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 2013  agosto 20 Martedì calendario

BO XILAI TRADITO DALL’AMBIZIONE

Dicono che, in certe notti, sulla collina che ospita lo studentato dell’Università di Chongqing risuonino i lamenti delle vittime dei bombardamenti aerei giapponesi rimaste, orribilmente, senza sepoltura. Da mesi, alla pena degli spiriti della resistenza al Kuomintang, si è aggiunta quella di Bo Xilai, per circa un lustro onnipotente segretario del partito della più grande municipalità del mondo, politico di rango, destinato a una luminosa carriera, caduto repentinamente nella polvere, defenestrato da ogni incarico, finito in catene, la barba incolta lunga fino al petto - dicono, in segno di protesta - e i tratti del volto segnati dallo sciopero della fame in carcere.
Una storia, e una pena, infinite. Era destinato a sedere, il principino Bo, non certo sugli scranni di un’anonima Corte di giustizia, ma tra i velluti rossi delle poltrone dello standing committee del Politburo, non solo per pedigree politico ma anche per le riconosciute abilità, miste a un indiscutibile fascino personale. Bo Xilai, vittima del tradimento del suo Jago, Wang Lijun, il braccio destro messo a capo della polizia di Chongqing che lo ha venduto ai nemici americani in cambio della vita. Il poliziotto senza paura che si consegna (orrore!) agli americani in terra cinese.
Ma è andata proprio così? Wang ha agito spinto da debolezza umana o da vile calcolo? Chi o cosa ne ha guidato le mosse? Fatto strano, pochi giorni fa Zhong Erpu, il giudice del tribunale di Chengdu che lo ha condannato a 15 anni, è stato rimosso senza alcuna motivazione dal dipartimento dell’organizzazione del comitato locale del Partito comunista: il caso non è chiuso.
Chi sono i veri nemici di Bo Xilai e com’è andata davvero la vicenda del principino sommerso dal fango di accuse pesantissime? Senza quella confessione del fido Wang le faccende private di Bo Xilai e famiglia, moglie e figlio inclusi, sarebbero rimaste tali. E sulla morte del laowai (straniero) Neil Heywood, metà faccendiere, metà spia, venditore di Aston Martin e di non meglio precisati segreti, si sarebbe posato, per sempre, uno strato di polvere.
Cosa ha cambiato il destino del predestinato Bo? In una trama che sarebbe piaciuta a Shakespeare, impastata di sesso, tradimenti, intrecci familiari, soldi, potere, intrighi politici, la hybris di Bo ha sparigliato le carte. La certezza di potercela fare contro tutto e contro tutti, contro la storia millenaria e il destino della stessa Cina.
Una figura ingombrante quella di Bo. Irrituale. Una figura nuova e dinamica, agli occhi degli osservatori esterni, un elemento di frattura, a partire dai comportamenti disinvolti, per i colleghi di partito. Chi l’ha visto in azione da vicino poteva intuirne la diversità rispetto ai politici della sua stessa generazione: abiti di taglio occidentale, elegante, cravatte vivaci, portamento e movimenti sciolti, naturali, lampante consapevolezza del proprio valore. Ambizioso senza nasconderlo. A tratti sfrontato. Benvoluto dai suoi funzionari del ministero del Commercio estero, a suo agio con i leader stranieri che incontrava nei mille viaggi. Un concentrato di debolezze, inclusa la grande attrazione per certi aspetti della cultura non cinese, stridente contraddizione per un leader neomaoista. Come quella di volere per l’amato e scapestrato figlio Guagua ("fruttino", da gua, frutto) un’educazione iperoccidentale grazie ai buoni uffici dell’amico Nick (Heywood). Temutissimo dai nemici, rispettato dalla gente comune di Chongqing, che ancora oggi incolpa la perfida seconda moglie, l’avvocato di successo Gu Kailai. Donna rampante e fragile, una perfetta lady Macbeth, gelosa della schiera di amanti del marito ma fanatica degli investimenti all’estero, ville e palazzo di pregio inclusi.
Fatto sta che la storia dei Bo si intreccia con il destino politico di Xilai e qui la sua protervia nei confronti dell’establishment, la hybrys, appunto, fa scintille con la schiera dei burocrati compassati del partito. Le guanxi paterne si rivelano una zavorra. Dicono che le lotte dei padri della rivoluzione si siano riversate, con esiti contrapposti, sui figli e che tra Bo Yibo, padre di Bo Xilai e Xi Zhongxun, padre del presidente Xi Jinping, entrambi nell’inner circle di Deng Xiaoping, non corresse buon sangue. A chi li ha visti da vicino, Bo il perdente, Xi il vincente, non poteva sfuggire la diversa natura del carisma dei due. Xi è l’uomo piu potente della Cina. Xi ha mediato con il potere e deve farlo per tutto il decennio a venire. Bo, forse, ha pensato di non doverlo fare mai. Nemmeno quando il fato ha iniziato a presentargli il conto con la morte di suo padre Yibo, nel gennaio del 2007. Bo Xilai non spiccò il gran salto, fu mandato nelle retrovie, a Chongqing. Lui ne fece il laboratorio di un possible riscatto politico, con gli esiti nefasti che ben sappiamo.
Chi vince scrive la storia. La Corte di Jilin ratificherà un verdetto già scritto. Oggi, Pechino ha poche ore per "chiudere" con il convitato di pietra Bo Xilai. Dalla sua ha un’arma micidiale: la damnatio mediatica. Per Bo, master in giornalismo nell’82 all’Accademia delle scienze sociali di Pechino, uomo perfettamente a suo agio davanti ai riflettori, il vero marchio d’infamia saranno le riprese nell’aula della Corte dove rischia di presentarsi canuto come l’abate Faria, spento, l’ombra di se stesso. L’antifona è già suonata con la condanna pubblica di un personaggio minore, ex segretario del partito di uno dei distretti di Chongqing, Lei Zhengfu, ricattato dall’amante diciottenne che ne ha postato un video sexy sul web. Sporco, trasandato, la camicia fuori dai pantaloni, i polsini slacciati, lo sguardo perso nel vuoto. Bo Xilai come l’orrido Lei Zhengfu?