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 2013  agosto 21 Mercoledì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - FIBRILLAZIONI NEL GOVERNO


REPUBBLICA.IT
ROMA - Quasi tre ore di confronto a palazzo Chigi, ma alla fine le posizioni tra il premier Enrico Letta ed il vicepremier e segretario del Pdl Angelino Alfano restano "distanti" sull’agibilità politica di Silvio Berlusconi. Insomma per l’esecutivo la situazione resta molto critica. Il presidente del Consiglio aveva più volte ribadito che sarebbe "paradossale far cadere il governo ora" e confidato nella "responsabilità e nella lungimiranza di tutti". Ma Alfano, secondo alcune fonti, ha confermato la posizione che da giorni tiene il Pdl e che oggi avevano ribadito numerosi esponenti pidiellini: non è possibile che il partito resti dentro una coalizione, quando l’altro partito fa decadere il leader della forza politica alleata. Il segretario del Pdl avrebbe definito un simile atteggiamento pregiudiziale, senza alcun approfondimento, senza dunque tenere conto del parere di illustri giuristi che esprimono dubbi sulla retroattività della norma Severino che riguarda la decadenza del Cavaliere da senatore. "Il Pdl non ha intenzione di far cadere il governo che ha fortemente voluto nell’interesse del Paese, ma non va bene, a questo fine, l’atteggiamento pregiudiziale del Pd".
Alfano è arrivato a palazzo Chigi poco dopo le 18 con un mandato preciso - ricevuto durante un drammatico vertice ad Arcore dominato dai falchi Pdl - quello di trattare. Di tentare un’ultima mediazione per il salvataggio politico del Cavaliere. E quindi per la sopravvivenza delle larghe intese. Il messaggio che il leader del Pdl avrebbe recapitato al premier tramite Alfano è chiaro: prima del 9 settembre, data in cui si riunirà la Giunta per le elezioni del Senato, il Pd dovrà comunicare la linea ufficiale che terrà nella votazione sull’ineleggibilità dell’ex premier dopo la sentenza della Cassazione. La sostanza dunque, per i pidiellini resta quella: se il Pd vota la decadenza è rottura.
Intanto i vertici del Pdl si sono dati un nuovo appuntamento ad Arcore e lo hanno fissato per dopodomani per definire le prossime mosse.
Se sulla vicenda di Silvio Berlusconi restano profonde le distanze tra Enrico Letta e Angelino Alfano, sull’azione di governo il vertice ha invece prodotto dei dei passi avanti, dicono fonti di palazzo Chigi. C’è la convinzione, è stato spiegato, che nel consiglio dei ministri del 28 agosto si troverà una soluzione al tema dell’Imu e dell’Iva. Presente al colloquio anche il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Dario Franceschini.

REPUBBLICA.IT
ROMA - Un vertice per discutere dell’agibilità politica di Silvio Berlusconi, e con essa, almeno secondo le intenzioni del Pdl, della possibilità o meno che il governo Letta vada avanti per la sua strada. Poco dopo le 18 il vicepremier Angelino Alfano è arrivato a palazzo Chigi per l’incontro con il presidente del Consiglio Enrico Letta. Alfano ha ricevuto - durante un drammatico vertice ad Arcore dominato dai falchi Pdl - il mandato di trattare. Di tentare un’ultima mediazione per il salvataggio politico del Cavaliere. E quindi per la sopravvivenza delle larghe intese. E per questo è stato chiesto questo faccia a faccia, senza nemmeno i capigruppo Pdl. A palazzo Chigi anche il ministro per i Rapporti con il parlamento, Dario Franceschini, che però non partecipa all’incontro.
Il premier da parte sua già nei giorni scorsi ha ribadito più volte che sarebbe paradossale "avvitarsi in questioni di politica interna" e far cadere il governo in vista della "terra promessa". Letta, in missione a Vienna, ha scelto una metafora ’biblica’ per difendere il suo esecutivo su cui soffiano venti di crisi. "Il nostro Paese ha davanti delle grandissime opportunità - dice il premier durante la conferenza congiunta con il cancelliere Faymann - confido nella responsabilità e nella lungimiranza di tutti". Appello rivolto, neanche a dirlo, al Pdl e alle minacce agitate in queste ore dai berlusconiani. "Difficoltà superabili", le ha definite il presidente del Consiglio che non vuole pensare a uno stop del governo, soprattutto dopo che l’Italia ha "tenuto duro durante la crisi e ora c’è la possibilità di raccogliere i frutti". "Siamo orgogliosi che l’Italia sia"un Paese con i conti in ordine"- ha detto Letta - sottolineando i "grandi sacrifici" compiuti per stare dentro i parametri di stabilità e uscire dalla procedura di deficit. Ma evidentemente i timori del premier per la tenuta del governo sono forti. Letta incassa l’appoggio immediato del ministro del Lavoro, Enrico Giovannini.
Il semestre italiano. Nei pensieri del premier anche l’Europa, soprattutto in vista del semestre di presidenza italiana che inizia nella seconda metà del 2014. "L’Europa deve cogliere la ripresa e non fermarsi alla coda della crisi - ha spiegato Letta - questo vuol dire fare scelte impegnative, sul lavoro gli investimenti e la competitività". Quando toccherà all’Italia batil presidente del Consiglio ha già chiare le priorità. "Voglio continuare la battaglia per contenere la disoccupazione giovanile, un tema importante e il cuore della presidenza italiana dell’anno prossimo".
Altro tema centrale per il capo del governo è quello dell’unione bancaria "per evitare che i consumatori europei debbano pagare per gli sbagli delle banche - ha sottolineato - tutelare i risparmiatori e rendere il sistema bancario europeo più solido sarà un altro impegno della nostra presidenza".
La stoccata di Faymann. Una stoccata al Cavaliere arriva invece dal cancelliere austriaco Faymann: "Ho conosciuto Silvio Berlusconi e non ho mai pensato che sia un garante della stabilità - ha detto Faymann -, per cui sono contento di aver incontrato il presidente Letta che sta andando nella giusta direzione".
"La prima reazione dalle file delle Pdl è quella di Daniela Santanchè. "Finora quello che ha avuto maggiore senso dello stato e maggiore responsabilità è Silvio Berlusconi - replica la deputata - altrimenti l’Italia non avrebbe avuto un governo, Letta non sarebbe diventato premier e Napolitano non sarebbe presidente della Repubblica. Per cui mi aspetto e sono certa che da parte loro ci sarà la responsabilità di ripristinare al più presto la democrazia nel nostro paese". Dedizione totale a Berlusconi dal sottogretario Michaela Biancofore: "E’ una persona che noi amiamo profondamente perché a differenza di chi lo giudica senza conoscerlo, noi lo conosciamo bene", ha assicurato. "Per noi lui è stato l’inizio e sarà la fine, è stato l’alba e se così sarà, e io non lo credo, staremo con lui fino al tramonto. Mentre il capogruppo pidiellino alla Camera, Renato Brunetta, sollolinea la necessità "di risolvere il problema democratico su Berlusconi, prima della riunione della Giunta per le elezioni al Senato".
Se voterà per l’incandidabilità di Silvio Berlusconi, il Pd non può pensare che il Pdl mantenga il sostegno al governo, chiarisce Fabrizio Cicchitto. "Se come dicono i titoli di alcuni giornali, Letta avverte Berlusconi, a nostra volta, senza alcuna arroganza, noi avvertiamo Letta. Lo facciamo a scopo costruttivo e non distruttivo, ma il Pd non può pensare di trasformare arbitrariamente la Giunta per le elezioni in una sorta di tribunale speciale o plotone d’esecuzione nei confronti di Berlusconi e poi chiedere al suo partito di continuare ad appoggiare il governo".
E interviene nuovamente, anche il presidente dell’organismo di Palazzo Madama, Dario Stefàno, dopo i rilievi sulla costituzionalità della legge Severino, sollevati dagli esponenti del Pdl: "Come Giunta abbiamo fissato che le nostre funzioni non ascrivano la competenza nel richiamare problemi di costituzionalità delle norme o delle leggi - ha precisato l’esponente di Sel -. Dobbiamo limitarci a svolgere il ruolo che le norme ci attribuiscono, quello di applicare e in questo caso di discutere sull’incandabilità intervenuta ed eventuale decadenza di Silvio Berlusconi".
Il deputato pidiellino e presidente della commissione Affari costituzionali della Camera Francesco Paolo Sisto ha reso noto che "c’è un disegno di legge a firma di senatori del Partito democratico che esclude la retroattività della legge Severino. Nel ddl 665 del 17 maggio 2013, annunciato nell’Aula del Senato l’8 luglio scorso, si legge che se si ammettesse il principio della retroattività della incandidabilità ’si riconoscerebbe sostanzialmente la possibilita’ che una legge, mutando i requisiti, possa rendere incompatibili o ineleggibili, in corso di mandato, anche i membri del Parlamento. Il che è come dire che una legge sopravvenuta potrebbe cancellare, o comunque limitare la volontà popolarè", ha spiegato.
Ma il Pd sembra voler tagliare corto. "Le minacce quotidiane di crisi di governo di alcuni dirigenti Pdl rischiano di riportare l’Italia sotto l’immagine di un paese ingestibile e periferico, scarsamente affidabile proprio ora che l’esecutivo Letta sta ottenendo risultati importanti", dichiara in una nota Matteo Colaninno, responsabile economia del Partito Democratico. "Nel Pdl prevalga il senso di responsabilità e una consapevolezza: non si possono chiedere al Pd soluzioni da repubblica delle banane. L’unica strada è indicata nel recente messaggio del presidente Napolitano e rappresenta la più alta garanzia per tutti".

PEZZO DI FRANCESCO BEI DI STAMATTINA
Un ultimo, estremo tentativo per salvare le larghe intese. Questo è il massimo che Angelino Alfano è riuscito a strappare al termine di un lungo e drammatico vertice ad Arcore dominato dai falchi del Pdl. È un vero e proprio ultimatum quello del Cavaliere al governo: "Io non credo più a Napolitano, non mi fido più di nessuno. Ma, se vuoi, tu Angelino prova a farli ragionare. Altrimenti la chiudiamo subito qui, prima ancora della riunione della giunta". L’ultima offerta al Pd, affinché accetti di rimettere in discussione la legge Severino e blocchi la decadenza di Berlusconi da senatore, il segretario del Pdl - accompagnato da Renato Brunetta - la sottoporrà direttamente a Enrico Letta in un incontro a quattr’occhi. Un faccia a faccia decisivo, che potrebbe svolgersi oggi stesso al rientro del premier da Vienna. Ma se la risposta dovesse essere negativa, Berlusconi ha già deciso di far saltare il tavolo: "Digli che hanno tempo fino a fine agosto per decidersi". Dieci giorni, questa è la scadenza. Il mandato di Alfano non prevede subordinate. O il Pd accetta di fermare i lavori della giunta e si apre a riconsiderare la costituzionalità della legge Severino, oppure il Pdl ritirerà i suoi ministri dall’esecutivo.

Un’accelerazione drammatica verso la crisi di governo. Un indurimento che preoccupa molto il capo dello Stato e gli stessi ministri berlusconiani, ormai prigionieri dei falchi come Santanché e Verdini. Napolitano infatti, a differenza di qualche giorno fa, avrebbe iniziato a nutrire il sincero timore che il Cavaliere non stia bluffando e sia deciso ad andare fino in fondo.

Puntando alle elezioni anticipate. Lo stesso Gianni Letta (la cui assenza significativa dal vertice di Arcore di ieri, insieme a quella dei ministri, non è passata inosservata) avrebbe confidato ad alcuni sui interlocutori tutto il suo sconforto per la deriva oltranzista maturata dal suo partito. Con parole amare: "Quelli che i giornali chiamano pitonesse e falchi non sono matti ma criminali". Il problema è che stavolta il primo dei falchi sembra essere proprio il Cavaliere. L’ha compreso bene un altro amico di vecchia data che, di solito, interviene per moderarne gli eccessi e riportarlo su un terreno più pragmatico: Fedele Confalonieri. Dopo Ferragosto, durante una cena a cui hanno partecipato anche i figli Marina e Pier Silvio, Berlusconi avrebbe dato vita a un lungo sfogo contro i giudici, il Pd, Letta e Napolitano, al termine del quale persino "Fidel" ha alzato bandiera bianca: "Alle tue aziende una crisi di governo non conviene. Ma le aziende le hai fondate tu e l’importante ora sei tu".

Che Berlusconi si stia preparando al peggio è un fatto assodato. Da giorni diversi parlamentari del Pdl riferiscono di aver ricevuto telefonate direttamente dal leader. Il succo è una chiamata alle armi, un "tenetevi pronti", condito da giudizi poco lusinghieri su Napolitano e sul premier. Specialmente sul premier. "Se anche lo facessimo cadere - è quanto si è sentito dire un ex ministro - non è che sarebbe un gran danno. Letta parla parla ma non resta molto di quello che dice, questo governo non incide".
Manca poco all’accusa di mancanza del "quid". Le colombe sperano a questo punto che qualcosa si muova nel Pd. Maria Stella Gelmini, presente al summit di Arcore, quasi implora che vengano prese in considerazione le parole di "illustri costituzionalisti e penalisti - da Capotosti, ad Armaroli, Fiandaca - non certo vicini al centrodestra, in ordine a svariati profili giuridici di illegittimità e incostituzionalità" della legge Severino. E’ il tasto che batteranno Alfano e Brunetta, lo stesso argomento che torna nelle parole di Donato Bruno, di Fabrizio Cicchitto. Sebbene pochi si facciano illusioni. Berlusconi infatti sembra una locomotiva in corsa, tanto che ieri avrebbe presentato anche un "crono-programma" con i tempi della nascita di Forza Italia, della crisi, delle elezioni anticipate. Annunciando di aver in animo di registrare un video messaggio per sancire la fine dell’esperienza Letta e l’inizio della pugna. Una sorta di riedizione del discorso della calza, quello della discesa in campo del ’94. "Non possiamo stare al governo con i nostri carnefici", è stato il leit motiv della serata a villa San Martino. "Abbiamo sbagliato a dar retta a Napolitano e a dare vita al governo Letta, questi non cambieranno mai". La stessa soluzione di sottoporre alla Corte costituzionale la legge Severino (ammesso che il Senato possa intraprendere questa strada) trova il Cavaliere più scettico che mai. "Voi vi appassionate a questa storia della costituzionalità, ma la mia opinione sulla Consulta la conoscete bene. Volete che mi affidi a quelli che hanno già bocciato il lodo Alfano? Sono 11 contro 4, è un plotone di esecuzione della sinistra".Di fronte all’ultimatum di Berlusconi i margini per salvare il governo sono molto stretti. Nella notte romana il pessimismo prevale tra i filogovernativi di entrambi i partiti.

SOSPESI DUE A BOLOGNA PER LA SEVERINO
BOLOGNA - Non c’è pace nel Pdl della Regione Emilia-Romagna. Il seggio di Giuseppe Villani, il capogruppo sospeso dopo l’arresto ai domiciliari (poi revocati) nell’ambito dell’inchiesta parmigiana "Public money", cambia di nuovo occupante. Verrà infatti sospeso anche Gianpaolo Lavagetto, il secondo della lista Pdl a Parma, che peraltro non si era nemmeno iscritto al gruppo dei berlusconiani perchè nel frattempo aveva lasciato il partito. Condannato in primo grado per peculato per l’uso del telefonino di servizio quand’era assessore a Parma, Lavagetto dovrà lasciare il posto alla terza della lista, Cinzia Camorali, in virtù della legge Severino. La stessa che in questi giorni è contestata per la sua probabile applicazione al caso giudiziario di Silvio Berlusconi.
E’ apparso infatti sulla Gazzetta Ufficiale il relativo decreto della presidenza del Consiglio dei ministri, che dispone la sospensione di Lavagetto dal Consiglio regionale a partire dal 21 maggio 2013, giorno del suo subentro nei confronti di Villani.
In realtà la
sospensione di Lavagetto scatterà a tutti gli effetti quando il decreto sarà stato notificato in Regione dalla prefettura di Bologna. A quel punto verrà disposta la nuova surroga per la prima seduta disponibile (verosimilmente la prima o la seconda settimana di settembre) e in assemblea siederà Camorali, una volta compiute le verifiche di rito sulla neo-eletta.
(21 agosto 2013)

EDITORIALE DI EZIO MAURO
Come nelle epoche maledette, quando la politica diventa impostura, stiamo assistendo a un rovesciamento clamoroso del senso, a un sovvertimento della realtà.
Il reato commesso da Berlusconi e sanzionato da tre gradi di giudizio è scomparso, nessuno chiede conto all’ex Premier del tesoro illegale di 270 milioni di euro costruito a danno della sua azienda e dei piccoli azionisti per giocare sporco nel campo della giustizia, della politica, dell’economia, alterando regole, concorrenza e mercato.
Nel mondo alla rovescia in cui viviamo si chiede invece ad un soggetto politico - il Pd - e a due soggetti istituzionali (il Presidente del Consiglio e il Capo dello Stato) di compromettersi con la tragedia della destra, costretta a condividere in pubblico i crimini privati del suo leader. Compromettersi trovando un’uscita di sicurezza dalla condanna definitiva del Cavaliere, piegando il diritto, la separazione dei poteri e la Costituzione, cioè l’uguaglianza dei cittadini. E tutto questo con una minaccia quotidiana che dice così: la politica e le istituzioni sono talmente deboli che la disperazione conclusiva di Berlusconi può tenerle prigioniere, piegandole per poi farle sopravvivere deformi per sempre. Napolitano ha già risposto che le sentenze si eseguono.
Ma le pressioni non si fermano, puntano alla creazione di un nuovo senso comune, urlano al sacrilegio politico, invocano l’eccezione definitiva che faccia di Berlusconi il "fuorilegge istituzionale", il primo cittadino di uno Stato nuovo, fondato sulla trasgressione elevata a norma, sulla forza che prevale infine sul diritto. Bisogna essere consapevoli che questa è la vera posta in gioco oggi. Si può rispondere se si è capaci di mantenere autonomia politica e culturale. E soprattutto se si sa conservare la coscienza di vivere in uno Stato di diritto e in una democrazia occidentale, che non vuole diventare una satrapia dove la nomenklatura è al di sopra della legge e un uomo solo tiene in pugno il Paese.

PAOLA DI CARO SUL CORRIERE DI STAMATTINA
ROMA - Ha chiamato a raccolta falchi e colombe, comunque gli uomini e le donne di cui si fida. Per ascoltarli, ma soprattutto per dettare una linea che adesso diventa, ufficialmente, quella di tutto il Pdl. Silvio Berlusconi riunisce per la prima volta da quando è rinchiuso nel suo quartier generale di Villa san Martino buona parte del vertice del partito - Alfano, Verdini, Santanchè, Gelmini, Brunetta, Capezzone - e in un lungo vertice passa in rassegna tutte le ipotesi sul campo per difendere «il mio onore e i miei diritti politici» e per verificare se esiste ancora una possibilità, anche se solo infinitesimale, di evitare la rottura del patto di governo.
Lo si farà, ma in un tempo ben definito, con un cronoprogramma già stabilito: oggi Alfano, assieme a Brunetta, parlerà con Enrico Letta per presentare obiezioni e richieste del Pdl, e avrà 3-4 giorni per approfondire con lui le possibili vie d’uscita. Entro fine mese la risposta del Pd, e di Napolitano, dovrà arrivare, chiara e netta, magari. Se sarà di chiusura, Berlusconi non aspetterà il 9 settembre, data in cui la giunta si riunirà per decidere sulle sue dimissioni, ma già a fine agosto partirà la «controffensiva» mediatica del Cavaliere: un messaggio agli italiani in video, poi il discorso in Senato, durissimo, sulla giustizia. Sarebbe l’apertura sostanziale della crisi, e di conseguenza della - auspicata dal Pdl - campagna elettorale.
Il clima è pesantissimo. Il Cavaliere, racconta chi c’era, con il passare dei giorni non si è affatto rasserenato, ma è sempre più convinto che la strada del dialogo, della ragionevolezza, della moderazione e della responsabilità non abbia «portato a niente», e che sia ora di «cambiare strategia». Nelle ultime 48 ore, non ha affatto cambiato idea: «Non vedo aperture da parte loro, anzi le parole di Letta sia al Meeting di Rimini che quelle dell’intervista alla televisione austriaca arrivate ora, non promettono nulla di buono. Anzi...».
Ha ascoltato l’ex premier i suggerimenti delle colombe, di Alfano, della Gelmini, che riportano quello che è l’ultimo, disperato tentativo di Gianni Letta: «Dobbiamo cercare di ottenere tempo e un esame serio dalla giunta per le Elezioni, e il ricorso alla Corte costituzionale per verificare la costituzionalità della legge Severino è una strada percorribile. Tanti esperti hanno espresso dubbi, chiederò al premier di farsi carico col suo partito di questo problema - ha detto il segretario -. Se accetteranno, avremo 7-8 mesi di agibilità politica, i lavori della giunta potrebbero fermarsi. Dobbiamo provarci, altrimenti è giusto essere pronti alla rottura». E sia Brunetta che Quagliariello già intravvedono la via per uscire dall’impasse: la commutazione della pena da parte di Napolitano.
Anche se non ha frenato i suoi, il Cavaliere è il primo a crederci poco: «Cosa posso aspettarmi da una Corte costituzionale politicizzata che, quando ha potuto, mi ha sempre dato contro? Come da un capo dello Stato che si è limitato a una nota inaccettabile, da un Pd che si vergogna a stare al governo con noi?». Per questo, non potranno esserci né «semplici rinvii né inutili prese di tempo, che gioverebbero solo a loro». L’opinione comunque con la quale si è usciti dal vertice, unitariamente e senza grosse distinzioni, è quella dettata da Berlusconi: «Ci pensi il premier, ci pensi Napolitano a risolvere questa questione, se ci tengono tanto al governo. Non è ammissibile un voto in commissione che mi faccia decadere da senatore, e tantomeno si aspettino che io chieda la grazia. Sono loro che devono risolvere questa situazione». E il tempo stringe: Berlusconi, ha spiegato ai suoi, non ha alcuna intenzione di perdere un minuto, perché l’unico effetto sarebbe quello di «traccheggiare» fino a quando si sarà chiusa la finestra elettorale dell’autunno in modo da «metterci a margine e impedirci di presentarci ai nostri elettori».
Bisogna insomma battere sul tempo il Pd, non finire nella melassa: «Esigiamo risposte chiare». E la risposta, come dice Gaetano Quagliariello in un’intervista al Foglio , è molto semplice: «Se si dovesse trasformare la giunta del Senato da luogo della meditata ponderazione al teatro di un plotone di esecuzione, il centrodestra avrà il suo dramma da affrontare ma l’Italia non ne uscirebbe indenne».
L’impresa è pressoché disperata, e nonostante le colombe vogliano tentare la strada, anche moderati come Fabrizio Cicchitto stanno per arrendersi: «Se si dimostrerà che per loro il nostro leader è solo un nemico da abbattere, anche io, nonostante pensi che la stabilità del governo sia un valore, ne prenderò atto». Dieci giorni per capire, dieci giorni per decidere il destino di un governo sul quale la sentenza Mediaset non poteva, come in fondo tutti sapevano, non avere un peso decisivo.

ALESSANDRO SALA SUL CORRIERE DI STAMATTINA
Santanché-Gasparri, lite in famiglia a colpi di tweet
di Alessandro Sala
La cosa funziona più o meno così: Daniela Santanché legge il Corriere e se trova qualcosa che la riguarda si attacca allo smartphone e risponde via Twitter. Era successo ieri, quando alla posizione delle colombe del Pdl che sostanzialmente dicevano di non volere prendere ordini dalla «pitonessa» cinguettava così: «Prendere ordini da Napolitano… invece va bene».
Oggi il bis. Nel mirino ci finisce il vicepresidente del Senato, nonché ex capogruppo dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri. Del quale, nel retroscena di Paola Di Caro pubblicato a pagina 3 del nostro giornale, era riportato un virgolettato che, pur senza citarla espressamente, chiamava in causa proprio la pasionaria pidiellina: «Morire per Berlusconi sì, ma morire per il Twiga no…», con un chiaro richiamo all’immagine ferragostana della Santanché intenta ad immortalare gli aerei con gli striscioni di Forza Italia dalla spiaggia dell’esclusivo stabilimento balneare di Forte dei Marmi.
La Santanché, che molti nel suo partito iniziano a considerare ingombrante ma che nel pezzo viene descritta come instancabile lavoratrice e attivista, ha affidato ancora una volta all’uccellino azzurro la sua replica: «Una cosa è certa, Gasparri non morirà mai di troppo lavoro».
Gasparri non si è tirato indietro e sempre via Twitter replica: «Difatti sono resistente, lavoro da militante più di tanti altri e non ne morirò. Sono allenato alle battaglie dure».

La replica di Maurizio Gasparri a Daniela Santanché
A margine del battibecco tra i due ex aennini va registrato un altro tweet curioso che arriva sempre dal fronte pidiellino. E’ quello del ministro Nunzia Di Girolamo, che replicando alla deputata pd Alessandra Moretti, che in un’intervista a Repubblica l’aveva inserita fra i tre ministri berlusconiani pronti a restare anche in un eventuale Letta bis, scrive:
«Cara @ale_moretti grazie per l’attenzione ma non sono mai stata una cacciatrice di poltrone. Seguirei mio leader nella buona e cattiva sorte». Una formula a dir poco matrimoniale. E chissà come l’ha presa il marito, Francesco Boccia, daputato Pd e presidente della commissione Bilancio della Camera. Di sicuro non ha affidato a Twitter il suo pensiero: l’ultimo post è del 31 luglio e riguarda le pensioni e gli errori della riforma Fornero.
Il tweet di Nunzia De Girolamo in cui ribadisce assoluta ed eterna fedeltà al Cav
Inarrivabile, però, quanto attestazione di fedeltà incondizionata al leader è Michaela Biancofiore, che per sostenere che tutto il Pdl resterà al fianco del Cavaliere «fino al tramonto» arriva a declamare una quasi «poesia». Troppo lunga però per i 140 caratteri di un tweet.

FRANCHI TIRATORI NEL PD
ROMA - La brezza del sospetto che soffia da Roma ha raggiunto Laura Puppato anche in vacanza. «Se ci sono tra di noi traditori che, nel segreto dell’urna, possono salvare Silvio Berlusconi dalla decadenza?». La senatrice del Pd sospira e poi lo dice: «Da quando è successa quella storia dei 101, in Aula io mi sento come circondata da incappucciati...». E Pippo Civati, che pure precisa che «non voglio credere che accada una cosa di questo tipo», aggiunge: «Io non sono certo uno che alimenta la cultura del sospetto. Però, se accadesse una cosa del genere, se nel segreto dell’urna qualcuno dei nostri votasse per salvare Berlusconi, allora sarebbe peggio della semplice fine del Pd. Sarebbe la fine del mondo».
Ad accendere il primo cortocircuito interno ai Democratici sulla storia della decadenza di Silvio Berlusconi ci pensa un’intervista rilasciata martedì da Felice Casson al Fatto quotidiano . Un’intervista in cui il senatore del Pd, pur precisando che «nessuno» dei suoi colleghi «ha mai manifestato un dubbio» e pur confidando «che non ci saranno scherzi», ha evocato il sospetto che le ultime chances del Cavaliere siano affidate «ai franchi traditori» del Senato. Che, ha detto, «chiamerei così perché sarebbero traditori della legge».
Per capire come l’abbia presa Guglielmo Epifani non serve citare le preoccupazioni espresse dal segretario sull’ipotesi che dopo il passaggio in Senato arrivi la crisi di governo («Sono preoccupato, pagherebbero i cittadini»). O raccontare il modo in cui il diretto interessato ha sorvolato sulla questione della decadenza di Berlusconi («Ci sarà tempo e modo di parlarne»). No. Basta farsi un giro tra la cerchia ristretta del segretario del Pd, che ha reagito alle parole di Casson con stizza. Della serie, «ci si può accusare di tutto, persino di polemizzare troppo appresso al dibattito congressuale sul voto agli iscritti o agli aderenti. Ma di sospetti come quelli no, non ne parliamo nemmeno. Non perdiamo neanche tempo a leggerli».
Il Pd rivendica di aver mantenuto, sul caso Berlusconi, la barra dritta. Sempre e senza divisioni. Dal primo intervento di Epifani, arrivato pochi minuti dopo il pronunciamento della sentenza di condanna da parte della Cassazione. Alle reiterate prese di posizione dei capigruppo Roberto Speranza e Luigi Zanda. Eppure, con le parole di Casson, i sospetti cominciano a circolare. «Stimo Casson e non voglio pensare nemmeno per un secondo che quei sospetti abbiano un seguito. Perché sarebbe la fine per il partito», sottolinea Civati. «Il Pdl minaccia le elezioni solo perché vuole mettere paura ai parlamentari. Se qualcuno di noi ci cascasse, se qualcuno votasse contro la decadenza a voto segreto», è il ragionamento della Puppato, «sarebbe una cosa deflagrante». Vorrebbe dire, aggiunge il prodiano Sandro Gozi, «che il partito arriverebbe al capolinea».
Sono prese di posizione che riaprono le vecchie ferite nel gruppo del Pd al Senato dopo che la mini-pattuglia guidata da Laura Puppato aveva votato in dissenso dal gruppo sulla mozione di sfiducia contro Alfano, presentata da Sel e Cinquestelle. «Mi dispiace che questi sospetti li abbia ripresi Casson, che è una persona seria. Ma questo è puro cripto-grillismo. Questa è gente che sputa contro di noi», dice Stefano Esposito. Un fiume in piena, il senatore torinese del Pd. «Io adesso torno a chiedere al capogruppo Zanda che venga tutelata da questi attacchi l’onorabilità mia e dei miei colleghi. Perché sono sicuro che neanche un voto del Pd finirà nel segreto dell’urna per favorire Berlusconi. Mi ci gioco una mano. Anzi, se succede, mi gioco la mia, di decadenza da senatore».