Marco Palombi, il Fatto Quotidiano 20/8/2013, 20 agosto 2013
IL REDDITOMETRO E’ IN VIGORE: MOLTO RUMORE PER POCO
Ieri è diventato operativo il nuovo redditometro. Istituito dal governo Berlusconi nel 2010, è stato messo a punto dal governo Monti e affinato sotto il regno di Enrico Letta. Spesso presentato come la panacea al male endemico dell’evasione in Italia, in realtà è semplicemente un nuovo strumento nelle mani dell’Agenzia delle Entrate di Attilio Befera. Ha detto l’ex presidente della Corte dei Conti Luigi Giampaolini: “Il clamore mediatico suscitato dal nuovo meccanismo di ricostruzione sintetica dei redditi appare francamente sporporzionato rispetto alle limitate potenzialità dello strumento e alla efficacia dello stesso che continuerà, inevitabilmente, a costituire un criterio complementare per l’accertamento del reddito”. Tra i critici c’è anche l’ex ministro Vincenzo Visco, tra i principali esperti di lotta all’evasione in Italia: “Doveva essere uno strumento generale di contrasto all’evasione basato sulla rilevazione dei consumi, alla fine è rimasto l’accertamento sintetico sul tenore di vita delle persone che riguarderà al più 40-50 mila persone l’anno”. Insomma, né lo stato di polizia fiscale immaginato da Berlusconi e Grillo, né l’arma finale contro i furbetti del fisco. Questo è un breve vademecum con domande e risposte.
Cos’è il redditometro?
È un sistema per scoprire scostamenti tra il reddito dichiarato dal contribuente e i suoi consumi. Tradotto: tra quanto guadagna e quanto spende. I controlli cominciano dalle dichiarazioni del 2010 e saranno, a regime, 35 mila l’anno.
E come funziona?
Un sistema informatico dell’agenzia delle Entrate controllerà le spese del contribuente consultando 128 banche dati: quella del fisco ovviamente, ma anche il registro automobilistico o quello navale, per fare un esempio.
Quali sono le spese che finiscono sotto la lente del fisco?
Un po’ tutte quelle accertabili, almeno all’inizio: dal mutuo all’affitto, dalle bollette alle assicurazioni, dall’abbonamento alle pay tv alla tessera del circolo sportivo, dai gioielli al telefonino.
Quindi ora bisognerà conservare tutti gli scontrini?
Non è una brutta idea, e meglio sarebbe pagare con moneta elettronica, ma è praticamente impossibile essere segnalati per le spese in contanti effettuati in negozi e ristoranti.
Quindi per finire nel mirino non basta spendere più di quanto si dichiara?
No, lo scostamento deve essere superiore al 20% del reddito e comunque superiore ai 12 mila euro.
A quel punto che succede?
Le Entrate inviano una lettera all’interessato chiedendogli di spiegare la differenza (le prime potrebbero arrivare già a settembre). La differenza, ad esempio, potrebbe essere il frutto di una eredità oppure un regalo da parte di un membro della famiglia.
Basta così?
Non proprio. Se il fisco non è ancora convinto, si apre una fase più approfondita del controllo. A questo punto l’Agenzia delle Entrate ha il potere di utilizzare gli scostamenti non solo sulle spese certe, ma pure quelli calcolati per induzione statistica: si tratta dei piccoli consumi come indicizzati dall’Istat (vitto, abbigliamento, trasporti, tempo libero, eccetera).
Se l’Erario ritiene insufficienti le spiegazioni del contribuente, gli chiede di pagare le tasse sulla base dei guadagni “ricostruiti” dal redditometro. Se quest’ultimo rifiuta, inizia l’accertamento formale.
Cioè?
Il solito. Cartella e richiesta di pagamento. Poi, o si paga entro 15 giorni, con sanzioni ridotte, o si sceglie la via del contenzioso giudiziario.
Quindi evadere adesso sarà quasi impossibile?
Neanche per sogno. Intanto il redditometro riguarda i singoli contribuenti e non le imprese, e comunque – come ha spiegato Alessandro Santoro, professore di Scienza delle Finanze alla Bicocca – si basa su una serie di informazioni molto parziali, in parte fornite dallo stesso contribuente con la dichiarazione dei redditi e in parte dalle statistiche ed è facilmente eludibile con l’intestazione fittizia dei beni.
Quanto spera di incassare l’Agenzia delle Entrate con questo nuovo strumento?
Le speranze e la realtà non procedono di pari passo in materia fiscale. Il redditometro 2012, per dire, lanciato in pompa magna, doveva portare all’erario 708,8 milioni, ma – come ha denunciato la Corte dei Conti – ne sono arrivati solo 30, peraltro in calo del 74 per cento rispetto al 2011.
E quest’anno?
Gli effetti finanziari del nuovo redditometro per il 2013 erano stati calcolati in 814,7 milioni: cento dagli accertamenti diretti, 715 attraverso l’autotassazione incrementata dalla paura di essere beccati. Il flop è dietro angolo.