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 2013  agosto 17 Sabato calendario

UNA PAUSA CAFFÈ SUL “MERIDIANO PLESSI”

Una linea congiunge il valico del Brennero con Palazzo Te a Mantova, le montagne del Trentino-Alto Adige con gli affreschi di Giulio Romano. Il “meridiano Plessi” è quello lungo il quale dobbiamo muoverci, per seguire due interventi che il videoartista ha realizzato. Chi entra o chi esce dall’Italia, percorrendo l’autostrada del Brennero (ultimata nel 1974, ma nel 46 d.C. già percorso romano) ha la sorpresa di vedere una costruzione imponente. E se si entra per una pausa caffè, ci si ritrova dentro una videoinstallazione di fiumi, boschi, neve. È l’universo dell’artista Fabrizio Plessi che lì ha creato un’opera totale, anche un chiaro intervento di design, un modello forse da inventarsi lungo altre arterie. «Un artista non deve avere paura di essere anche designer, qui ho realizzato tutti gli interni, e poi anche una libreria che è l’immagine di una foresta. Ho cercato di alzare il livello di una “sosta”, dandogli una valenza culturale. Dico che è il primo museo al mondo su un’autostrada, ci sono sì le mie opere ma non è auto-celebrativo, è un’officina: qui voglio portare mostre, e creare anche un premio rivolto agli artisti che lavorano con le nuove tecnologie, ispirandosi alle tematiche della Natura». Che sono i suoi punti fermi di sempre, legati al fuoco, all’acqua, al vento, alla lava. Mai la figurazione. «Però talvolta disegno scene e costumi per il teatro e per la danza, così vedo il mio lavoro contaminato con dei corpi. Ho scelto un linguaggio che non fosse figurativamente aneddotico, narrativo; per me un lampo e un tuono hanno un valore più alto delle figure che mi sembrano sempre accessorie rispetto alla grandiosità dell’universo». Un altro artista che ha sempre usato solo questo linguaggio è il “poverista” Penone, come si confronta con quest’altro diverso tipo di naturalismo? «Lui è rimasto isolato più di me dagli spifferi delle avanguardie, ha continuato dritto per la sua strada (come me) e sono molto felice del suo successo oggi a Versailles, con questa grande mostra. Gli artisti veri sono pochissimi e quando lo sono, come lo è lui, sono essi stessi un miracolo della Natura. L’arte è qualcosa che può salvare la vita: se noi pensiamo che la politica, la sopravvivenza, l’economia siano la parte più importante, cadiamo nel solito tranello della contingenza del momento. Il problema è riannodarsi alla spiritualità, che non è una parte superflua di noi, e in questo l’artista può giocare un ruolo cruciale». Plessi, Penone e Cucchi, c’eravate voi tre, nel 1987, alla documenta 8 di Kassel. «Le posizioni erano molto chiare: Transavanguardia, Arte Povera, e un artista che lavorava con le nuove tecnologie. Solo che, mentre l’Arte Povera e la Transavanguardia sono state difese dai critici che sappiamo, nessuno si è sognato di difendere l’arte tecnologica, che si è poi rivelata il grande successo degli Anni 2000… così mi sono ritrovato a essere navigatore solitario, al di fuori dagli schemi». Sarà forse per questo che è riuscito a ottenere la Sala dei Giganti, affrescata da Giulio Romano a Palazzo Te, e di cui il Vasari dice: «Né si pensi mai uomo vedere di pennello cosa alcuna più orribile o spaventosa, né più naturale». Se non ci fosse stato un momento storico così drammatico, come l’odierno, il mito dei Giganti sarebbe rimasto uno dei tanti che ha avuto fortuna massima nella pittura, anche se un drammaturgo come Pirandello l’ha trattato intuendo il “terribile” che avanzava. «Quello non è solo un grande affresco del manierismo che rappresenta la caduta degli ideali, è una metafora dell’oggi, perciò con il video ho voluto inscenare un terremoto, dove crollano tavoli, pietre, ossia le sicurezze e le ideologie sulle quali riposavamo. La tecnologia reinventa la mitologia, reinventa la storia. Ma la parabola della caduta e della risurrezione appartiene alla nostra cultura: non ci possiamo risollevare se non abbiamo toccato il fondo, e oggi siamo proprio in mezzo al guado. Mi fa piacere che questa Sala, che non è mai stata data a nessuno in 500 anni, sia stata concessa per primo a me per questo intervento in situ, poi verranno Bill Viola, Candida Hoefer, e Penone». Bill Viola che nella video arte ha messo altri punti fissi. «Ci conosciamo da 40 anni, abbiamo fatto tante mostre insieme. Lui spesso mi dice: “Fabrizio tu sei un grande scultore io sono invece un pittore”, lui vede tutto in modo bidimensionale, attraverso uno schermo (molto cinematografico) che è come una tela; abbiamo un concetto plastico molto diverso ma, dagli Anni 70, abbiamo fatto fare alla video arte una bella strada».

Influenze tedesche. In quegli anni, la Germania ebbe un ruolo fondamentale nell’evoluzione di Plessi che vi andò per insegnare alla Kunstschule fuer Medien di Colonia. «La Germania era ed è un grande Paese. L’Italia ti accetta quando sei già diventato famoso. Paese provinciale, il nostro. Il mio successo fu decretato a Kassel, alla documenta 8 con l’opera Roma II. Ho un rapporto consolidato con i musei Ludwig: ho esposto in quelli di Colonia, di Vienna, e il 23 gennaio 2014 farò un’antologica in quello di Budapest, a maggio sarò poi in quello di Coblenza. Per me è un grande privilegio essere stato invitato da tutti i musei Ludwig, dopo essere stato invitato da tutti i Guggenheim del mondo. Senza contare la mia partecipazione a 14 Biennali di Venezia, alla faccia degli invidiosi…». Ma tutto ciò non placa l’acredine del critico Bonami verso Plessi, che lo attacca nei suoi libri. Dal canto suo Plessi fa spallucce, richiamandosi alla propria storia. «L’aver fatto 500 mostre personali in 135 musei basta e avanza».