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 2013  agosto 21 Mercoledì calendario

«TROPPA LIBERTÀ CI FA MALE» DECALOGO CINESE ANTI-OCCIDENTE

Che sotto il capitalismo rampante la Cina comunista stesse tirando di nuovo le fila dell’ideologia per evitare che lo sviluppo facesse da cavallo di Troia della mentalità occidentale, lo si capiva già. Ora i nuovi vertici di Pechino, capeggiati dal presidente Xi Jinping, alzano il tiro contro i capisaldi della cultura politica occidentale, dalla democrazia costituzionale ai diritti universali. Lo fanno con un documento segreto, da diffondere all’interno del partito, ma rivelato ieri dal «New York Times».
Da quando Xi è subentrato a Hu Jintao, sostituendolo nel novembre 2012 come segretario del Partito e nel marzo 2013 come presidente, è la prima volta che il regime emette una direttiva specifica per mettere in guardia da una possibile «primavera cinese» ispirata ai valori stranieri. È il «Documento n. 9», che doveva rimanere segreto, ma che da quattro fonti diverse è stato confermato al giornale americano. Vi si enumerano i «sette pericoli» che dall’Occidente minacciano la stabilità interna del Paese, soprattutto universalità dei diritti e democrazia costituzionale, ma anche liberismo, supremazia del mercato, partecipazione civile dei cittadini, indipendenza dei mass media e critiche “nichilistiche” al passato della Cina. Recita il documento: «Le forze occidentali ostili alla Cina e i dissidenti all’interno del Paese infiltrano costantemente la nostra sfera ideologica. (…) Gli oppositori al partito unico usano internet per diffondere il malcontento verso il partito e il governo».
La circolare suscita l’entusiasmo della corrente di sinistra del Partito Comunista Cinese, che mira al riallacciarsi alla tradizione di Mao, specie nelle province dove lo Stato resta uno dei maggiori motori dell’economia. Così il capo propaganda di Hengyang, nell’Hunan, tale Cheng Xinping, ha dichiarato: «La democrazia costituzionale occidentale è un tentativo di minare il partito unico e gli attivisti dei diritti umani vogliono solo creare una formazione politica per contrastarci». Il suo collega Zhang Guangdong, dirigente a Lianyungang, nel Jiangsu, rincara: «Le forze anticinesi guidate dagli Stati Uniti tentano di attaccarci in combutta coi dissidenti col pretesto della libertà di stampa».
Il presidente Xi, dal canto suo, appare più diplomatico e si preoccupa più dei fatti, badando a far recuperar terreno all’economia, di recente rallentata, ma anche a una nuova campagna di repressione contro chi protesta. Negli ultimi tre mesi la polizia ha arrestato 50 persone che cercavano di intavolare discussioni sulla democrazia durante cene e consessi. Fra gli esempi più recenti, dal 10 agosto è stato incarcerato Li Huaping, che aveva riunito a Changsha un uditorio per una libera discussione, mentre il 12 agosto a Yuchang i poliziotti hanno ammanettato Liu Jiacai, che proprio in una cena parlava di diritti umani. In tutta la Cina si moltiplicano le rivolte popolari, che in taluni casi hanno ottenuto risultati, come le dimissioni di funzionari corrotti o l’annullamento di progetti industriali inquinanti.
Il regime lo sa e nonostante la censura, non può evitare che la popolazione faccia dei confronti fra il proprio sistema politico e quelli stranieri. Ciò nonostante, Europa e America restano indispensabili per la Cina, non solo come mercati di sbocco dei propri manufatti, ma anche per rapporti strategici. Gli Usa saranno anche “il diavolo”, ma proprio per questo bisogna far buon viso. Nulla da stupirsi se il ministro della Difesa cinese Chang Wanquan e il collega americano Chuck Hagel si sono accordati per «incrementare i contatti militari», specie con esercitazioni congiunte al largo dell’Africa e delle Hawaii, ma anche per «costruire una fiducia reciproca fra i nostri ufficiali», come ha detto Hagel. Sono state programmate visite di cortesia di rispettivi comandanti. Entro fine 2013 i capi dell’Esercito e dell’Aviazione americana andranno in Cina, mentre il capo della Marina cinese andrà in America. Colloqui necessari per smorzare le tensioni che le rivendicazioni cinesi sui mari circostanti causano lungo l’ar - co di Stati dal Giappone al Vietnam. Dal 2014, inoltre, la Cina dovrebbe partecipare al Rimpac, l’organizzazione a guida USA che orchestra le esercitazioni militari nel Pacifico. L’alternativa, del resto, sarebbe una pericolosa rotta di collisione, già iniziata sul fronte delle idee.