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 2013  agosto 22 Giovedì calendario

MA A RENZI CONVIENE DIRE CIAO A FIRENZE?


Ma siamo sicuri che a Matteo Renzi convenga candidarsi, non tanto alla segreteria del Partito democratico (che già...), ma proprio alla guida del Governo nazionale? Siamo certi che accasandosi a Roma avrebbe un potere maggiore di cambiare le cose rispetto a quello che dispone oggi da sindaco di Firenze? Non è, insomma, che siamo entrati nell’era in cui governare le istituzioni oltre che impossibile è diventato inutile, tranne che a livello locale dove i sindaci sono quotidianamente aperti alla discussione informale con i cittadini, non si impantano in diatribe grottesche sul nulla e sono meno soggetti alla letale interazione con la burocrazia dello Stato?
A sostenere indirettamente questa tesi è un nuovo importante saggio americano. The Metropolitan Revolution – How Cities and Metros are Fixing Our Broken Politics and Fragile Economy, appena pubblicato negli Stati Uniti e scritto da due studiosi di politiche metropolitane, Bruce Katz e Jennifer Bradley della Brookings Institution. Il libro parla degli Stati Uniti, un Paese federale, ma segnala una nuova tendenza che è già globale.
La crisi economica e l’incapacità della politica troppo polarizzata di trovare soluzioni credibili, sostengono Katz e Bradley, hanno innescato una nuova rivoluzione. Una rivoluzione metropolitana che è sorella della protesta coagulata dai movimenti antagonisti come Occupy Wall Street, Tea Party e in Italia il grillismo. Questa, però, è una rivoluzione guidata da persone fisiche riconoscibili, i sindaci. Non pretende né si può far vanto di essere senza leader come quelle altre. È una rivoluzione ragionata, non emotiva. È motivata da pragmatismo, riformismo e ottimismo, non da rabbia, invidia sociale e disperazione.
Il punto è che le città sono rimaste da sole, anche dopo la fine (in America) della Grande Recessione. Sanno che non arriverà la cavalleria a salvarle (Detroit se ne è appena accorta). Il Governo centrale non è in grado di varare riforme coraggiose dell’economia né di sintonizzarsi sul canale del cambiamento, costringendo così gli amministratori locali ad aguzzare l’ingegno, a escogitare soluzioni innovative e ad affrontare questioni importanti con l’inedita consapevolezza che il Governo centrale non vuole e non sa risolverle.
In questo modo i progetti delle città americane sono fatti più ambiziosi. L’impegno a puntare sull’innovazione è diventata una necessità che sta cambiando la geografia delle città e del mercato del lavoro (sul tema vanno lette le riflessioni del professore italiano a Berkeley Enrico Moretti, recentemente pubblicate da Mondadori con il titolo La nuova geografia del lavoro).
The Metropolitan Revolution racconta quattro casi emblematici, New York, Denver, Houston e le città dell’Ohio nordorientale, capaci di invertire sul campo la gerarchia del potere negli Stati Uniti ma, soprattutto, di trovare soluzioni in grado di risollevare l’economia, di rilanciare la competitività e, cosa non da poco, di far funzionare il sistema politico. Sono città che, in modo diverso e ciascuna nel rispetto della propria storia, hanno puntato sulla creazione di distretti dell’innovazione diversi, anche urbanisticamente, non solo dai vecchi distretti industriali cresciuti intorno alle grandi fabbriche, ma anche dai più recenti parchi della scienza e della ricerca nati intorno alle università (stiamo sempre parlando di America, eh). L’idea di partenza è che attrarre una forza lavoro più qualificata acceleri la crescita economica di tutta la comunità.
I sindaci possono fare molto, per esempio creare le condizioni giuste per la gente di talento: un ambiente piacevole e sicuro, culturalmente allettante ed economicamente abbordabile dove vivere. Certo gli Stati Uniti sono un Paese dotato di uno spiccato senso della comunità, alimentato dall’etica protestante del lavoro e dove l’autonomia dei sindaci è maggiore rispetto a quella nostra (basti pensare all’imposizione e alla riscossione delle tasse). Ma anche i nostri sindaci, espressione dell’unica riforma degli ultimi vent’anni che abbia avuto un senso, hanno gli strumenti di rispettabilità, di autorevolezza e di leadership per svolgere questo ruolo di guida politica e di supplenza istituzionale. Ma non è solo una questione di potere formale: ci vogliono coraggio, immaginazione, visione del futuro. Al momento a Roma non ci sono né l’uno né gli altri. A Firenze, invece...