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 2013  agosto 18 Domenica calendario

LO SCONTRO SUI DERIVATI VERONA NON PAGA LE RATE A MERRILL LYNCH

Lo aveva promesso e lo ha fatto: il sindaco di Verona, Flavio Tosi, si è avvalso dell’«autotutela», termine un po’ burocratese che in soldoni vuole dire che non pagherà più Merrill Lynch. L’ultima disfida del derivato non va in vacanza nemmeno nella settimana di Ferragosto. Il caso di Verona non è certo isolato nel panorama italiano, tempestato da enti locali piccoli e grandi che hanno preso il derivato come fosse un bubbone maligno. Roma, Milano, Torino, Genova, Pisa, Firenze (che ha appena concluso un accordo con Merrill Lynch, Ubs e Dexia), Bari, Palermo e Reggio Calabria: al derivato è riuscito quello che non aveva portato a termine Garibaldi, cioè unificare il Paese. Secondo gli ultimi dati di Banca d’Italia sono 206 i Comuni, le Province e le Regioni che hanno ancora in essere derivati per un «nozionale» (controvalore in un dato momento) di 11 miliardi di euro con una perdita potenziale di 6,2 miliardi. Altro che mina, una bomba. Ma mentre altre amministrazioni hanno preferito la linea morbida — probabilmente con un misto tra senso di colpa e il solito adagio «tanto paga Pantalone» — la giunta Tosi ha guerreggiato. Si potrebbe parlare di strategia leghista se non fosse che il suo collega di partito, il governatore del Piemonte Roberto Cota, dopo aver minacciato e messo in pratica l’autotutela già nel 2012 ha dovuto soccombere proprio a Merrill Lynch firmando un accordo appena all’inizio di luglio. Ma, evidentemente, Tosi pensa di avere altre carte in mano. La ricca Verona aveva firmato una montagna di derivati nel 2007 quando era sindaco Paolo Zanotto per ristrutturare il proprio debito. Al tempo non c’era nemmeno troppo da scandalizzarsi: era la regola di cui aveva fatto grande uso anche il Tesoro. Se non fosse che mentre le sedi londinesi delle banche americane riempivano i bilanci locali italiani di derivati, nella City questi contratti erano già stati vietati.
I derivati hanno avuto copertura bipartisan visto che sono entrati prima con il governo Prodi (1997) in Cassa Depositi e Prestiti ed enti pubblici. E poi con il governo Berlusconi (2002) in Comuni, Province e Regioni. D’altra parte il gioco, com’è emerso chiaramente nei tanti contenziosi in giro per l’Italia (ma anche nella teutonica Germania), era troppo bello per la politica: da una parte lo Stato chiudeva un occhio sui bilanci degli enti locali visto che gli si chiedevano sempre più tagli e dall’altra sindaci, governatori e presidenti di Provincia avevano il vantaggio di poter coprire i buchi e rinviare ai successori la patata bollente.
Verona è un caso scuola: la giunta aveva negoziato il 5 aprile 2007 la ristrutturazione, ad appena un mese e mezzo dalle elezioni del 25-26 maggio. Una minoranza dei 256,8 milioni di derivati erano stati sottoscritti con Unicredit banca con la quale «visto i buoni rapporti con il territorio», come aveva detto lo stesso Tosi in un’inchiesta su Sette dello scorso febbraio, era stata preferita la linea morbida (a maggio il caso è stato chiuso con una transazione). Tutt’altra storia con Merrill Lynch che, peraltro, era la controparte di ben 213,8 di quei 256 milioni. La giunta, tramite l’assessore comunale al Bilancio, Pierluigi Baloschi, ha fatto sapere che a questo punto con l’annullamento della delibera originale deciso l’8 agosto, scatta l’interruzione del pagamento delle rate alla banca. L’ultima è stata quella di giugno. Resta da capire quale sarà la contromossa di Merrill Lynch che già tre anni fa aveva denunciato l’ente scaligero al foro competente di Londra ottenendo una prima vittoria.
Su queste firme di derivati in giro per l’Italia è stato speso un fiume di inchiostro: spese occulte, amministratori che non capivano cosa stavano firmando o, in ogni caso, non se ne interessavano. Certo è che nati come strumenti di copertura sono al contrario diventati portatori insani di rischio dentro i bilanci.
La loro storia non finisce certo qui.