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 2013  agosto 19 Lunedì calendario

LA SPOON RIVER DEI PICCOLI ANGELI

C’è un dolore, il più intollerabile, che non ha nome. Se ti muoiono i genitori sei un orfano. Se scompare tua moglie o tuo marito sei un vedovo o una vedova. Se ti muore un figlio, non sai come dirlo. Ma che importanza ha? Provvede la tua anima a ricordarti ogni giorno, anche senza il supporto di un vocabolo, quell’innaturale, violento e atroce rovesciamento delle più elementari leggi naturali.
Impossibile arrendersi. Impensabile dimenticare. Inutile sperare di voltare pagina. Basta girare un po’ nei vialetti del Reparto Bambini al cimitero monumentale del Verano, proprio dietro al Tempietto Egizio all’ingresso di piazzale delle Crociate su via Tiburtina. Sospesi in aria, tra i muraglioni dei sepolcri, palloncini colorati a forma di fiore, di ciambella o semplicemente di palloncino e basta. Nulla di diverso da una festa a scuola. Anche qui c’è traccia dei nostri duri tempi. Un cartello vieta «di togliere gli oggetti dalle tombe». Perché c’è chi ha il coraggio di portare via, persino qui, un orsacchiotto, un vaso per i fiori, il giochino lasciato a casa. I genitori però si sono organizzati. A turno puliscono tutti e tre i vialetti, come se davvero fosse un asilo nido. Un armadio comune ospita scope, innaffiatoi, scale per raggiungere chi ha il «posto» lassù in alto. Ci si aiuta. Si parla. Si piange insieme. Tanto e sempre.
Niente cognomi. I nomi bastano e avanzano. Rossella, per esempio, è vissuta appena per un giorno nel 1998. Ma i fiori freschi, la cura del loculo testimoniano che la scritta in corsivo («con amore per sempre, mamma e papà») non è un banale slogan. Molti nomi sono scritte con le lettere di legno colorato a forma di animali o di fiori, come succede sulle porte di tante stanze di bambini. Api, girasoli, bruchi, orsetti formano le parole per indicare Marzia, Gennaro, Alessandro, Angela, Giada, Daniele. Tanti pelouche, soprattutto orsetti ma anche piccole tigri, elefantini, topetti grigi. Matteo, nato nel settembre 2008 e arrivato qui nel febbraio 2009, ha una piccola rana verde che balla, balla, balla. Silvia sorride felice con il suo vestito della festa, era nata nel 1985 e se n’è andata, chissà come e perché, ad otto anni nel 1993 e una farfalla blu e turchese tutta nuova, piena di lustrini e nastri, testimonia con i fiori freschi che sono passati vent’anni ma è come se fosse ieri, il calendario è una pura convenzione.
Jasmina, nata nell’88 e arrivata solo al 1997, racconta la sua origine con la mezzaluna e la stella. Lo stesso fa Pedro Luis, o Samanta che ha un cognome slavo (vissuta appena un giorno nel dicembre 2003) così come Ken, che è restato su questa strana Terra dall’agosto al dicembre 1994. Anche per loro ci sono gesti recenti. Alessandro ha la tomba presidiata da un angelo con la sciarpa della Roma, la squadra del cuore è la squadra del cuore persino di fronte alla morte. Su alcune tombe ci sono foto scure, in bianco e nero. Ti soffermi e capisci subito che non si tratta di vere fotografie ma dell’ultima ecografia prima di una nascita accompagnata dalla morte. Tante, tantissime, invece, immagini vere e a colori che testimoniano sofferenza, lotte con una malattia: guance scavate, occhiaie, ma sempre il sorriso. Perché i bambini sorridono comunque, anche quando soffrono.
Marco, nato nell’ottobre 1982 e morto nel dicembre 1983, era «il papocchietto di mamma e papà». Lì il segno quasi inguardabile di due fratelli ospitate in due tombe vicine: Francesca, nata nel 1998 e vissuta per appena 9 giorni, e Gabriele, sopravvissuto 8 giorni nel 2000. Lassù una piccola costruzione di mattoncini Lego, erano la passione di quel bambino dagli occhi vispi. Più giù, un piccolo Emilio nato nel 1994 e andato via nel 1995, è sepolto col suo nonno omonimo, Emilio come lui, nato nel 1921 e morto nel 2010. Chissà quanto avranno giocato insieme, in quel rapido anno. E chissà quanto avrà atteso la propria morte il nonno Emilio, rimasto qui. Chissà perché, si sarà chiesto ogni giorno.
Paolo Conti