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 2013  agosto 17 Sabato calendario

CORRUZIONE E GIUSTIZIA LENTA LE TRACCE PERDUTE DI UNA LEGGE

Ancora solo cinque mesi di attesa e poi a fine gennaio si potrà di nuovo godere del tradizionale spettacolo delle solenni cerimonie di inaugurazione dell’Anno giudiziario, con il caratteristico simpatico appuntamento con il posto in più o in meno nella graduatoria attorno al 150esimo al mondo nell’appassionante derby di lunghezza dei processi con il Ghana o il Botswana. Chi maneggia seriamente questi numeri sa che sono da prendere con le molle sia per le troppe variabili che rendono incomparabili i diversi sistemi, sia per le licenze statistiche che talvolta si prendono anche i compilatori di queste tabelle che spesso combinano numeri concreti a sondaggi aleatori. Però come cartelli stradali funzionano benissimo, nel senso che indicano quale strada si stia continuando a prendere nelle misure per la giustizia: quella sbagliata. «Facciamo la riforma della giustizia» è infatti una frase che si indossa bene in tutte le stagioni politiche proprio perché significa tutto e niente, a seconda di cosa dentro ci si voglia mettere. Se ne fa scudo retorico chi la deforma in pretesto per puntare in realtà a riformare i giudici sgraditi, in modo che imparino a non fare più sentenze incompatibili con gli equilibri politici o gli assetti economici o gli umori popolari; ma la pronuncia in buona fede anche chi vorrebbe invece rovesciare l’ottica e lavorare a una giustizia intesa come «servizio al cittadino», esattamente come un treno di cui non si tollera il ritardo o un ospedale che non si ammette curi solo chi ha tanti soldi e tempo. Ma mentre di un treno in ritardo l’elettorato si accorge, ancora non si è ben metabolizzato quanto, a causa delle lentezze dell’apparato legale, costi di più un mutuo bancario per comprare casa rispetto ad un altro Paese; quanto pesi l’imprevedibilità del disservizio giudiziario nella decisione di una multinazionale (l’ultima appena pochi giorni fa nelle Marche) di abbandonare l’Italia o neanche iniziare a investirci; quanto sulla mole dell’evasione fiscale incida l’esperienza di un contribuente in lite con il fisco destinato a conoscerne l’esito definitivo in media tra 5 anni, con punte di patologico federalismo giudiziario che sfiorano in alcune regioni i 12 anni. Di una vera legge contro la corruzione, che con una mano l’anno scorso tutti i partiti assicuravano avrebbero perfezionato subito dopo quello striminzito compromesso al ribasso che stavano approvando, si sono perse le tracce. Desaparecido è lo spergiurato ripristino di una efficace legislazione contro i falsi in bilancio nelle aziende. Il contrasto del voto di scambio politico-mafioso si è incagliato nella contingente incapacità tecnica parlamentare di scrivere una norma efficace che non si trasformi in fantozziano boomerang rispetto alle lacune dell’attuale fattispecie. Di «svuotacarceri» è rimasto solo il nome spaventapasseri, perché le norme appena varate serviranno a mantenere attorno a «solo» 20 mila i detenuti in più rispetto ai posti della già sovradimensionata capienza teorica e a guadagnare un’altra manciata di tempo di fronte agli ultimatum dell’Europa. Dotti elaborati di brillanti Commissioni ministeriali di studio (le ultime sotto il ministro Severino e adesso altre ancora con il ministro Cancellieri) si accatastano sia su singole materie sia su generali codici di procedura: autentico tesoro di sapienze che la politica lascia giacere preferendo elettoralistici micro-interventi spot su finti allarmi sociali, oppure avventurosi collage di esperienze straniere copiate a vanvera e che di Arlecchino finiscono per avere solo le pezze a colori. Fermare lo scandalo di massa (e la vera amnistia per i ricchi) della prescrizione di 180 mila procedimenti l’anno pare brutto in Parlamento, quasi come dire una parolaccia: non sia mai che poi magari i processi ai colletti bianchi si faccia davvero in tempo a farli arrivare a sentenza. Meglio anzi lasciare che i paradossi bizantini si sommino all’assurdo. E che ad esempio ora non soltanto si continui a permettere a chi patteggia (e cioè a chi chiede al giudice di applicargli una pena ridotta per il proprio reato) di impugnare poi questo patteggiamento in Cassazione, ma tocchi alle Sezioni Unite della Cassazione dirimere un contrasto di giurisprudenze e chiarire se le prescrizioni maturate durante l’iter del ricorso debbano comunque valere a beneficio di chi impugna la pena che aveva chiesto di patteggiare. Olè!, questo sì, record mondiale che nessuna classifica internazionale ci potrà negare.