Andrea Gragnani, Il Sole 24 Ore 19/8/2013, 19 agosto 2013
ABITAZIONE ASSEGNATA A CHI CONVIVE CON I FIGLI
Quando si affronta il tema della casa nell’ambito della crisi coniugale (separazione, divorzio ma anche cessazione della convivenza di coppie non sposate) occorre distinguere tra la casa familiare (la casa in cui la famiglia risiede stabilmente) e le altre case di proprietà: la casa familiare, alle condizioni che vedremo, può essere assegnata a uno dei coniugi, mentre le case di proprietà restano a disposizione del proprietario e se di proprietà comune possono essere divise tra i coniugi.
La casa coniugale, dicevamo, può essere assegnata a uno dei coniugi, ma solo quale strumento di protezione nell’interesse dei figli (la legge dice espressamente che «il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli», articolo 155-quater del Codice civile). Ciò significa che la casa può anche non essere assegnata, ma l’assegnazione, se effettuata, può essere fatta soltanto in favore del coniuge con cui convivono figli minorenni o figli maggiorenni ma non autosufficienti sotto il profilo economico. In passato vi sono state pronunce, anche della Cassazione, in forza delle quali la casa è stata assegnata al coniuge più debole come forma di prestazione in natura, magari anche parziale, del mantenimento, ma poi questa soluzione è stata ritenuta contraria alla legge dalla stessa Cassazione (con una pronuncia a Sezioni Unite).
La riforma sull’affidamento condiviso, del 2006, ha poi posto fine alla questione con il testo di legge prima citato, che, essendo collocato tra le norme che regolamentano i «provvedimenti riguardo ai figli», esclude ulteriormente la possibilità di prevedere un’assegnazione in assenza di figli da tutelare, come misura di protezione per il coniuge.
Queste regole si applicano non solo in caso di separazione ma anche in caso di divorzio e di cessazione della convivenza di genitori non sposati.
L’assegnazione della casa richiede che uno dei genitori sia il «collocatario» prevalente dei figli e prescinde dal titolo in forza del quale la casa è abitata, quindi può essere effettuata non solo in caso di proprietà della casa (esclusiva di un coniuge o comune), ma anche in caso di locazione (nel qual caso il contratto si trasferisce al coniuge assegnatario) e di comodato. Ovviamente l’assegnazione non modifica il titolo sottostante, quindi in caso di comproprietà può essere chiesta la divisione dell’immobile e in caso di locazione o comodato i relativi contratti continuano il loro corso senza mutamenti.
Il provvedimento di assegnazione può essere trascritto ai fini dell’opponibilità ai terzi in modo che anche in caso di vendita a terzi dell’immobile l’assegnazione non venga meno.
La casa può anche essere assegnata solo in parte nel caso in cui sia possibile dividerla scorporando una parte idonea alle esigenze abitative del nucleo costituito dall’assegnatario e dai figli.
La legge impone che dell’assegnazione si tenga conto ai fini delle determinazioni economiche, in quanto costituisce un sacrificio economico per il proprietario e costituisce una forma di prestazione in natura del mantenimento.
La legge prevede poi che l’assegnazione venga meno in caso di nuovo matrimonio del coniuge assegnatario o di avvio, da parte di questi, di una convivenza all’interno della casa. Questa norma tuttavia, è stata ritenuta costituzionalmente illegittima (da una pronuncia della Corte costituzionale del 2008) nel caso in cui la norma venga interpretata nel senso di una cessazione automatica. Attualmente pertanto la decadenza della assegnazione deve essere «subordinata a un giudizio di conformità all’interesse del minore», che naturalmente deve essere compiuto dal giudice. Ciò comporta, di fatto, una vanificazione della portata innovativa della norma, il cui scopo era quello di evitare abusi ai danni del proprietario da parte dell’assegnatario e del suo nuovo convivente, che finisce per beneficiare indirettamente della casa a spese del legittimo proprietario, considerato che la giurisprudenza, oltretutto, in questi casi esclude forme di compenso economico che invece potrebbero essere fondate.
Come detto in precedenza, la casa oggetto di assegnazione può essere solo quella di residenza della famiglia. Gli altri immobili restano del legittimo proprietario e in caso di proprietà comune possono essere divisi tra i coniugi: mediante accordo, con un vero e proprio contratto di divisione; o, in mancanza, per via giudiziale (nel qual caso il giudice, se non sia possibile dividere i beni in natura, procede alla loro vendita a terzi e alla successiva divisione del ricavato).