Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  agosto 19 Lunedì calendario

SOLLIER, SEMPRE A PUGNO CHIUSO QUANDO IL PALLONE E’ COMUNISTA

Quella foto non gli è mai piaciuta. Eppure lo ha reso famoso: il calciatore comunista. “Fu Gammalibri a volerla. Io non ero d’accordo. E non per il pugno chiuso: perché avevo la faccia ingrugnata. Io non sono così, io rido. In quel momento stavo semplicemente ripassando mentalmente ciò che avrei dovuto fare in campo”.
Alla fine la casa editrice, poi divenuta Kaos, si impose. E calci e sputi e colpi di testa, nel 1976, vendette lo sproposito di 30mila copie. Paolo Sollier è nato a Chiomonte nel ‘48 e vive a Vercelli. Ha giocato in serie A con il Perugia, fa l’allenatore, è No Tav convinto e colleziona vinili nella sua mansarda. “Ne ho migliaia, mi perdo ancora nelle bancarelle”.
C’è ancora qualcosa da ascoltare?
De Andrè, Gaber e Guccini restano inarrivabili, ma i talenti ci sono ancora. Lo Stato Sociale: quando cantano “Io odio il capitalismo”, ovviamente non rimango insensibile. Poi Casa del Vento, Alessio Lega. E Offlaga Disco Pax, hanno anche citato il mio libro in uno spettacolo.
Lei non ha mai allenato in A o B ed è fermo da due anni.
Nessun boicottaggio. Evidentemente non sono così bravo. Da calciatore ho avuto più di quanto credessi e da allenatore meno di quanto sperassi. Però alleno la nazionale degli scrittori, l’Osvaldo Soriano Football Club. Dieci partite l’anno.
Disputate anche all’estero.
Abbiamo fatto la Writers League per sette edizioni. C’è stata anche una gara in Israele, ma non ci sono andato: faccio parte del Forum Palestina, sarebbe stato contraddittorio andarci.
Il Sessantotto, nel calcio, attecchì solo nel look. Lo ha detto lei.
Mi informavo, ero abbonato al Quotidiano dei Lavoratori. Inconcepibile. Nel calcio c’era un muro di gomma. Nel ’74-75 facemmo qualche assemblea con quei sette-otto calciatori “impegnati”. Dopo un po’ ci guardammo e dicemmo: “Ma che stiamo facendo?”. Finì lì. L’unico politico vero era Rivera. Ho sempre catalizzato delle minoranze destinate a scomparire.
Anche “Cambiare si può”? Figura tra i promotori.
Era nato come qualcosa di assembleare, poi si è fatto prendere dalla ricerca del leaderismo, che nei Settanta era il male. Bravo magistrato, Ingroia, ma che c’entrava? Ho votato Rivoluzione Civile alla Camera e Grillo al Senato.
E il Pd?
Graziano Delrio dice che Renzi sarà il nuovo Tony Blair. L’obiettivo della sinistra è divenuto Blair? Uno che ha distrutto il Labour Party, che ha mentito al suo paese nella guerra in Iraq per obbedire a Bush e neanche può uscire di casa senza che gli inglesi lo prendano a calci?
Ieri nel calcio c’era un muro di gomma. Oggi?
È diventato hollywoodiano, si è definitivamente sganciato dal mondo reale. È ovvio che a un calciatore, oggi, della politica non freghi nulla. Paradossalmente sono più giustificati della mia generazione. E comunque qualcuno c’è: Tommasi, Zanetti e quei giocatori francesi e inglesi che hanno espresso solidarietà alla Palestina.
Zeman le piace?
Sì, ma se avesse vinto di più le sue battaglie sarebbero state più efficaci. E poi delle sue idee politiche non si sa nulla. Lei le conosce? Io no.
La vostra generazione ha perso?
Senza dubbio. Terrorismo ed eroina hanno rovinato tutto. Però ci abbiamo provato. Aborto e divorzio, ecologismo e femminismo. E poi le radio libere, ne contribuii a fondare una.
Quale?
Si chiamava Rosagiovanna. A Rimini, dove ho giocato due anni. Era il 77-79. La partecipazione, la sinistra extraparlamentare, l’informazione libera.
Vi chiusero.
Era il periodo del sequestro Moro. Alcuni compagni erano un po’ fumati. Un giorno uno disse: “La prossima volta rapiamo il Papa”. Battutaccia. L’organo di controllo, gestito dal Pci, ci beccò subito e ci chiuse. Al processo dimostrammo con le registrazioni che eravamo sempre stati contro il terrorismo.
Ebbe problemi anche per il libro.
Era scritto in forma diaristica, al tempo funzionava, pensi a Porci con le ali. Oggi ci sono i blog, ieri i diari. Vinsi un premio, in giuria c’era Gianni Mura, e Gammalibri mi contattò. Raccontai anche di quando Tardelli mi implorò di aiutarlo a vincere. La sua Juventus stava perdendo con il mio Perugia, e per colpa di quella sconfitta il Torino vinse lo scudetto.
Una combine?
Macché. Ripetei agli inquirenti quello dico ancora oggi: fu solo la dimostrazione che nel calcio può capitare che un campione possa implorare aiuto a un giocatore scarso come me.
Ha poi pubblicato “Spogliatoio”, con Paolo La Bua, e ristampato il primo libro.
Ormai se raggiungi 1500 copie è un evento. E poi Kaos è boicottata. Calci e sputi è invecchiato. L’ho ristampato solo per mostrare ai più giovani che quel decennio non è stato solo di piombo. E ho cambiato la copertina: niente più faccia ingrugnata.
Quella foto però è mitica.
Non la rinnego. So bene che, senza quella foto, oggi nessuno mi cercherebbe. Il pugno chiuso era naturale. Lo facevo nei campionati minori, a inizio carriera, rivolto ai compagni in tribuna. Arrivato a Perugia ho pensato: “Lo faccio ancora o smetto?”. Ho continuato, ma non per cercare proseliti. Era un gesto rivolto all’interno, a me stesso. Un ricordarmi chi ero.
Prima di Lazio-Perugia, disse: “Battere la squadra di Mussolini sarà ancora più bello”.
Lo dissi scherzando e Il Messaggero ci fece il titolone. La domenica c’era lo striscione: “Sollier boia”. Mi spiacque: per colpa mia, qualche tifoso del Perugia si prese un sacco di botte”.
Kaos ha pubblicato i libri di Carlo Petrini.
Sono guardingo quando leggo rivelazioni fatte decenni dopo. Come per Ferruccio Mazzola. Accusò Herrera quando era già morto. L’ho avuto come allenatore a Rimini. Quando mi disse di prendere un’aspirina, mi rifiutai. Bastava opporsi. Non ci era abituato, ma poi ti stimava.
Una volta le concesse un surplus di ferie per portare la fidanzata a Parigi.
Fatto raro, però in cambio mi chiese di allenarmi almeno un giorno. Lo feci. Andai ai Giardini Lussemburgo e un gruppo di ragazzini accettò di farmi giocare con loro. Uno dei ricordi più belli della mia vita: il calcio che vorrei.