Gianluca Di Feo, L’Espresso 23/8/2013, 23 agosto 2013
SPESE MILITARI AVANTI TUTTA
Tagli alla Difesa? Non pervenuti. Anzi, quest’anno i fondi per gli armamenti aumentano in modo clamoroso rispetto al 2012: complessivamente saranno cinque miliardi e mezzo di euro. Merito del contributo del ministero dello Sviluppo Economico che mette a disposizione 2.182 milioni di euro per comprare caccia, autoblindo, elicotteri e fregate. Certo, il 2012 è stato il momento nero dei conti pubblici, amputati dalla spending review con una dieta severa per lo shopping militare. Ma, escludendo i carabinieri, quest’anno per le forze armate ci saranno ben 14,4 miliardi di euro; contro i 13,6 miliardi del 2012 e i 14,3 miliardi del 2011, ossia prima che la crisi si abbattesse sulla vita degli italiani. Grazie a queste risorse, nessuno dei piani per rifornire gli arsenali verrà cancellato. Tutt’al più si "diluiscono" i contratti, dividendo l’investimento su un periodo più lungo. E si spartisce l’impegno tra più dicasteri: una parte a carico della Difesa, una parte dello Sviluppo Economico. Un meccanismo che permette anche di mimetizzare i programmi che hanno raggiunto importi stratosferici e proteggerli dalle polemiche.
EUROFIGHTER A PESO D’ORO. Mentre tutti discutono del supercaccia made in Usa F-35, si scopre che un altro jet nel silenzio più totale è riuscito a superarlo. L’Eurofighter Typhoon ha toccato il record assoluto dei costi: adesso si prevede che l’Italia sborserà per i suoi intercettori supersonici 21,1 miliardi di euro. Una somma che può apparire incredibile e non ha precedenti. Non solo. La stima del governo è letteralmente decollata in meno di un anno: prima si riteneva che l’importo totale sarebbe stato di 18,1 miliardi, da pagare entro il 2018. Adesso invece il budget per questi aerei è stato ritoccato di ben tre miliardi tondi tondi. Allungando la fine dell’operazione di un triennio: un miliardo in più per ogni anno. Solo nel 2013 lo Sviluppo Economico finanzierà gli Eurofighter con 1.142 milioni. Al confronto, il cacciabombardiere F-35 sembra un mezzo low cost: l’ultimo preventivo ufficiale sfiora i dodici miliardi, da saldare entro il 2027. Finora l’Italia ha già sganciato 800 milioni per lo sviluppo del velivolo Lockheed, altrettanti per costruire l’impianto di assemblaggio piemontese di Cameri, 465 milioni per preparare basi e portaerei destinate al supercaccia americano. Quest’anno poi nel bilancio c’è mezzo miliardo di euro per comprare i primi F-35 operativi.
IL BILANCIO CORAZZATO . Le risorse per le forze armate sono rivelate nella loro interezza da un’analisi del mensile "Rid, Rivista italiana difesa": la più autorevole pubblicazione del settore diretta da Pietro Batacchi, che sarà in edicola il 27 agosto. Le cifre sono quelle elaborate dal governo Monti ormai scaduto, con un documento perfezionato ad urne chiuse nello scorso aprile. Il dossier elenca le spese del triennio 2013-2015 e ritiene che alla Difesa sia stato riservato meno dell’1 per cento del Pil: un dato inferiore rispetto agli stanziamenti delle altre potenze europee. Una valutazione contestata in Parlamento da Rosa Villecco Calipari del Pd: se il Pil è in calo di due o addirittura tre punti, come stima Bankitalia, allora il rapporto lievita parecchio e la percentuale bellica nei bilanci nazionali diventa molto più pesante.
IL PESO DELLE PAGHE. Il problema è che i due terzi dei soldi servono per gli stipendi. Oltre 9.600 milioni di euro per 177 mila militari, inclusi 22 mila ufficiali, 54 mila marescialli, 16 mila sergenti e solo 49 mila tra soldati, marinai e avieri. L’ex ministro Giampaolo Di Paola ha varato una riduzione che dovrebbe tagliare settemila uomini entro il 2016 e proseguire negli anni a seguire fino a usare solo metà dei fondi per le buste paga. Nei primi cento giorni di governo però l’attuale titolare della Difesa Mario Mauro non ha ancora firmato i decreti per far partire la riforma. Resta il solito problema: dove mettere il personale in esubero? L’ipotesi di farlo transitare nelle altre amministrazioni statali - come ha evidenziato sempre l’onorevole Villecco Calipari - rimane «suggestiva». E si rischia quindi di licenziare solamente i più giovani, i "precari in tuta mimetica" che sono fondamentali per le missioni operative: quest’anno mille verranno assunti e duemila mandati a casa.
NIENTE PIÙ REGALI. Gli unici tagli si accaniscono proprio sulla preparazione dei reparti destinati all’Afghanistan, al Libano e alle eventuali operazioni future che - con il Mediterraneo in fiamme tra rivolte e guerre civili - non appaiono remote. La voce "esercizio" infatti viene decurtata di quasi 200 milioni di euro. Sono i quattrini per la revisione dei mezzi più utili, logorati dalle spedizioni estere, e per l’addestramento delle brigate destinate alla prima linea. Ormai i magazzini di ricambi sono vuoti e ci sono molti veicoli che rischiano di restare fermi nelle caserme o finire rottamati. Ma soprattutto mancano i soldi per le esercitazioni "combat" che preparino uomini e donne ad affrontare le zone di guerra. Per questo il documento scrive chiaramente che non ci saranno più interventi gratuiti a favore di altre amministrazioni pubbliche: se i soldati devono spalare la neve, togliere i rifiuti, demolire case abusive, rimuovere frane, spegnere incendi, prima bisogna verificare che qualcuno paghi il conto. D’altro canto, si promette di razionalizzare tutta la gestione delle forze armate, puntando su quello che serve all’attività: meno uffici, meno comandi, meno doppioni tra i corpi. Si ipotizza di ridurre di un terzo caserme e basi, entro cinque-sei anni al massimo. Il comandante dell’Esercito Claudio Graziano vorrebbe addirittura sostituire le attuali 450 caserme con solo 15 strutture, ma anche questa riforma richiede fondi. Che al momento non sono previsti.
DIVIDI E SPENDI. Il documento analizzato dal mensile "Rid" invece mostra come la spending review dei piani di armamento sia solo virtuale. L’anno scorso il taglio dei tecnici di Monti aveva sfiorato il miliardo di euro, quest’anno si torna a disporre di oltre 3,3 miliardi della Difesa e altri 2,1 dello Sviluppo Economico: quasi cinque miliardi e mezzo per lo shopping bellico. Una somma che viene ritenuta da stati maggiori e governo «il minimo per mantenere gli impegni internazionali». Oltre all’Eurofighter, il dicastero di Flavio Zanonato si accollerà le fregate Fremm (5,6 miliardi per le prime sei); i blindati da combattimento Freccia (1,5 miliardi per 249 veicoli); i jet d’addestramento Aermacchi M-346 (220 milioni per la prima trance); i gadger elettronici per il "Soldato futuro" (800 milioni); gli elicotteri NH-90 di Esercito e Marina (3.895 milioni) e gli Agusta AW-101 dell’Aeronautica (740 milioni).
SATELLITI SENZA CONFINI. Ancora più frammentato il finanziamento dei nuovi satelliti spia Cosmo SkyMed di ultima generazione. La Difesa ci mette 229 milioni, altri 500 circa li tirano fuori il ministero dell’Università e Ricerca e l’Agenzia Spaziale. Il solito Sviluppo Economico contribuisce ai 300 milioni dei satelliti Sicral per le comunicazioni. Per le nostre sentinelle orbitanti i generali prevedono di spendere circa mezzo miliardo in tre anni, inclusi 170 milioni per lo 007 delle stelle Opsat 3000 acquistato in Israele: risorse superiori a quelle per equipaggiare l’Esercito. L’attività degli spioni spaziali è top secret: di recente è trapelato che sono stati usati per monitorare i test missilistici della Corea del Nord nel poligono di Musudan-ri. Una questione lontanissima dagli interessi geostrategici del nostro Paese, che non giustifica certo i miliardi investiti nella rete di sorveglianza tricolore. E non sono gli unici stanziamenti a favore dell’intelligence militare. Una fetta consistente dei 1.200 milioni che si sborseranno per i "sistemi C4" servirà per aerei radar e droni: 580 milioni per acquisire due fantascientifici jet Gulfstream Caew prodotti in Israele, vere centrali di spionaggio volanti. Altri 211 milioni sono il contributo italiano per la discussa squadriglia di velivoli-robot Global Hawk voluta dalla Nato.
ALI ROTANTI. L’Esercito spende soprattutto per gli elicotteri. E si scopre una beffa nel contratto dei grandi Chinook - prezzo 974 milioni - presi negli Usa: gli americani ci hanno negato la possibilità di rifornirli in volo. Previsto anche il potenziamento dei Mangusta da combattimento e lo studio delle nuove autoblindo Centauro - i due mezzi chiave nelle missioni all’estero, dalla Somalia all’Afghanistan - anche se i fondi disponibili sono simbolici. Poi ci sono 202 milioni per acquistare 479 camionette Lince con protezione migliorata. Le consegne delle torrette telecomandate per questi veicoli, promesse quattro anni fa per fermare la strage di mitraglieri in Afghanistan, non sono ancora state ultimate. Tagliato invece il numero di camion con cabina corazzata per salvare gli autisti: ce ne saranno solo 149 al prezzo di 65 milioni.
RAPIDI E INVISIBILI. La Marina sta completando la nuova flotta di sottomarini: i quattro modernissimi U-212 costeranno 1.885 milioni. Anche in questo caso, si tratta di sistemi avanzati, progettati in Germania per combattere guerre vere che si spera l’Italia non debba mai affrontare. Al momento, i primi U-boot vengono usati per pattugliare nel Mediterraneo le possibili rotte di Al Qaeda: un impiego che sembra soprattutto un escamotage per finanziare l’addestramento degli equipaggi. Il documento rivela il prezzo finale della portaerei Cavour: 1.390 milioni. Le due ultime fregate Orizzonte consegnate invece verranno 1.500 milioni, con rate fino al 2020. A parte le sei fregate Fremm sovvenzionate dallo Sviluppo Economico, per i prossimi anni non sono pianificati altri acquisti di navi. Una situazione che ha messo in stato d’allerta la Marina, che teme di vedere dissolversi la flotta nel giro di due lustri. Per questo lo Stato Maggiore chiede una legge speciale per costruire dieci unità e uno stanziamento straordinario di dieci miliardi. Gli ammiragli ritengono che si creerebbero migliaia di posti di lavoro nella cantieristica, nell’acciaio e nell’indotto navale. È la stessa questione che si ripropone per tutti i programmi militari: sono investimenti che innescano un reale incremento nel sistema produttivo? Il documento del governo si schiera su questa linea. E aggiunge: «Tale spesa contribuisce in modo diretto al mantenimento di un’identità politica e strategica nazionale coerente col ruolo al quale il Paese non può sottrarsi». Ma qual è il ruolo che l’Italia in piena recessione può ancora permettersi?
RETROMARCIA DURA. Senza vie d’uscite dalla crisi economica, con le pressioni politiche per abolire l’Imu e bloccare l’aumento dell’Iva, c’è il rischio che le previsioni della Difesa vengano riviste al ribasso già dal prossimo anno. Nel piano triennale redatto ad aprile, per la prima volta si fornisce un’indicazione sui problemi per annullare i contratti (vedi box a pag. 33). Le conclusioni sono paradossali: è più conveniente rinunciare alle armi commissionate alle industrie italiane, che non agli esosi progetti multinazionali o allo shopping estero. Spesso poi i costi dei sistemi militari lievitano senza controllo. Il caso più clamoroso è quello dei tre miliardi in più per gli Eurofighter, ma non è l’unico: come rivela l’analisi di "Rid", un anno fa per i nuovi elicotteri da soccorso Agusta Aw-139 era previsto un esborso di 225 milioni, ora sono diventati 285: un ritocco del 30 per cento. Il Parlamento ha ottenuto "un’indagine conoscitiva", per tentare di fare luce sui programmi di armamento, la loro effettiva necessità e la natura reale delle spese. I lavori sono appena cominciati. Ma dalle prime scaramucce si è già capito che non sarà una missione facile.