Francesco Daveri, Corriere della Sera 22/8/2013, 22 agosto 2013
I VANTAGGI PER L’EUROPA SE GLI ALTRI RALLENTANO
Quando la ripresa mondiale iniziò a manifestarsi dopo la recessione del 2009, in una lezione alla riunione degli economisti d’impresa a Denver, il premio Nobel Michael Spence spiegò perché la crescita, dopo il crollo della Lehman, fosse così più rapida e sostenibile in India, Brasile e Cina piuttosto che in America e nel resto dell’Occidente. I Paesi emergenti sembravano aver capito — dalle crisi passate — che era poco salutare usare la finanza e l’indebitamento bancario per alimentare lo sviluppo.
Ma nel giro di tre anni qualcosa è cambiato. La lezione non era stata imparata: i debiti c’erano ma «dimenticati» tra le pieghe delle statistiche. Tanto che ora si aprono prospettive inedite per quelle nazioni, come l’Europa e l’America, che con l’indebitamento ci convivono e ne conoscono tutti i rischi.
Nel 2013 i Brics (l’acronimo che tiene assieme Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) non saranno più la parte del mondo che cresce e traina il resto delle economie. Pechino punta a un aumento del Prodotto interno lordo (Pil) del 7,5 per cento, mentre aveva abituato tutti a tassi superiori al 10, battendo peraltro regolarmente le previsioni dei piani quinquennali dei suoi leader. In India la crescita si avvia quest’anno a scendere sotto il 5 per cento, tre punti sotto la media degli ultimi dieci anni. In Brasile, malgrado si avvicinino i Mondiali di calcio e le Olimpiadi — eventi solitamente associati con accelerazioni nella dinamica del Pil — lo sviluppo si è ormai dimezzato al 2 per cento. Scenari simili valgono anche per molti altri come la Turchia e il Messico, la Corea del Sud e il Venezuela. Tutti Paesi che mostrano indici di sviluppo vicini al due per cento a fronte di performance passate doppie o triple.
C’è chi pensa si tratti di una pausa temporanea. Questo sarà possibile se i Brics, grazie ai fattori positivi legati alla demografia e al basso costo del lavoro, sapranno procedere a quell’innovazione istituzionale e organizzativa che caratterizza le fasi di consolidamento dello sviluppo. E quindi proseguire nella fase di espansione sebbene a ritmi meno elevati. Ma è evidente che per l’Europa come per la nazioni sviluppate in genere si aprono margini di crescita inattesi.
Prima di tutto, una marcia ridotta per le nazioni emergenti — soprattutto quelle asiatiche che sono importatori netti di materie prime — si tramuterà in un minore incremento della loro domanda sui mercati mondiali. Già per il 2013 l’Eia, l’agenzia per l’energia del governo americano, prevede una domanda di petrolio in calo a 29,5 milioni di barili al giorno, con un ulteriore rallentamento previsto per il 2014. Una domanda in diminuzione di petrolio come di altre materie prime tiene bassi i prezzi e, cosa da non sottovalutare, toglie anche fiato a chi specula sui rialzi.
Bollette energetiche meno costose contribuiscono a ridare fiato al settore manifatturiero provato dalla crisi degli ultimi anni. E questo vale soprattutto per Paesi come Italia e Germania che continuano ad avere una solida base industriale ma soffrono della mancanza di materie prime. Con effetti, peraltro, anche su settori poco considerati ma decisivi come l’agroalimentare che continua ad essere un punto di forza in quell’Europa del sud attanagliata dalla crisi del debito e dalla stretta creditizia.
Se poi il rallentamento dei Brics derivasse da qualcosa di più profondo che proviene dal cambiamento nei modelli di consumo occidentali successivo alla crisi, le opportunità per l’Europa potrebbero essere davvero importanti. Le produzioni a basso costo nelle quali i Paesi emergenti ancora oggi eccellono, godevano delle enormi commesse provenienti da un Occidente che voleva continuare a consumare risparmiando sui costi. Oggi non è più così. Il consumatore occidentale ha meno soldi in tasca e non chiede grandi quantità a poco prezzo ma qualità a costi ragionevoli. Qualità che, malgrado l’innovazione e il trasferimento di tecnologia occidentale, l’industria dei Paesi emergenti non è ancora pronta a offrire. E questo a differenza di quanto potrebbero fare molte delle aziende europee che, al pari dei loro concorrenti americani, sono state educate per decenni al culto della qualità dai loro consumatori esigenti e attenti.