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 2013  agosto 17 Sabato calendario

L’OLANDA NEL CLUB DEI «CATTIVI» PAGA LA BOLLA IMMOBILIARE

Nell’Eurozona che nel secondo trimestre 2013 è finalmente ritornata a crescere c’è un segno “meno” che sorprende: quello dell’Olanda. La persistente assenza di crescita in Italia e Spagna, paesi fiaccati dalla crisi delle loro finanze pubbliche e dalla mancanza di credito, non stupisce. Ma che anche i rigorosi Paesi Bassi si ritrovino tra i cattivi dell’Europa (anche in termini di deficit che quest’anno potrebbe essere sopra il 4%) non è cosa frequente.
Risuonano ancora le parole, nello scorso inverno dell’allora primo ministro Mark Rutte, che senza mezzi termini si chiedeva se non era il caso di individuare percorsi di uscita dall’euro per le nazioni non virtuose. E che dire, ancora, dei retroscena che sul finire degli anni Novanta raccontavano del ministro delle finanze Gerrit Zalm pronto a dimettersi se l’Italia fosse entrata nell’euro? Che cosa è accaduto alla retta Olanda?
È un Paese pienamente integrato nella parte forte dell’Europa e che, grazie alla sua secolare tradizione mercantile e alla preminenza del porto di Rotterdam nelle rotte mondiali, rappresenta da sempre un emblema e un crocevia del mondo globale. In più, con i suoi sei punti di Pil dedicati alla spesa in istruzione, è anche parte integrante di quell’area nordica dell’Europa che mette il welfare al primo posto e che quindi rappresenta una specie di terza via di successo tra socialismo e mercato.
Ma è anche un Paese finora in grado di reggere un welfare pesante senza buchi di bilancio. Non a caso, in politica ha sempre contato ben di più dei suoi 16 milioni di abitanti. Interprete e custode dei principi del rigore di bilancio come e più dei vicini tedeschi, il Paese è entrato nell’unione monetaria arrivando ad esprimere il primo presidente della Banca Centrale, Wim Duisenberg. Una conferma eloquente del fatto che, rinunciando al marco, la Germania si rivolgeva all’establishment politico olandese. Eppure, i dati di oggi ci dicono che anche un Paese come quello può perdere la bussola della crescita. Visto da vicino, l’insuccesso di oggi ha in realtà molto in comune con la crisi che dal 2007 ha colpito gli Stati Uniti, l’Irlanda e la Spagna. In questi paesi come in Olanda, infatti, i problemi non cominciano con deficit e debiti pubblici. Anzi, i problemi fiscali sono semmai il risultato della crisi. La crisi – olandese, americana, spagnola e irlandese – ha invece origine nel mercato immobiliare. Per ragioni varie, i governi e le banche centrali hanno lasciato che i prezzi delle case si impennassero in modo inverosimile nei primi anni Duemila. Il governo dell’Aia ha concorso attivamente al formarsi della bolla.
Ha facilitato contratti di mutuo flessibile con rate mensili che incorporavano il solo pagamento degli interessi (e non anche del capitale). Non solo: ha anche consentito una piena deducibilità fiscale del pagamento degli interessi sui mutui. Soprattutto in un paese con alte aliquote di imposta sul reddito, queste misure sono state accolte con entusiasmo dai contribuenti che si sono massicciamente trasformati in mutuatari.
Ma quando è arrivata la crisi, i prezzi della case sono scesi più del 20% e molti mutuatari si sono ritrovati con case che valevano meno dei rimborsi ancora da effettuare. Solo a questo punto, il governo olandese ha cercato di raffreddare la bolla immobiliare riducendo la deducibilità dei mutui e mettendo paletti ai contratti di mutuo. Troppo tardi. L’economia si è avvitata in un vortice di bassa crescita e alti deficit pubblici. Il deficit è oggi faticosamente sceso al 4% del Pil ma solo grazie ad un’austerità fiscale basata su riduzioni dell’assistenza alle famiglie e su aumenti dell’Iva che hanno depresso ulteriormente i consumi.
A tutto questo si aggiunge che le misure per raddrizzare la situazione sono state proposte e ritirate più volte dal governo di grande coalizione che faticosamente regge il paese dal novembre 2012. Già l’austerità pesa, ma se poi ci si aggiunge anche l’incertezza politica, il risultato è anche peggiore.
Nell’insieme, l’incredibile flop olandese degli ultimi anni contiene però un’utile lezione per tutta la politica europea. Nell’Europa di oggi, una prolungata tolleranza degli squilibri macro e microeconomici, sui mercati come nei conti pubblici, produce risultati negativi da cui nessuno, neppure il paese più virtuoso, può sperare di rimanere esente. Contro gli squilibri, la strada del monitoraggio comune è l’unico antidoto al ripetersi degli insuccessi del passato.