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 2013  agosto 20 Martedì calendario

CI SERVIREBBERO QUATTRO ITALIE PER MANTENERNE UNA

Il 22 agosto dello scorso anno ho commentato l’Overshoot Day 2012, ora rieccomi a fare lo stesso con due giorni d’anticipo. In meno di otto mesi abbiamo dunque speso tutti gli interessi maturati dalla biosfera terrestre e intaccheremo il capitale da oggi al 31 dicembre. I 7,1 miliardi di esseri umani stanno consumando più di quanto il pianeta possa fornire e immettono rifiuti, inquinanti e gas a effetto serra in quantità tale da attivare trasformazioni irreversibili alla scala di millenni.
Attualmente abbiamo bisogno di una Terra e mezza e sotto le fanfare di un’impossibile crescita economica infinita puntiamo a raggiungere per metà secolo l’equivalente di quasi tre pianeti. Che ovviamente non ci sono.
Un debito in valuta «fisica» è tollerabile da un sistema complesso e parzialmente elastico come l’insieme dei sistemi viventi e non viventi per un breve periodo, poi o si rientra nei limiti o scattano conseguenze epocali: scarsità di risorse ittiche, agrarie, forestali, minerarie, energetiche, cambiamenti climatici, aumento dei livelli marini, acidificazione degli oceani, perdita di biodiversità, riduzione della disponibilità di acqua dolce, squilibri nei cicli dell’azoto e del fosforo, inquinanti che minacciano la nostra salute e quella degli altri viventi.
Lo scandalo è che questi dati, queste dinamiche così fondamentali per il benessere dell’umanità e la conservazione della specie, sembrano non interessare a nessuno. I nostri sforzi politici e mediatici continuano a essere centrati su questioni sociali ed economiche temporanee, rumore di fondo rispetto alle proporzioni della problematica globale che giorno dopo giorno giganteggia sulle nostre vite.
La questione, l’unica, la più importante, dalla quale discende ogni altro progetto politico, sociale, economico, tecnico e culturale dell’umanità è come rientrare al più presto nei limiti fisici dell’unico pianeta a disposizione, senza i traumi di un collasso strutturale impostoci dalla termodinamica, ovvero progettando e guidando un atterraggio morbido, una decelerazione controllata, con scelte e priorità basate sugli scenari che la scienza ci mette a disposizione.
È ovviamente un processo che deve svilupparsi su scala mondiale, ma intanto guardiamo a casa nostra. L’Italia è tra i Paesi più esposti in termini di deficit ecologico, per mantenere il suo tenore di vita consuma risorse e restituisce rifiuti ed emissioni climalteranti pari a quattro volte il suo territorio. Viviamo consumando quattro Italie e ne abbiamo una, pure malridotta. Un Paese con elevato deficit ecologico è fragile. Deve importare energia, cibo, minerali e altre materie prime, ma deve poi smaltire gli scarti sul proprio territorio.
Ci sono altri Paesi con poche risorse interne come la Svizzera, che necessita di 4,2 confederazioni equivalenti per mantenere uno dei tenori di vita migliori al mondo, ma compensa questa debolezza con la solidità finanziaria, la ricerca scientifica, la tecnologia di punta e il turismo di qualità. Il Giappone è molto più esposto, con un prelievo sette volte maggiore delle proprie risorse, ma dispone di tecnologia avanzata, mentre la crisi egiziana rispecchia le difficoltà di un Paese semidesertico esposto per due volte e mezza rispetto alle risorse interne.
Invece la Francia mostra come un vasto territorio produttivo, doppio della superficie italiana, permetta a parità di popolazione e livello di vita di avere un minor deficit ecologico: occorre soltanto una mezza Francia in più per mantenere i francesi.
Ciononostante proprio ieri quattro ministri di Parigi, Cécile Duflot dell’edilizia pubblica, Philippe Martin dell’ecologia, Stéphane Le Foll dell’agricoltura e Pascal Canfin dello sviluppo, hanno chiesto al governo un’accelerazione della transizione ecologica, in mancanza della quale «l’accesso alle risorse sarà causa di conflitti e nuove disuguaglianze».
La questione è «decidere se subire o guidare la crisi ecologica». Il che si può fare cominciando da una transizione energetica che abbassi i costi delle bollette delle famiglie riducendo sprechi e inquinamento, una sostenibilità industriale in grado di creare nuovi posti di lavoro, un miglior accesso ai saperi tecnologici e ai beni comuni. A quando un dibattito sul deficit ecologico italiano?