Alberto Pezzini, Libero 20/8/2013, 20 agosto 2013
IL SINDACO AL CONFINO: «TRATTATO COME UN MAFIOSO»
Kafka a parte, questa non è letteratura.
Andrea Franceschi - sindaco di Cortina d’Ampezzo - ha scritto una lettera accorata al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. I toni sono fermi, come duro è il destino toccato a un primo cittadino «cacciato dal suo Comune d’imperio neanche fosse un pericoloso mafioso».
«Non é normale - si legge nella missiva - tanta severità, tanta implacabile durezza, senza processo, senza elementi di una qualche gravità.... Io Vi prego di volgere il Vostro sguardo verso Cortina d’Ampezzo perché qui sta succedendo qualcosa di strano».
Andrea Franceschi, dopo aver conseguito la laurea in economia alla Bocconi, decide nel 2007 di correre per le amministrative del suo paese. Ha in testa un programma ben preciso con quattro punti cardine: stop alle speculazioni edilizie, rilancio del sociale e della famiglia, spinta internazionale a Cortina e rilancio dello sport.
Ha una squadra composta da ragazzi di trenta o quarant’anni. Senza una segreteria, senza partito, con una tremenda voglia di cambiare. Vince a mani basse. Nel 2012 viene riconfermato con il 61% dei voti.
Il 30 dicembre del 2011 la Guardia di Finanza compie un’incursione a Cortina cercando di individuare i furbetti dell’evasione.
Per i giornali del tempo Cortina - cara a Montanelli e Buzzati - viene dipinta come la Gomorra delle Dolomiti.
«Cortina fu vittima, non colpevole, e io avevo non solo il diritto, ma anche il dovere di difenderla con forza e coraggio », questa fu la risposta del Sindaco Franceschi a quell’incursione da stato di polizia.
Sentiamo cosa dice personalmente Franceschi nel suo libro Un Sindaco in esilio (Marsilio) - scritto per rendere nota la sua storia spezzata - e già ristampato al volo dopo la prima tiratura fulminante.
«La Procura della Repubblica di Belluno dà credito alle accuse di una dipendente scontenta e un intero paese viene investito dalla bufera. Ho passato ventuno giorni agli arresti domiciliari, oggi ho il divieto assoluto di mettere piede nel territorio di Cortina e affronto un lungo processo. Il 22 maggio 2012 oltre venti uomini della Guardia di Finanza arrivano da Belluno all’alba. Suonano a casa e poi iniziano la perquisizione. Stessa scena in Comune. L’impianto accusatorio parte dalle dichiarazioni di una dipendente comunale scontenta, Emilia Tosi (...). Viene sentito dai magistrati anche l’ex comandante dei vigili urbani Nicola Salvato, in qualità di parte lesa, perché, nelle intercettazioni durate per ben sei mesi, sarebbe stato vittima di pressioni da parte mia e di alcuni assessori affinché smettesse di tartassare i cittadini con multe e autovelox. (...) Ad aprile 2013 la svolta. Il 24 del mese mi vengono notificati gli arresti domiciliari. L’accusa è di abuso d’ufficio, turbativa d’asta e violenza privata relativamente all’assegnazione del servizio di monitoraggio della raccolta dei rifiuti».
Il Tribunale del Riesame di Venezia revoca poi gli arresti domiciliari sostituendoli con la misura del divieto di dimora.
Oggi Franceschi vive a San Vito di Cadore, e può vedere il suo bambino o sua moglie soltanto in quelle zone franche. Non si è dimesso, però.
Mai cedere, è il suo motto, pur sapendo che le eventuali dimissioni gli assicurerebbero il ritorno alla libertà.
La domanda è la seguente.
Perché mai un sindaco - al quale spetta per definizione la potestà di indirizzare l’attività amministrativa di un comune - non può rivolgersi al Capo dei Vigili del suo comune e dirgli: basta autovelox, occupati degli abusi edilizi?
Perché mai un sindaco non può revocare la fiducia ad un dirigente, licenziarlo e così ottenere anche un risparmio per le casse del suo Comune?
Non si tratta della ricerca del buon andamento della Pubblica amministrazione, quel principio incastonato nell’art. 97 della Carta Costituzionale?
«Nonostante tutto, nonostante sia stato costretto al confino come un mafioso - conclude il sindaco - io so di essere una persona fortunata. E anche un montanaro un pò scorbutico come me alla fine si è commosso».
Così dichiarava Franceschi dopo la decisione del Tribunale del Riesame.
Il sindaco è l’unico anello rimasto intatto di quella dolente catena che unisce i cittadini al potere politico e lui resiste: «Se mi dimettessi tornerei libero immediatamente, ma non lo farò mai».