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 2013  agosto 22 Giovedì calendario

INCANDIDABILITA’, TUTTI I CAVILLI GIURIDICI

Incandidabilità, ineleggibilità, irretroattività penale. I termini legulei già di per sé non facilitano la comprensione. Quando poi vengo utilizzati dai giuristi per tentare di illuminare un quadro politico che la condanna definitiva di Berlusconi ha reso ancora più fosco, allora si rischia il caos. Non resta altro che abbozzare un vademecum su cosa sia stato detto, da chi, e come le diverse interpretazioni giuridiche potrebbero influenzare il dibattito che il 9 settembre si aprirà davanti alla Giunta per le immunità del Senato. L’origine di ciò che alcuni hanno definito un «ginepraio» sono le norme sull’incandidabilità, a seguito di sentenze definitive di condanna, previste da un decreto legislativo, il 235 del dicembre 2012, firmato, nell’ordine, dall’ex premier Mario Monti e dagli allora ministri dell’Interno Annamaria Cancellieri, della Giustizia, Paola Severino, e della Pubblica Amministrazione Filippo Patroni Griffi. Quella legge è applicabile o no a Berlusconi da 20 giorni definitivamente condannato a 4 anni per frode fiscale? I giuristi si sono divisi e, a seconda delle interpretazioni, la politica si sta adeguando, preparandosi a brandire in Giunta le armi leguleie. Le nuove norme prevedono che chiunque venga condannato definitivamente a una pena superiore a due anni di reclusione sia incandidabile per un periodo corrispondente al doppio della durata della pena accessoria o, in assenza di questa, per un periodo non inferiore a sei anni. Se l’incandidabilità sopraggiunge durante il mandato, allora «le Camere di appartenenza deliberano ai sensi dell’art.66 della Costituzione». Berlusconi rientra in questa casistica? Dipende dalla natura della sanzione, argomentano i giuristi. Per Giovanni Guzzetta, Paolo Armaroli e Niccolò Zanon la natura sarebbe di carattere penale e come tale non applicabile a Berlusconi, non ancora condannato quando la legge Monti- Cancellieri-Severino-Patroni Griffi è entrata in vigore, in base al principio della irretroattività delle leggi penali (art.25 della Costituzione). La pensano diversamente costituzionalisti come Cesare Mirabelli, Massimo Luciani, Valerio Onida, Stefano Ceccanti e Alessandro Pace, secondo i quali non si è nel campo penale ma elettorale, che limita il diritto di elettorato passivo per chi non abbia (o si trovi a non avere) determinati requisiti. Più sfumate le posizioni di Piero Alberto Capotosti e di Giovanni Fiandaca, che invocano una pausa di approfondimento per valutare le norme anche alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo la quale, nell’escludere l’applicazione retroattiva di una norma, guarda più alla sua sostanza afflittiva che non alla sua qualificazione formale. Le argomentazioni dei giuristi sono ovviamente anche altre e più articolate. Ma il diritto, si sa, è come una coperta: c’è chi la tira da una parte e chi dall’altra. Se la soluzione per l’«agibilità» dell’ex premier non sarà trovata prima, la politica non si farà trovare impreparata ad usare le armi del diritto.