Luigi Grassia, La Stampa 21/8/2013, 21 agosto 2013
NELL’EUROZONA ARRIVA UN NUOVO PARADISO FISCALE
Quello dei capitali fuggiti all’estero è uno dei fronti più importanti, forse il più importante in assoluto, della lotta all’evasione. Le Fiamme Gialle nel 2012 hanno scoperto 17,1 miliardi di euro di ricavi non dichiarati da italiani che hanno trovato rifugio nei paradisi fiscali, grazie al trasferimento di comodo della residenza di persone e società o allo spostamento all’estero di capitali mediante atti negoziali o operazioni societarie formalmente ineccepibili. I paradisi preferiti dagli italiani sono quelli a ridosso dei confini: Svizzera, Montecarlo, San Marino, Malta.
La preoccupazione per il fenomeno è forte anche a livello di Unione europea, perché le risorse fiscali sottratte agli Stati indeboliscono le finanze pubbliche, peggiorano la crisi del debito sovrano e aumentano persino il rischio di un crac complessivo dell’euro; l’esempio di Cipro ci ha fatto vedere come anche un Paese piccolo sia in grado di fare danni colossali a tutto il sistema. La cattiva notizia è che un altro piccolo Paese dell’Ue, la Lettonia che entrerà nell’euro il 1° gennaio, si propone di fare il paradiso fiscale, attirando quanti più capitali sarà possibile dal resto dell’Unione; il settimanale tedesco Spiegel descrive la Lettonia come «candidata a competere su questo piano con Cipro, Malta e l’Irlanda».
Al telefono, un operatore italiano trasferitosi nella capitale Riga e attivo nella finanza conferma il grande fermento: «Vedo arrivare ogni giorno italiani che portano qui l’attività. Si tratta soprattutto di società dei servizi, per adesso un po’ meno dell’industria, anche se sono già arrivati un paio di operatori metallurgici. I vantaggi fiscali sono enormi. Le società pagano aliquote fra il 15 e il 30%, molto inferiori a quelle italiane. Le holding in Lettonia hanno l’ulteriore vantaggio di poter abbattere il loro reddito con le eventuali perdite delle controllate estere. Poi sono bassi il costo e le tasse sul lavoro».
A differenza di altri Paesi, dove c’è lo scotto di una manodopera poco qualificata, in Lettonia c’è una scolarizzazione altissima, «tutti parlano l’inglese, a differenza dell’Italia» dice ancora il finanziere con tono di forte rimprovero «e tutti, a tutti i livelli, parlano anche il russo, perciò trasferire la sede qui è anche un’ottima posizione per aprirsi al mercato della Russia. E c’è persino un certo numero di lettoni che parlano l’italiano».
Per aprire una società a Riga bastano i documenti di identità e una breve descrizione dell’attività, poi si va dal notaio o direttamente alla camera di commercio. «La burocrazia è snella e veloce. Su Internet si trova tutto. Ed è facile trasferire qui la residenza». Possibile che non ci siano anche degli svantaggi? L’italiano di Riga ne vede pochi: «Lo scartamento dei binari è quello dell’ex Unione Sovietica, diverso da quello dell’Europa occidentale. Perciò le merci devono trasbordare su un altro treno o su gomma. Ma è un problema da poco. E il porto di Riga è ottimo».
L’interlocutore al telefono tiene a sottolineare una cosa: «L’Europa, l’Italia, possono sbraitare quanto vogliono, ma tutto quello che si fa qui è lecito. Parlare di paradiso fiscale è improprio: lo sarebbe se si facessero condizioni diverse per gli stranieri e i locali, ma non è così. Senta, qui in Lettonia hanno appena abbassato l’Iva, in Italia stiamo per aumentarla. La verità è che in Lettonia fanno tutto quello che dovremmo fare anche noi italiani. Se noi non lo facciamo, peggio per noi».