Alessandro Accorsi; Costanza Spocci, Limes: Egitto, rivoluzione usa e getta, n. 7 8/2013, 21 agosto 2013
LA GALASSIA SALAFITA GIOCA DI SPONDA TRA MILITARI E FRATELLI
1. I massacri di manifestanti islamisti del 7 e 8 luglio 2013 hanno mostrato come un’importante fetta della galassia salafita egiziana stia supportando i Fratelli musulmani nella lotta di strada, chiedendo il ritorno di Mursi. Questo nonostante il partito salafita al-Nur si sia apertamente schierato con al-Sisi riguardo alla road map per una nuova transizione politica guidata dai militari. La galassia salafita egiziana è infatti composta e variegata. E non è la prima volta che le posizioni al suo interno si rivelano divergenti.
Al centro della galassia vi è al-Da‘wa al-Salafiyya, l’organizzazione ombrello che raggruppa sotto di sé la quota più consistente dei gruppi salafiti egiziani. Nato da una branca dell’allora militante al-Gama‘a Islamiyya, il gruppo nasce ufficialmente negli anni Ottanta ad Alessandria grazie ai finanziamenti sauditi, proponendosi come principale movimento di diffusione del credo wahhabita in Egitto. In contrapposizione alle idee qutbiste (derivanti dal pensiero dell’ideologo Sayyid Qutb, il più radicale fra i pensatori della Fratellanza), che avevano portato i Fratelli musulmani alla militanza politica attiva, per trent’anni al-Da‘wa ha vietato ai suoi membri ogni tipo di partecipazione politica nelle istituzioni statali, per definizione non-islamiche. Questa scelta ha garantito all’organizzazione di espandersi nella società egiziana senza alcun tipo di interferenza, con il supporto del regime di Mubarak, interessato a incanalare le possibili adesioni alla Fratellanza verso un islam non politico. La linea apolitica è abbandonata solo dopo la rivoluzione del 2011, quando l’apertura dell’arena politica presentava un’occasione irripetibile per entrare a far parte del gioco istituzionale. Così, a quattro mesi dalla rivoluzione, l’organizzazione si dota di un braccio politico, al-Nur, e il mese successivo riforma il suo stesso processo di selezione dei quadri, indicendo per la prima volta elezioni interne.
Al-Nur si è affermato in breve tempo come il nuovo animale politico del panorama egiziano post-rivoluzione. Restando in seconda fila nei negoziati tra Fratellanza e Supremo Consiglio delle Forze armate (Scaf) e alternando tattiche anti-sistema all’esibizione del proprio potenziale di ricatto politico, mette in moto il suo efficiente sistema di comunicazione – moschee, palchi per la preghiera agli angoli delle strade, canali satellitari, network di charities – per diventare in poco più di sei mesi la seconda forza politica del paese. Il successo di al-Nur rispetto agli altri salafiti risiede esclusivamente nella potenza di al-Da‘wa, che tuttavia, in quanto azionista di maggioranza, detta la linea limitando gli spazi di autonomia del partito.
2. Con la nomina di alcuni membri di al-Nur tra i suoi consiglieri presidenziali, Mursi aveva lasciato intendere di voler governare seguendo l’accordo postelettorale stipulato tra la principale espressione politica della galassia salafita e il Partito libertà e giustizia (Plg), braccio politico della Fratellanza, per ottenere una maggioranza islamista in parlamento. Tra i consiglieri scelti da Mursi, l’allora segretario di al-Nur ‘Abd al-Gafur, cui viene chiesto di gestire i negoziati con i jihadisti nel Nord del Sinai.
Sin dall’inizio dei lavori dell’Assemblea costituente si delinea però il braccio di ferro tra Da‘wa e Fratellanza. L’Assemblea diventa l’occasione per misurare i rapporti di potere, smarcarsi dal Plg, avanzare richieste e fare campagna elettorale. Al-Nur non è da meno. Per il suo elettorato, la legittimante con cui il partito è entrato nel gioco politico-istituzionale è l’adozione di un sistema basato sulla shari‘a. Al-Nur inizia dunque a giocare da partito anti-sistema, esortando i suoi membri e quelli degli altri movimenti salafiti a scendere in piazza per chiedere l’introduzione della legge islamica nella costituzione. Allo stesso tempo esercita il suo potenziale di ricatto, minacciando il governo di ostacolare la Fratellanza che, completamente isolata senza l’appoggio di al-Nur e incapace di dialogare con le forze laiche, non è in grado di ottenere la maggioranza qualificata per far approvare in tempi brevi una costituzione.
Il partito salafita inizia inoltre a ritorcere contro i Fratelli la loro tattica del «lancio il sasso e ritiro la mano» nell’indire manifestazioni. Caso esemplare, la mobilitazione per il «venerdì della shari‘a », indetta e organizzata da al-Da‘wa e al-Nur. I Fratelli, sotto pressione e chiamati in causa in nome della legittimità islamista, si vedono costretti ad aprire negoziati. La sera prima della manifestazione, al-Nur e al-Da‘wa ritirano la loro partecipazione ufficiale, inviando però il giorno dopo i propri membri a manifestare con gli altri movimenti salafiti ma a solo «titolo personale».
Per evitare di essere messo in costante scacco da al-Nur, il Plg lavora fin dalla sua ascesa al potere per ampliare le divisioni già presenti in al-Da‘wa. Il risultato arriva: una «guerra per procura» all’interno di al-Nur tra l’ala riformista e l’ala conservatrice dell’organizzazione madre, che scatena un’ondata di dimissioni. I riformisti, rappresentati dal segretario ‘Abd al-Gafur e favorevoli a un approccio pragmatico, di dialogo con i Fratelli, si vedono sottrarre tutte le cariche amministrative nelle elezioni interne di metà novembre. L’accusa di al-Gafur a Buhrami, testa dell’ala conservatrice, di aver manipolato i risultati gli vale l’espulsione diretta dal partito. Il numero di partitini e movimenti salafiti staccarsi da al-Da‘wa aumenta così ulteriormente. Già oggetto di diverse scissioni, al-Nur perde con al-Gafur tutta l’ala riformista che, non potendo più contare sull’appoggio logistico di al-Da‘wa, si riunisce nel partito Watan con il salafita Hazim Abu Isma‘il. Imputando ad al-Nur la colpa di staccarsi sempre più dalla base, l’obiettivo dichiarato di al-Gafur è di recuperare la perdita di consensi nelle strade ripartendo da un movimento che nasca all’interno del circolo islamista piuttosto che da un’organizzazione ormai lanciata solo verso i piani alti della politica. In risposta, Yunis Mahiyun, membro di al-Da‘wa e nuovo segretario del partito, nel suo discorso di investitura rende chiara la posizione di al-Nur al riguardo: le tensioni createsi con il Partito libertà e giustizia sono causate anche da una diversa concezione della gestione dello Stato – monopolio dei Fratelli dopo il decreto costituzionale di novembre – e da un conflitto di interessi quando si tratta di elettorato.
La scissione, avvenuta in concomitanza con la previsione di un rimpasto di governo e in prossimità della scadenza elettorale del 25 febbraio, apre una fase di passaggio per ciò che resta del braccio politico di al-Da‘wa. Al-Nur intende affermarsi come attore politico completamente indipendente. Per la prima volta nella sua storia, invia delegazioni in Europa per fare campagna elettorale e proporsi come valida alternativa islamista agli occhi degli egiziani all’estero e dei politici europei. Il volto da mostrare per il nuovo «marchio» al-Nur è il brillante e giovane portavoce Nadim Bakkar. In cerca di appoggi esterni per accrescere il ruolo del partito non solo all’interno dell’Egitto, ma anche per entrare nei giochi regionali, la rete di contatti si estende anche alla Russia, anche per discutere della guerra in Siria. Per quanto riguarda la compagine nazionale, negli ultimi sei mesi al-Nur mostra invece di essere l’unica formazione politica in grado di porsi come mediatore tra le opposizioni riunite nel Fronte di salvezza nazionale (Fsn), che fino all’ultimo hanno boicottato ogni discussione con il presidente, e i gruppi islamisti che hanno supportato incondizionatamente ogni decisione di Mursi. Optando per l’opzione «collaborativa», al-Nur cerca di attirare l’elettorato religioso insoddisfatto dell’operato del presidente. Questa è la linea che porta al-Nur a chiedere le dimissioni dell’allora primo ministro Qandil – accusando il Plg di aver legato il destino economico del paese ai prestiti internazionali e ad allearsi con l’Fsn per fare pressioni sul governo.
Quando il Plg si vede costretto a procedere con un rimpasto ministeriale a poco più di un mese dalla manifestazione del 30 giugno, al-Nur, in cambio, chiede la formazione di un governo tecnico. In parallelo, continua a svolgere e affinare le attività attraverso la sua rete di charities per raccogliere consensi tra le fasce di reddito più basse, offrendo nuovi servizi come le cliniche mobili e la distribuzione di sussidi per la carne, una volta monopolio esclusivo dei Fratelli. Ed è proprio sul lavoro sociale e su un’economia basata sul welfare che il partito sta puntando tutto. Nelle parole di Bakkar, «gli egiziani si aspettano che nel momento in cui un’organizzazione islamica nata per provvedere ai bisogni dei più emarginati sale al governo, lasci perdere il lavoro nelle sue charities e metta questi servizi a disposizione dell’intera popolazione in un quadro istituzionalizzato».
Seppur poco menzionata, la politica economica è una delle questioni che hanno maggiormente diviso i due movimenti islamisti: nel corso della presidenza Mursi la Fratellanza ha infatti optato per un neoliberismo non dissimile da quello di Gamal Mubarak – figlio e aspirante delfino del presidente deposto dalla rivoluzione – e ha preferito mantenere la gestione in proprio della sua rete di charities, base principale del suo seguito elettorale.
Evitando di esporsi per non essere associato con il nuovo governo Qandil, al-Nur si è dunque messo in una posizione politicamente invidiabile, soprattutto alla luce dei negoziati con al-Sisi per tracciare la road map della transizione. A pochi giorni dall’estromissione di Mursi dalla scena politica egiziana, Mahiyun denunciava la «fratellizzazione» di istituzioni, governatorati e sindacati, e mentre supportava la legittimità di Tamarrud a manifestare chiedeva a Mursi di scendere a un compromesso, mostrando ancora una volta la volontà del suo partito di porsi come mediatore. Il messaggio questa volta però non era indirizzato al suo elettorato: «Raggiunto lo stadio in cui dobbiamo scegliere tra una guerra civile e l’intervento dei militari, è chiaro che opto per la seconda». L’apparizione in tv della barba di Mahiyun vicino a papa Tawadrus (Teodoro), massima autorità copta, e al gran shayh al-Tayyib di al-Azhar, era indispensabile perché il 3 luglio al-Sisi potesse decretare l’inizio di una nuova fase politica che non passasse come effettivo colpo di Stato. Al-Nur, inoltre, doveva evitare che la resa dei conti con la Fratellanza si trasformasse in uno scontro con tutti gli islamisti. Per questo, rispetto agli altri partiti e attori coinvolti nella road map, è persino riuscito a mettere la sua impronta sulla nuova dichiarazione costituzionale, ottenendo la definizione di shari‘a che gli stessi Fratelli avevano rifiutato. Non solo. È stato l’unico partito ad avere potere di veto sulle decisioni dei militari nella nomina del primo ministro. Insistendo sulla figura di un economista e di un tecnico, i salafiti hanno prima silurato al-Baradi‘i e poi Ziyad Baha‘al-Din.
Le divisioni interne ad al-Da‘wa e le scissioni subite nel corso dell’ultimo anno si sono però evidenziate in occasione dei massacri del 7 e dell’8 luglio compiuti dalla Guardia repubblicana: tra i morti si contavano non solo Fratelli, ma anche salafiti. Non presentando una struttura rigida e organizzata come quella dei Fratelli, al-Da ai-wa e al-Nur non sono in grado di trattenere i loro membri dallo scendere nelle strade a protestare. Al-Da‘wa in particolare, anche se è seguita rigidamente dai suoi fedeli per tutto quello che concerne l’aspetto religioso e della preghiera, non ha mai avuto la capacita di emanare rigide indicazioni politiche. La polarizzazione dello scontro nelle strade tra islamisti e militari e le accuse di tradimento da parte dei Fratelli hanno messo al-Nur nella difficile posizione di dover frenare la sua ascesa e ritirarsi dalla road map per guardarsi alle spalle e controllare cosa sia effettivamente rimasto della sua base.
3. Proprio sfruttando questa debolezza di al-Da‘wa Salafiyya e anticipando l’ostilità tra i due movimenti, i Fratelli musulmani si sono posti al centro di un polo islamista alternativo, attirando i movimenti salafiti minori. Pur non essendo dotati delle stesse strutture organizzative di al-Da‘wa, questi gruppi hanno rappresentato un’opposizione «funzionale» – radicalizzando l’agenda islamista, ma rimanendole fedeli – capace di offrire supporto nella Street politics ed eventualmente di sfruttare i moti centrifughi in al-Da‘wa.
Tra questi gruppi spicca al-Gama‘a Islamiyya. Fiaccata da anni di repressione, ha ufficialmente rinunciato all’uso della violenza nel 2003, ma mantiene una discreta base di supporto grazie alle charities e alla predicazione. Specialmente in Alto Egitto – terra conservatrice, sottosviluppata e con forti tensioni settarie – dove il suo braccio politico ha conquistato 12 seggi alle elezioni parlamentari del 2011. Dal punto di vista dottrinale al-Gama‘a condivide con gli ihwan, a differenza di altri gruppi salafiti, il forte richiamo agli insegnamenti di Sayyid Qutb. Il recente riavvicinamento, dunque, è stato favorito anche dall’epurazione dell’ala riformista della Fratellanza musulmana, messa in minoranza dall’intesa tra l’ala pragmatica e quella conservatrice/qutbista che regge ora il movimento.
Ma è con la presidenza Mursi che al-Gama‘a Islamiyya è uscito ancor di più dal cono d’ombra della storia – tanto da esser premiato con la nomina di uno dei suoi membri, ‘Adil al-Hayyat, a governatore di Luxor – mobilitando le sue strutture in appoggio alla Fratellanza musulmana. L’organizzazione congiunta di adunate pubbliche – come la conferenza di Mursi sulla Siria del 15 giugno – e della campagna di raccolta firme a favore del presidente nota come Tagarrud segnala il livello di coordinamento crescente a livello logistico tra i due movimenti, al di là del coinvolgimento negli scontri di piazza con rivoluzionari e liberali.
Alleati preziosi potrebbero rivelarsi anche i cosiddetti «salafiti rivoluzionari», tra i quali spiccano gli hazemun, i seguaci del predicatore Hazim Abu Isma‘il. Non si tratta di veri e propri salafiti in tunica e barba lunga, ma di gruppi informali, non strutturati e capaci di mobilitare un numero considerevole di giovani emarginati attratti dal mix di leadership carismatica, conservatorismo sociale e identità islamica, antimilitarismo e idee economiche sinistroidi. A differenza dei veri salafiti, gli hazemun hanno avuto le prime esperienze di socializzazione politica negli scontri con la polizia, non all’interno delle charities, mentre il network delle moschee viene sostituito dai post su Facebook di Hazim Abu Isma‘il. Nonostante la centralità del messaggio identitario islamista e del militantismo violento, sono più vicini a un rivoluzionarismo perpetuo che al jihad. La mancanza di strutture gerarchiche e la scarsa rigidità dottrinale rivelano forza e debolezza di questi gruppi: esplosivi ma incostanti nella loro mobilitazione, informali ma capaci di attrarre le masse più emarginate, scettiche verso il rigore degli altri movimenti islamisti. Non a caso, alcuni gruppi salafiti hanno in cantiere una nuova piattaforma politica che unisca l’organizzazione delle moschee alla leadership carismatica e alla forza attrattiva di Hazim Abu Isma‘il.
Il «martirio» di 51 islamisti di fronte al palazzo delle Guardie repubblicane ha fornito alla Fratellanza musulmana uno strumento per rinsaldare i legami con gli alleati più conservatori e dimenticare le critiche che questi gruppi avevano mosso contro Mursi sul piano religioso o su quello economico e sociale. I predicatori e gli spin-doctors dei Fratelli, infatti, si smarcano dalla difesa della legittimità presidenziale di Mursi in favore di una narrativa che sottolinei elementi identitari cari a tutto il campo islamista: lo scontro decennale contro il potere militare, la persecuzione degli islamisti, il richiamo al martirio. Così facendo, quella che era una battaglia dei Fratelli musulmani diventa il fronte di tutto l’eterogeneo islam politico. Proprio ciò che al-Da‘wa Salafiyya, con il suo appoggio ai militari, doveva evitare.
Gama‘a Islamiyya e «salafiti rivoluzionari» ricoprono, dunque, un ruolo fondamentale. Nel caso in cui lo scontro politico e di piazza degenerasse in guerra civile o in conflitto a bassa intensità, costoro fornirebbero alla Fratellanza militanti pronti a combattere polizia ed esercito e sacche di resistenza nelle periferie depresse del Cairo o nei villaggi dell’Alto Egitto e del Sinai. Ma soprattutto potrebbero essere loro, per affinità ideologica o per capacità di attrazione e mobilitazione, a minare la capacita di al-Da‘wa Salafiyya di controllare la propria base e mantenerla nel campo dei militari.