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 2013  agosto 18 Domenica calendario

DICIAMOCI LA VERITÀ SILVIO NON HA FUTURO

Forse parleremo di Silvio Berlusconi ancora per mesi. Forse il Cavaliere riuscirà a far cadere il governo Letta, sia pure senza ottenere le elezioni anticipate. Forse i suoi tifosi continueranno a invocarlo come l’unico leader possibile del centrodestra. Di certo resterà per molti un personaggio pubblico rispettato. Però a mio avviso esiste una verità che va detta senza reticenze da supporter o ipocrite: Berlusconi non ha più futuro. E come capo politico è finito.
Per tutti i politici con una storia importante alle spalle arriva il momento di riconoscere che il loro ciclo si è concluso. Nella storia italiana del dopoguerra è accaduto a molti. È sufficiente citare il nome più grande: Alcide De Gasperi. Dopo aver guidato sette governi, nel luglio 1953 tentò di costituire l’ottavo ma non ottenne la fiducia. Lasciò il posto al governo monocolore democristiano di Giuseppe Pella e il 19 agosto 1954 morì, all’età di 73 anni.
Di certo Berlusconi camperà assai più a lungo di De Gasperi. Il 29 settembre compirà 77 anni e ha l’aspetto e l’energia di un signore in ottima salute. I suoi lati deboli, semmai, sono altri. E adesso il Bestiario proverà a indicarne due, con bonarietà e senza nessuna intenzione provocatoria.
Sul versante giudiziario, il Cavaliere è messo male. Ha appena ricevuto dalla Cassazione la conferma di un condanna a quattro anni di carcere, di fatto ridotti a uno. In più gli è stato inflitto un lungo periodo d’interdizione dai pubblici uffici, compresa una carica parlamentare. Sino a oggi può sperare soltanto in un atto di clemenza del presidente della Repubblica. Ma sarà lui a doverlo chiedere a Giorgio Napolitano. È facile immaginare che il Cavaliere vivrebbe questa domanda come un’umiliazione.
Comunque la situazione giudiziaria dell’ex premier risulta molto complicata. Lo aspettano altri processi e forse nuove condanne. Anche il più tignoso dei suoi avversari non può non riconoscere una verità: Berlusconi è il leader politico più processato in tutta la storia repubblicana. È possibile che sia vittima di un complotto delle toghe rosse, ossia di magistrati militanti che lo avversano. Ma se è così, bisogna ammettere che la congiura ha avuto successo. Ne deriva una domanda inevitabile: un capo politico abbattuto da un complotto è ancora in grado di esercitare le proprie funzioni senza difficoltà? Ecco un quesito che il centrodestra dovrebbe porsi.
Altrettanti problemi troviamo sul versante politico. In questa metà d’agosto ha preso il via l’ennesima mutazione del centrodestra. Il Cavaliere ha voluto ritornare alle origini. Da Forza Italia a Forza Italia, passando per una serie complessa di sigle e di accorpamenti partitici-elettorali. Questo salto nel passato mi sembra l’indizio più evidente di una debolezza esistenziale del Cavaliere.
Parlo per esperienza personale. Ho un anno più di Berlusconi. E mi rendo conto che apparire sempre uguali a se stessi non è una civetteria da signori anziani. È l’inevitabile antidoto psicologico contro l’avanzare della vecchiaia e la paura di morire. A volte mi capita di osservare con attenzione una mia fotografia di qualche anno fa. E se mi sembra di non essere cambiato troppo, mi sento soddisfatto.
Quando vinse la sua prima battaglia elettorale nel marzo 1994, Berlusconi aveva 57 anni e l’aspetto di un quarantenne. È fatale che voglia fare un tuffo all’indietro nel tempo. Purtroppo per lui, da quell’anno il mondo è cambiato, e insieme è cambiata l’Italia. Per capirci, è sufficiente ricordare alcuni degli eventi accaduti nell’anno magico della sua vittoria d’esordio.
Nel 1994 morì Richard Nixon. Nelson Mandela venne eletto presidente del Sudafrica. La Federazione russa invase la Cecenia. Israele firmò la pace con la Giordania. Indro Montanelli lasciò la direzione del Giornale da lui fondato. Morì Giovanni Spadolini. Venne ritirato il passaporto a Bettino Craxi che si trovava già in Tunisia.
Mi meraviglio che Berlusconi, sempre così versatile, capace di ardite fantasie e attento a non ripetersi, sottovaluti i rischi connessi a un passo a ritroso di vent’anni. Non voglio ripetere il logoro adagio che, quando si ripresenta, la storia passa dalla tragedia alla farsa. Ma il minuscolo aereo che sorvolava Forte dei Marmi trascinando lo striscione «Forza Italia, Forza Silvio» era un spettacolo penoso.
Berlusconi per primo sa di essere irripetibile. Dunque ha dei doveri verso se stesso e nei confronti dei suoi elettori. Dopo la vittoria del 1994 disse parole che non ho dimenticato. Qualcuno gli osservò che aveva compiuto un miracolo. E lui rispose: «Non ho fatto nessun miracolo. Mi sono limitato a offrire una casa a tanti elettori che l’avevano persa». Si riferiva agli italiani che avevano votato per la Dc, per il Psi e per i partiti laici, distrutti dal terremoto di Tangentoli e di Mani pulite.
Oggi il Cavaliere ha lo stesso compito di allora. Deve dare una nuova casa ai milioni di elettori del centrodestra che nelle elezioni del febbraio 2013 non hanno più votato per il Pdl. E si sono rifugiati nell’astensione o hanno scelto il voto suicida per le Cinque stelle di Beppe Grillo. Se rifiuta di farlo, tradisce la propria storia e verrà ricordato soltanto come un politico fallito.
Ma per tenere fede a questo impegno, Berlusconi deve rinunciare al suo status odierno di leader assoluto del centrodestra. Per assumere il ruolo del costruttore, invece di quello del comandante in capo. E poiché in quest’epoca, dominata dallo strapotere dei media, il successo elettorale di qualsiasi partito è legato alla figura di un leader, Berlusconi deve accettare la croce di cercarlo lui il nuovo numero uno di Forza Italia, se questa sigla da antiquariato sarà destinata a durare.
Conosco già l’obiezione: non esiste in natura nessun successore di Silvio. Ma la risposta, non soltanto del Bestiario, bensì di molti elettori del centrodestra, recita con semplicità: non esiste perché non viene cercato. E Berlusconi per primo non sembra avere interesse a cercarlo. A causa della pulsione a durare di qui all’eternità che ho già descritto, dettata dall’angoscia di scomparire.
Non dimentico quel che accadde quando Angelino Alfano diventò il segretario del Pdl. Come era sempre avvenuto, fu Berlusconi a sceglierlo, con una decisione del tutto personale. Ma dopo averlo messo in sella, si precipitò a dichiarare che Alfano non possedeva il «quid» che distingue un leader da un buon dirigente.
Ed è qui che emerge l’ultima domanda, quella delle cento pistole come la chiamava un vecchio quiz televisivo: può sperare di vincere le elezioni un partito che rimane sempre lo stesso ed è guidato da un vecchio capo che rifiuta di trovare, d’accordo con il gruppo dirigente, un nuovo leader? E ancora: la bandiera di Forza Italia è quella giusta per condurre alla riscossa i tanti moderati che esistono, a tutti i livelli, nella società italiana del 2013?
Confesso di non avere una risposta. Però mi ha colpito il passo di un articolo di Francesco Bei, su Repubblica di sabato 17 agosto. Sosteneva che Berlusconi aveva risposto ai falchi vogliosi di andare subito a elezioni anticipate, dicendo: «Anche se la sinistra è sotto di tre punti rispetto alla nostra coalizione, Matteo Renzi è sempre quindici punti avanti a me nei sondaggi. Loro metterebbero subito da parte le divisioni. E pur di batterci si ricompatterebbero sul sindaco di Firenze».
Dobbiamo credere a Repubblica, l’organo ufficiale del Ttb, Tutto tranne Berlusconi? Per una volta si può farlo. Ma lo deve fare soprattutto quel che rimane del centrodestra.