Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  agosto 21 Mercoledì calendario

LE INCONGRUENZE DELL’INGEGNER GADDA

Nell’anno del centenario del­la nascita (23 marzo 1913), Piero Chiara è una conti­nua riscoperta. Dopo Incantavi. E altre poesie (L’Ora d’Oro edizioni), debutto letterario di Chiara ad ope­ra del suo primo editore, don Felice Menghini, ora fa la sua comparsa E sapremo chi fu l’autore del delitto? (Mauro Pagliai Editore, a cura di Fe­derico Roncoroni). Volumetto con­tenente l’intervista che nel 1957 Chiara fece a Carlo Emilio Gadda.
Incontro tra il 44enne Chiara, alla ricerca di un futuro d’autore - allora attivo come poeta, critico e collaboratore dei quotidiani cattolici, L’Italia di Milano e il Giornale del Popolo di Lugano - e l’ormai maturo (64enne) e consacrato au­tore di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana. «Il maggior avveni­mento dell’annata letteraria (1957, ndr). Un grande arazzo linguistico sotto il quale vive una commossa umanità, ritratta con piena adesio­ne sentimentale». Così lo scrittore di Luino aveva recensito entusiasta sulle colonne de ’L’Italia’ il roman­zo edito da Garzanti all’indomani dell’uscita. E sulla scia di una mani­festa ammirazione, il reporter Chiara, per conto della Radio Sviz­zera Italiana era sceso a Roma per andare ad intervistare Gadda a do­micilio. Intervista concessa grazie alla preziosa mediazione dell’ami­co Giovanni Battista Bernardi del Radiocorriere che aveva il pri­vilegio di accesso a casa Gadda. Un piccolo scoop giornali­stico non privo di difficoltà, fin dall’ingresso nel condominio al n.19 di via Blumenstihl. «La porti­naia, una russa, - racconta Chiara - ­negò l’esistenza fra i condomini di un ingegner Gadda. Ma Bernardi salì ugualmente al terzo piano, se­guito da me, e suonò a una porta. Venne ad aprire Gadda in perso­na...». Un Gadda intimamente pri­vato, affabile e accogliente si palesò dinanzi a un Chiara in leggera sog­gezione, ma per l’intervista pretese che «gli lasciassi delle domande scritte e mi promise di prepararmi le risposte. Finita la stesura delle domande si parlò del Pasticciac­cio». E a questo punto nella cronaca dell’in­contro, di cui Chiara scrisse tra il 1974 e il 1975, si creò un improv­viso siparietto critico. «La trazione elettrica non era ancora stata adottata dal­le Ferrovie dello Stato sulla Roma-Napoli e quindi il passo del Pasticciaccio in cui si leggeva: "il Roma-Napoli filava filava a tutta corsa… diademato di lampi e di scintille spettrali sul pantografo, lu­canocervo saturato d’elettrico", era arbitrario, anacronistico». Questa l’annotazione di Bernardi, recepita con fastidioso terrore da Gadda che promise di accertarsi scrivendo al Ministero dei Trasporti. Nel clima da pulci, Chiara allora si permise di far notare che il passo in cui il brigadiere Pestalozzi in motociclet­ta «premé col piede, accelerò», «vi era un errore tecnico. Perché le Mo­to Guzzi dell’epoca avevano l’acce­leratore a manopola, sul manubrio, non a pedale». A quel punto Gadda sudava freddo, prese atto dell’ulte­riore e possibile défaillance e rassi­curò che avrebbe provveduto ad «accertare e correggere» il «partico­lare» che ricordava fosse a pagina 234. Calato il siparietto, i due si congedarono con gran sollievo di Gadda. «A quest’ora - immaginò Bernardi -, con gli occhi fuori dalla testa e le braccia protese, ci sta mandando fulmini e malanni, ma­ledicendo la sorte che ci ha messo tra i suoi piedi». Ma quindici giorni dopo, quando Chiara tornò in via Blumenstihl per ritirare le risposte, trovò invece un Gadda ancora cor­diale, nostalgico della sua Lombar­dia: decantava Lugano, il Canton Ticino, e di «Luino del quale mi pa­re avesse detto o scritto, in altra oc­casione, che era il luogo dove anda­vano in viaggio di nozze i barbieri di Milano. Cosa - scrive Chiara ­ che mi guardai bene dal conte­stargli, perché avevo capito che temeva di tutto e si preoccupava di non recare offesa a chicches­sia». Un atto di prudenza dovu­to, anche perché dopo il primo incontro Gadda gli aveva scritto comunicandogli di aver perso il delle domande e con una certa apprensione il suo intervista­tore provvide subito a fargliene ave­re copia. Questo incidente viene o­messo da Chiara nella cronaca po­stuma, probabilmente perché ap­pagato dal successo della trasmis­sione dell’intervista che andò in onda alla Radio Svizzera Italiana all’inizio del 1958 e il cui testo inte­grale venne redatto - nel settembre dello stesso anno - per la pagina del periodico ticinese Radioprogramma. L’intervista si apre con la do­manda sul proverbiale "immobili­smo" domestico di Gadda che ai suoi lettori-ascoltatori puntualizza­va: «Ho camminato quando era il tempo, quando il cuore e le gambe reggevano… Del tutto immobile ri­sulterò nel Duemila. E poi a com­pletare l’esègesi, chi scrive non si muove. Non è pensabile che Tolstoj abbia scritto Guerra e Pace a caval­lo». Un Gadda come sempre acuto, caustico e cromato di quella «colo­razione lombarda dell’Adalgisa» che gli deriva dai «modelli amati di Parini e Manzoni». Ma nel Pastic­ciaccio, Chiara gli fa notare di aver adottato una forte «contaminazio­ne romanesca» e di questo l’autore ne è compiaciuto ed esalta quella lingua del Belli ritenuto a torto un «dialettale-scurrile», mentre «è poeta del costume dei più veri e profondi del suo secolo: anticipato­re d’invenzioni e di modi tuttora i­gnoti alla letteratura in lingua».
Quasi una autoidentificazione del «gran lombardo» che si congedò da Chiara salutando gli ascoltatori del­la Radio Svizzera Italiana che «sono tra i correntisti più cospicui, più vi­cini al nocciolo del mio cuore (per dire col poeta) cioè al cuore del cuore».