sono tesi. Quelli con la moglie glaciali. Forse perché, nata in Grecia e di madre lingua tedesca, l’inconsolabile regina è da sempre patita di letture filosofiche. Con un pronunciato interesse per la metempsicosi. Eterno attor giovane, uomo delle nevi, delle savane e dei mari (nel ‘90, a Palma di Maiorca, si tuffò vestito da un gommone salvando due ragazze che stavano annegando), lui è invece poco attratto dai libri. Molti anni fa, visitando la biblioteca del regnante, l’inviato di Repubblica Sandro Viola rimase atterrito: Ben Hur, romanzi western, o le avventure di Guillermo, bimbo prodigio: Guillermo astronauta, Guillermo detective... «Avrei giurato che il giovanotto Juan Carlos fosse un po’ deficiente». Non era il solo a crederlo.
Nato in esilio a Roma («Viale Parioli, civico 54. Oppure 154... Non ricordo più bene»), JC è cresciuto con addosso l’etichetta del Rey bobo, il monarca imbelle, burattino paracadutato sul trono per continuare a servire gli interessi della dittatura anche una volta morto il dittatore. Facendone il suo erede, Franco contava di lasciare Todo atado y bien atado, tutto bene impacchettato. Ma le cose andarono altrimenti. Inviso ai falangisti, che lo prendevano a pomodorate ritenendo che la monarchia avesse tradito il Movimiento Nacional, ma applaudito da socialisti e pure comunisti (il Re li legalizzò argomentando: Non sono forse spagnoli pure loro?), Juan Carlos divenne, con Suárez, González e Carrillo, uno dei Fab Four della Transizione. Esaurito quel ruolo, si trasformò in testimonial planetario del marchio Spagna, cioè il Paese più sorprendente nell’Europa di fine millennio. Muovendosi con verve felpata, saggezza istituzionale e qualche guizzo (il, magari sopravvalutato, Perché non chiudi il becco? rivolto al logorroico Hugo Chávez durante un summit del 2007) Juan Carlos ha fatto della Corona un «anacronismo che funziona». E della Spagna una sorta di monarcubblica. Ma gli è riuscito pure il miracolo contrario: sgonfiare tutto il capitale di popolarità. A fucilate. Adesso, nel Paese in sofferenza, i giovani lo guardano come un alieno, un ricco pensionato che impiomba il regno animale e si sposta su bastoni alla Star Trek. Loro la Transizione l’avranno vista sì e no alla tv, in seconda serata. E l’immagine era pure sgranata.