Giusi Fasano, Corriere della Sera 17/8/2013, 17 agosto 2013
«DEPRESSA E TROPPO DIMAGRITA» I TIMORI PER GIULIA LIGRESTI
Sempre più depressa e sempre più magra. Al punto che le psicologhe e le assistenti sociali del carcere di Vercelli hanno firmato un certificato medico che conferma un forte stato di depressione e dichiara le sue condizioni psicofisiche incompatibili con la detenzione.
Nel carcere di Vercelli ormai da un mese, dicono che Giulia Ligresti sia diventata la metà di se stessa, che mangi poco o niente e che pianga spesso. Scandisce le sue giornate contando le ore che la separano dagli incontri con il marito e con i suoi figli (i due maggiorenni) che andranno da lei anche oggi. Segue i corsi di socializzazione con le altre detenute. Prova ad aiutarsi con esercizi spirituali e con lo yoga. Ma i risultati, dice chi la vede indebolirsi ogni giorno di più, sono praticamente nulli e se le cose non cambiano potrebbe esserci all’orizzonte il dramma di un’anoressia rimasta finora latente.
Lo sconforto più grande Giulia l’ha vissuto qualche giorno fa, con la delusione amarissima della risposta all’ultima istanza di scarcerazione. La Procura di Torino — che l’ha arrestata per falso in bilancio e aggiotaggio informativo assieme a suo padre Salvatore e a sua sorella Jonella — aveva dato parere favorevole: non esiste più il pericolo di fuga e inoltre si è dimessa dai suoi incarichi societari quindi non ci sono più rischi di reiterazione del reato, avevano scritto in sostanza i magistrati concedendole la speranza di tornare a casa almeno per Ferragosto.
E invece no. Il giudice delle indagini preliminari Silva Salvadori ha deciso che non merita di uscire dalla cella perché non è detto che non possa o voglia scappare dall’Italia e dalla giustizia, raggiungendo magari in Svizzera suo fratello Paolo, che per la magistratura italiana è un ricercato e che ha fatto sapere di non voler rientrare in Italia. Un pugno, per la più fragile della famiglia Ligresti che aveva già immaginato di poter tornare in pochi giorni dal suo bambino più piccolo. Una notizia che ha amplificato l’angoscia.
«È assurdo pensare che io voglia scappare», ripete lei dal primo giorno. Tanto più che passa ore e ore a leggere le carte dell’inchiesta e adesso conosce bene i passaggi tecnici e giuridici legati a un possibile patteggiamento: sa che se patteggiasse (come sta pensando di fare) potrebbe uscirne con una pena che non prevede il carcere, semmai l’affidamento in prova ai servizi sociali. E davanti a una prospettiva come questa, ripete a se stessa, la fuga non avrebbe senso.
Comunque sia dovrà aspettare ancora settimane prima che il caso torni davanti ai giudici. Il suo avvocato, Gian Luigi Tizzoni, ha fatto appello contro la decisione del gip che non l’ha scarcerata e ha provato a chiedere l’anticipazione dell’udienza al Tribunale della Libertà. Niente da fare: fino al 15 di settembre è tutto sospeso, si fisserà l’udienza dal 16 in poi. A questo punto la sola chance di uscire prima dal carcere è presentare una nuova istanza alla luce del referto medico sulla depressione. Quel documento, scritto senza che nessuno lo avesse sollecitato, due giorni fa è stato inviato ai pubblici ministeri Marco Gianoglio e Vittorio Nessi. Avendo già dato parere favorevole l’altra volta, ora potrebbero essere loro stessi a chiedere al giudice di rimandarla a casa. Giulia non sa nemmeno più se sperarci. Ha imparato che in carcere fantasticare fa male.