Alessandro Barbera, La Stampa 22/8/2013, 22 agosto 2013
ADDIO CONTI CREATIVI, ARRIVA L’OBBLIGO DEL BILANCIO UNICO
L’antologia è lunga. C’è la storia della sanità L’ calabrese prima del commissariamento, per cui non bastarono l’intervento degli esperti di Kpmg e della Guardia di Finanza. «Una contabilità omerica trasmessa per tradizione orale», raccontava sarcastico l’allora ministro Sacconi. Venne a galla un buco di quasi due miliardi di cui nessuno conosceva l’esistenza, semplicemente perché nessun bilancio l’aveva mai certificato. O le strane incongruenze emerse un paio di anni fa nei conti del Lazio: bastò sommare i singoli trasferimenti registrati nei bilanci dei Comuni per scoprire che la cifra era di 500 milioni più alta di quella certificata dalla Regione. O ancora gli strani conteggi delle partecipate di Napoli, ai quali risultavano crediti milionari che per il Comune valevano poche migliaia di euro. Il Comune si ritrovò vicino al collasso finanziario, evitato grazie all’intervento del Pantalone di turno - alias Mario Monti - che fu costretto suo malgrado a varare il fondo salva-Comuni.
Fino a un paio di anni fa in Italia c’erano 9.700 modi di scrivere un bilancio, tanti quanti gli enti e le società pubbliche. Poi sono arrivati i decreti attuativi del federalismo fiscale hanno imposto una prima sperimentazione - e le regole del fiscal compact, che ora permettono ai funzionari di Bruxelles di mettere il naso in qualunque bilancio, da quello dello Stato al più piccolo dei municipi.
Eppure non esiste ancora una norma che obblighi sindaci, presidenti di Provincia (finché non li cancelleranno), di Regione, o gli amministratori delle migliaia di società partecipate dagli enti locali di rispettare uno standard, di scrivere bilanci comprensibili dai quali si possa chiaramente capire se i conti sono in salute o meno.
Crisi di governo permettendo, l’ultimo passo arriverà con un nuovo provvedimento già nel consiglio dei ministri di venerdì. La Copaff, la Commissione sul federalismo fiscale, ha già approvato il testo di un decreto legislativo lo scorso giugno. Mancano il via libera delle Commissioni parlamentari competenti e la presa d’atto del governo, prima e dopo. Per accorciare i tempi parlamentari e dare l’ok a regole che l’Europa invoca da tempo il Tesoro potrebbe scegliere la strada più veloce del regolamento ministeriale. La sostanza comunque non cambia.
Già a partire dal 2014 i bilanci dovranno essere più chiari e trasparenti. Ci vorrà una chiara distinzione fra cassa e competenza: non sarà più possibile far finta di avere a disposizione fondi già impegnati per altre spese. Per i Comuni più grandi e le Regioni arriva l’obbligo di approvare il bilancio consolidato. Per capirci: la città di Roma dovrà allegare al bilancio dell’amministrazione quello di tutte le società di cui possiede una quota: da Ama ad Acea, da Atac a Eur spa. «In questo modo porremo fine al giochetto dei residui attivi e passivi», dice il presidente della Copaff Luca Antonini. «Per dirla in una battuta, è venuto il momento di sostituire i dialetti contabili con un più comprensibile italiano».
Ammesso e non concesso che l’obbligo funzioni, basterà a cambiare realmente i comportamenti? A evitare l’uso indiscriminato di risorse pubbliche, a far sì che - per fare un esempio i costi delle analisi al sud non siano dieci volte più alte che al Nord? Per ottenere tutto questo ci vuole altro, e non c’è regola che tenga. «Lo metta pure a verbale: nella mia carriera ho visto ben pochi bilanci regolari», disse Enrico Cuccia al giovane pubblico ministero Antonio di Pietro che indagava sul crac della Montedison. Per chi scrive i bilanci c’è sempre un margine di discrezionalità. E la cattiva burocrazia, quella che spreca e ruba, rimarrà tale. Ma una volta stabiliti degli standard sarà più difficile occultare i buchi dietro a oscure voci di bilancio.