Vittorio Malagutti, L’Espresso 23/8/2013, 23 agosto 2013
L’ULTIMO BLUFF DEL RAIDER ZALESKI
L’uomo più indebitato d’Italia fa il benefattore. Paradossale? Mica tanto. Se ad esempio vi chiamate Romain Zaleski e le banche non vi chiedono indietro i 6 miliardi di euro che vi hanno prestato anni fa, allora vi resterà molto tempo libero per le opere di bene. E ad applaudirvi ci saranno politici, banchieri e avvocati di grido, che continuano a frequentarvi come se nulla fosse. La Fondazione Tassara, creata dalla famiglia del finanziere francese di origini polacche, sostiene i progetti delle microimprese, aiuta l’arte e anche la squadra di calcio di Breno, il paesino bresciano, in Val Camonica, dove Zaleski, classe 1933, ha messo radici qualche decennio fa.
Nessun problema, se non fosse che il benefattore è costretto da anni ad affidarsi alla benevolenza altrui. La holding Tassara controllata da Zaleski (da non confondere con l’omonima fondazione) è sul lastrico almeno dal 2008, dai tempi del crack della finanza globale. Anzi, peggio: è tecnicamente fallita, perché anche nell’ipotesi ottimistica in cui riuscisse a vendere le proprie attività ai prezzi correnti, la società andrebbe in rosso di centinaia di milioni e potrebbe rimborsare solo un po’ più della metà del suo gigantesco indebitamento, nel frattempo diminuito fino a 2 miliardi di euro.
Se Zaleski non fosse Zaleski, ma un piccolo imprenditore qualsiasi, le banche avrebbero già perso la pazienza da un pezzo. Macchè. I grandi creditori, con Intesa in prima fila seguita da Unicredit, Monte dei Paschi e Ubi, non ci pensano neppure. Aspettano. Pazientano. Nella speranza di recuperare, prima o poi, quei prestiti incautamente concessi. Il problema è che Tassara ha investito buona parte di quei soldi in azioni delle stesse banche creditrici (Intesa, Unicredit, Mps, Ubi) e in altre attività che proprio non ne vogliono sapere di tornare alle quotazioni di quando furono acquistate, ai tempi lontani del boom delle Borse.
Così, a scadenza quasi annuale, va in scena un copione ormai collaudato. Si apre una discussione tra i banchieri. Alcuni vorrebbero voltare pagina: si vende il vendibile e poi si fanno i conti delle eventuali perdite. È questa la linea di Unicredit, esposto per 600 milioni, in buona parte assistiti da garanzie. Intesa la pensa diversamente. La più grande banca italiana, che deve recuperare all’incirca un miliardo, è disposta ad aspettare ancora. Negli anni scorsi ha prevalso quest’ultima posizione. Le banche hanno concesso tempo al loro grande creditore, imponendo un loro manager di fiducia (Pietro Modiano) alla guida di Tassara.
Tutto bene, quindi? A Zaleski, in effetti, non potrebbe andare meglio. Nonostante tutto può continuare tranquillo a frequentare salotti e fare beneficenza in attesa dell’inevitabile happy end. Quest’anno però le cose stanno prendendo una piega diversa. Anche perché è finalmente intervenuta la Banca d’Italia. Per la prima volta da quando è esploso il caso Tassara (ormai cinque anni fa), Intesa ha messo in bilancio alla voce "incagli" gli 800 milioni di crediti nei confronti della holding di Zaleski. Questo significa che l’istituto ha già accantonato fondi a fronte di possibili perdite sulla propria maxi esposizione. La novità sarebbe dovuta a un intervento della Vigilanza di Bankitalia, che nei mesi scorsi ha compiuto numerose ispezioni in banche grandi e piccole concentrate proprio sulla gestione dei crediti.
Anche le trattative per dare nuovo ossigeno, cioè tempo, a Zaleski si annunciano più difficili del previsto. Unicredit ha messo per iscritto le sue richieste. In sostanza chiede che il fronte bancario abbia maggiore libertà d’azione nella gestione della holding, soprattutto per quanto riguarda la vendita delle attività in bilancio. Già, perché sembra incredibile, ma nella gestione della Tassara quasi fallita i rappresentanti dell’azionista franco-polacco contano quanto quelli degli istituti creditori. Così non si può andare avanti,dicono in sostanza i manager Unicredit. La pratica Zaleski va archiviata in tempi certi. E possibilmente brevi.
Le trattative tra i legali delle parti in causa sono già cominciate. L’accordo ora in vigore scade alla fine dell’anno. In caso di mancato rinnovo verrebbe a cadere la cosiddetta "continuità aziendale". Per cui il bilancio 2012, non ancora approvato a otto mesi dalla chiusura dell’esercizio, diventerebbe di fatto un bilancio di liquidazione e scatterebbe la cessione. Intesa, che è più esposta e meno garantita, ovviamente tira il freno.
Zaleski, da parte sua, dispone ancora di qualche carta da giocare per limitare i danni. Tassara possiede per esempio il 34 per cento della banca polacca Alior, quotata a Varsavia. L’anno scorso il collocamento in Borsa della quota di maggioranza dell’istituto di credito, gestito via Lussemburgo dalla Tassara international, ha fruttato proventi per oltre 250 milioni. E presto, con l’obiettivo di fare cassa, potrebbe essere messa in vendita anche la quota residua controllata dalla holding presieduta da Modiano. Non per niente il titolo Alior ha guadagnato oltre il 40 per cento negli ultimi quattro mesi e adesso quel 34 per cento vale circa mezzo miliardo di euro. Un incasso importante, che si tramuterebbe in una preziosa iniezione di ossigeno per le casse della holding, che l’anno scorso ha già ricavato oltre 400 milioni di euro vendendo il proprio pacchetto di titoli Edison ai francesi di Edf, che avevano lanciato un’Opa in Borsa.
Buone notizie, certo, ma sul futuro del gruppo restano sospese le pesanti perdite del portafoglio titoli, almeno 700 milioni di euro. E allora Zaleski non può fare altro che sperare ancora una volta nella clemenza dei banchieri. Finora se l’è cavata alla grande. La rete di relazioni eccellenti del cattolicissimo finanziere con base in Val Camonica aiuta a spiegare almeno in parte quello che in apparenza sembra un miracolo. Nel consiglio di amministrazione della Fondazione Tassara, quella che fa beneficenza, troviamo per esempio il professore bolognese Filippo Andreatta, figlio dell’ex ministro democristiano Nino, nonché amico intimo del capo del governo Enrico Letta. Sulla poltrona di presidente della Metalcam, l’acciaieria di Breno controllata da Tassara, siede invece l’avvocato d’affari Gregorio Gitti, altrimenti noto come genero di Giovanni Bazoli, il banchiere che presiede Intesa ed è, a sua volta, buon amico di Zaleski.
Anche Bazoli è di casa a Breno. I giornali locali del dicembre 2011 raccontavano della visita del presidente di Intesa ad alcune istituzioni culturali del paese della Val Camonica. Lo accompagnava Romano Prodi, reduce anche da un sopralluogo alla Metalcam. Insieme a loro, segnalano le cronache del tempo, c’era anche un certo Romain Zaleski. Il benefattore Zaleski. Forse solo un omonimo del finanziere messo sul lastrico dalle spericolate operazioni di Borsa.