Laura Zangarini, Corriere della Sera 21/8/2013, 21 agosto 2013
«LE ACCIUGHE SUL SET DI CALA LUNA PER FAR PASSARE IL MAL DI MARE»
L’inizio non promette bene sul fascino delle memorie: «Il passato non mi riguarda» dice sicuro l’anti proustiano Giancarlo Giannini, in vacanza in campagna in questa estate 2013. È passato da poco il suo compleanno, ha spento 71 candeline. Non chiedo di tornare indietro a secchielli e palette, ma l’estate come stagione che valore, che senso ha per te? «Quasi sempre stavo sul set perché d’estate, quando c’era il cinema, si giravano i film. Quindi ricordo estati violente e faticose, sotto il sole, sotto i riflettori, vestito come un montanaro, colante di cerone e sudore sulla passeggiata dei Fori Imperiali». E sono, ci scommetto, le tue estati migliori. «Sicuro. Quelle passate con Mariangela Melato che non mi dimentico. Quella del ’72, per esempio, quando giravamo con la regia di Lina Wertmuller "Film d’amore e d’anarchia", il mio preferito della serie, dove io ero un giovane contadino lombardo bianco vestito, espressione ottusa, che si nasconde in un bordello per vendicare un amico anarchico. Poiché dovevo sembrare una roccia, anzi una quercia, ci si sforzava in ogni modo con 8 ore di trucco al giorno fin dall’alba, vestito di bianco, con uno sguardo da mucca e l’occhio fisso ma anche il sorriso di un gatto. Questo si voleva». E l’hai ottenuto, tanto che hai vinto la Palma d’oro come attore al Festival di Cannes. Meritata se si pensa che, oltre alle doti espressive, Giannini, nato a La Spezia ma in quella occasione più nordico, indossava un completo da Polo Nord: «Dunque, vediamo se mi ricordo… due maglioni di lana grossa, di pecora, per modificare il corpo e ingrassarmi e poi una camicia, il gilet, una giacca pesantissima, un cappello Borsalino e addirittura due, dico due, paia di pantaloni, sempre per il peso e infine due, dico due, chili di piombo in ogni scarpone per modificare l’andatura. L’ha fatto anche Dustin Hoffman per quel passo strascicato diventato famoso in "Un uomo da marciapiede": si era messo, mi ha raccontato, dei sacchi ai piedi che gli facevano male e gli davano il passo sciancato». Una estate da ricordare o dimenticare? «Scherzi? Da ricordare. Anche perché me l’ero voluta. Avevo trovato io un libro da cui la storia, vera, è tratta, solo che io dovevo inventarmi un accento diverso e così mescolai tre dialetti: il lodigiano, il bresciano e il bergamasco, andando a lezione da Felice Musazzi, allora il capo, la Teresa dei Legnanesi, che a casa sua, a Legnano, mi diede le intonazioni giuste. Che vuoi, si copiano sempre gli altri, accadde anche per il catanese di Brancati».
E l’estate del ’73? Peggio ancora. «Allora eravamo in Sardegna sempre con Mariangela e Lina a girare "Travolti da un insolito destino" ma la Melato si ferì a un piede il primo giorno, glielo cucirono con 11 punti ma non poteva correre. Volevano sostituirla, ma io e la Wertmuller ci siamo opposti, meno male. Questo era un problema per cui spesso la Melato da lontano non è lei, ma una serie di controfigure, di ragazze bionde e anonime che io schiaffeggiavo. E poi c’era il fatto che io soffrivo il mare e mi davano al mattino da mangiare acciughe secche salate, dicono che fanno bene, è una cura anche per gli attori di teatro quando hanno la voce bassa, non chiedermi perché. Partivamo così, sul canotto, io col vomito e Mariangela ferita a un piede dal vetro di una bottiglia e ridotti così cominciavamo a darcele di santa ragione. Corse a perdifiato sulla spiaggia, a 40 gradi, sotto il quarzo senza filtri dei riflettori di allora». Per questo ora ti riesce difficile fermarti e guardare in faccia il sole? «Forse. Ora qui in campagna sto pensando a un film da girare tutto nelle Langhe, in Piemonte, almeno fresco. Ma non dico altro, voi critici non avete capito nulla del mio film di regista, vi attorcigliate e vi mangiate la coda».
Ok, altro capitolo: con due figli piccoli, mai un’estate vera di vacanza? «Ma sì, eccome. Me ne ricordo di belle, mi prendevo i due figli piccoli e facevamo insieme certi week end spettacolari. Si buttava la monetina per decidere se andare al nord o al sud e partivamo all’avventura. Ci siamo divertiti moltissimo. Un giorno mi fermavo e dicevo: oggi impariamo a fare le foto, con le macchine usa e getta; oppure oggi dipingiamo, oggi filmiamo, avevo una piccola cinepresa e ci organizzavamo un mini set di cowboy e alla sera vedevamo il filmino. Ma la cosa divertente era la sosta per il pasto, il problema del cibo, io volevo insegnar loro a mangiare bene e un po’ credo di esserci riuscito. Guardavamo le guide e si facevano i bigliettini segreti, dando tutti un voto ad ogni piatto e decidendo poi se era il caso di tornare o meno. È anche con questi giochi che ci siamo conosciuti e ci siamo voluti bene».