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 2013  agosto 18 Domenica calendario

LA CRISI «BRUCIA» 7 MILIARDI DI UTILI

La recessione, in appena sei mesi, fa bruciare 7 miliardi di euro alla «Impresa Italia». Da gennaio a giugno i profitti aggregati delle «blue chip» di Piazza Affari sono crollati: erano quasi 13 miliardi l’anno scorso. Ora si sono dimezzati, a 6,7 miliardi. Cadono gli utili, aumentano i debiti. Mentre le aziende devono fare i conti con le famiglie che non consumano, aumenta anche la loro esposizione con le banche: è peggiorata di 10 miliardi in sei mesi, portando il monte-debiti a 176 miliardi.
Resistere alla crisi non è facile. Ma, piaccia o no, questo è lo scenario con cui la Corporate Italia quotata è costretta a convivere. E non sono conti che regalano grandi soddisfazioni. Al giro di boa di metà anno, il 2013 è ancora più nero del già terribile 2012. Dai dati di bilancio (ovviamente quelli pubblicati), ed elaborati del Sole 24 Ore, viena a galla un sistema Paese in affanno. La crisi ha fatto emergere le distorsioni di un’industria che soffre, in primis, di «provincialismo». La maggior parte delle aziende, osserva Pietro Giuliani, ad di Azimut, uno dei maggiori investitori istituzionali privati del paese, non si confronta con i concorrenti esteri e globali, ma prendono a paragone il loro equivalente italiano, spesso il loro "vicino", anche nel senso letterale. Quindi siccome anche il mio vicino soffre la crisi, non c’è problema». All’orizzonte ristretto, rincara la dose Giuliani, si aggiunge poi «l’effetto gregge», quella tendenza a seguire le mode o ad adeguarsi ai trend generali. «Nel "Pollaio Italia" - argomenta - nessuno osa discostarsi da quello che fanno gli altri».
Le medie, però, fin dai tempi di Trilussa, sempre sono ingannatrici: la caduta dei profitti è una somma tra chi soffre la recessione e chi invece quella recessione non la sente (si veda altro pezzo in pagina). Guardando in dettaglio, si scopre una forbice, un’Italia a due velocità: rallentano le imprese industriali; le banche e le assicurazioni. Alla fine, nota Giovani Tamburi solitamente uno molto critico verso Piazza Affari e protagonista dell’estate con il blitz sui piumini Moncler di cui è diventato azionsta dopo aver venduto, con ricca plusvalenza, i grandi magazzini Printemps al Qatar), il calo degli utili è stato «circoscritto in una forchetta tra il 2 e il 7%» per le singole aziende. «Tutto secondo le attese», osserva. Anche perché il 2012 non era stato un annus horribilis per tutti: per molte aziende, ricorda, «era anzi stato un anno record». Il diavolo, insomma, è sempre meno brutto di come lo si dipinge. Ma intanto la fotografia scattata al 30 giugno, raffigura un paese in piena recessione.
Industria
L’industria è, comprensibilimente, il settore che paga il conto più salato: tlc, energia e utilities accusano i maggiori cali. Non c’è da merivagliarsene: con i consumi delle famiglie in picchiata, si produce di meno e si spende di meno. Ne risentono le aziende più cicliche: Telecom Italia, che era in utile per 1,2 miliardi nel 2012, ha accusato un rosso di 1,4 miliardi. È come se avesse perso 2,64 miliardi. Anche il colosso petrolifero Eni accusa la crisi con profitti più che dimezzati da 3,8 a 1,8 miliardi. Il consumo di carburanti va di pari passo con il traffico in un paese che si muove per lo più su gomma: non a caso anche Atlantia, che gestisce le autostrade, ha dimezzato i suoi profitti (da 510 milioni a 287 nel 2013).
Banche in tenuta
Le banche sono state per molto tempo accusate di essere gli «untori» da cui partì il contagio in quel famigerato agosto del 2011 quando esplose la crisi dello spread e dell’euro. Oggi però quelle stesse banche mostrano una buona tenuta complessiva. Profitti in linea con il 2012. Con tanti distinguo: in Intesa SanPaolo gli utili sono crollati a un terzo dell’anno scorso (da 1,27 miliardi a 422 milioni). Mentre Mps, che un anno fa era nella bufera e accusava perdite monstre per 1,5 milardi, ha ridotto sensibilmente il passivo (-380 milioni). Lima i profitti Unicredit che da un miliardo scende a 810 milioni.
Assicurazioni controcorrente
C’è un solo settore che nuota controcorrente, quello delle assicurazioni. Unica industria dove il totale dei profitti cresce: 133 milioni in più del 2012. Merito del rimbalzo di FonSai (finita sotto l’ombrello di Unipol): +1400% (da 7,6 a 118 milioni) e del colosso Generali (che sfoggia un robusto +28% superando la soglia di un miliardo di utili). In debito d’ossigeno Mediolanum che accusa un -8% il quale non incide più di tanto sul totale.
Sempre più debiti
La recessione lascia cicatrici non solo sul conto economico. Anche la stabilità patrimoniale ne risente. Aumentano i debiti della Corporate Italia. A fine giugno sulle «blue chip» industriali di Piazza Affari pesava un zavorra da 176 miliardi di euro: 10 miliardi in più dell’anno prima. L’azienda più indebitata è l’Enel (che ha sfondato quota 44 miliardi), mentre Finmecanica e Fiat Industrial sono quelle con l’incremento più consistente (la prima ha aumentato i debiti di 1,6 miliardi, la seconda di 1,7 miliardi).
«Vedo rosa» per fine 2013
Che auspici trarre dal bilancio di metà anno? Chi ha il polso dell’industria è oggi meno pessimista dei mesi scorsi. Da maggio gli ordini sono tornati a salire. è use. rispetto a come era iniziato l’anno. Il recupero sarà, come sempre, trainato dai settori più pro-ciclici: la tecnologia in primis. Il largo consumo è invece il più lento a reagire, nota Tamburi. Solo che in Italia ha poco hi-tech. Ma la tecnologia non è solo l’informatica o l’elettronica, come Apple o Samsung. «Società come come Prysmian o Brmeno sono essenzialmente titoli tecnologici» chiosa Tamburi. Chissà che non abbia ragione.