Egle Santolini, La Stampa 19/8/2013, 19 agosto 2013
SERENA DANDINI: «TORTE E BONET, COSI’ È NATA LA TV DELLE RAGAZZE»
Che anno fosse lo capisci guardando, di quella Tivù delle ragazze , le foto di gruppo. Spalle imbottite alla Star Trek, sopracciglia graziosamente irsute, molto lipgloss, fiocchi e pois. Sotto le permanenti, le facce sveglie di Cinzia Leone, Angela Finocchiaro, Francesca Reggiani, Monica Scattini, Syusy Blady, Iaia Forte, Lella Costa, Maria Amelia Monti. Si commuove la capoclasse Serena Dandini: «Che tenerezza, ci vantavamo di fare il contraltare alle pupe di Drive In ma le pettinature erano quelle». Riassumendo per chi non c’era o era troppo piccolo, comprese le blogger 2013 che non sanno di essere debitrici, e quanto, a quel rischioso esperimento Rai: nel 1987, un intellettuale prestato dalla critica letteraria alla direzione di Raitre, Angelo Guglielmi, e un funzionario illuminato, Bruno Voglino, decidono di dare spago a un trio, Dandini, Linda Brunetta e Valentina Amurri, che tentando invano di far approvare i propri progetti. No, adesso non potrebbe succedere. Infieriamo? La trasmissione basata su un contropalinsesto satirico integralmente al femminile, e tutta fatta da donne, dalle tre autrici alla regista Franza Di Rosa, ai talenti pescati nei teatri d’Italia, andò così bene da essere riconfermata per la stagione successiva con un budget più ricco. Ma soprattutto entrò nella testa della gente e generò altri show da Tunnel ad Avanzi al .
Dandini ricorda che lei veniva dalla radio, gavetta come autrice e poi al microfono, «dove avevo imparato a stabilire un rapporto col pubblico. Ma la prima volta che ero finita davanti a una telecamera m’avevano conciato come una bomboniera di bigiotteria». Come si chiamava il programma? « Obladì Obladà , ed era anche intelligente, onore al suo responsabile Paolo Giaccio. Ma gli stereotipi estetici restavano quelli e per essere accettata, da là dovevi passare, tubino stretto e ombretto celeste». Quel disagio conteneva già tutta la filosofia della Tivù delle ragazze . «Rivedermi era stato uno choc. Mai più, avevo giurato come Rossella O’Hara col pugno in aria. Allora mi ero acquattata nelle retrovie, per imparare il mezzo. Avevo scritto anche i testi per lo show del sabato di Loretta Goggi. Poi a Italia Sera , un preserale condotto da Piero Badaloni, faccio amicizia con Valentina Amurri, che lì dentro si occupava di musica, e Linda Brunetta, attrice che proponeva certi suoi personaggi satirici. Eravamo piene di idee: possibile che la donna comica dovesse essere solo grassa come Ave Ninchi o racchia come Tina Pica? Monica Vitti non aveva insegnato niente? Ma quando salivamo dal direttore di Raiuno finivamo regolarmente cacciate. Tutta colpa della nonna di Biagio Agnes». E che c’entrava, povera donna? «Era l’equivalente della casalinga di Voghera, l’utente medio che avrebbe rifiutato qualsiasi volo sperimentale. Era così che ti congedavano: alla nonna di Agnes non piacerebbe. Ma intanto era nata Raitre, di cui non fregava nulla a nessuno, e il cui motto ufficioso, nei corridoi Rai, era ”lì nun te vedeno“. Voglino ha messo su il suo spettacolo come Belushi nei Blues Brothers , visto che non aveva nulla da perdere s’è fidato. E il mantra di Guglielmi era: sta cosa mica la capisco, però fatela».
Poi sono arrivate le attrici, «una meglio dell’altra, un giacimento sommerso di petrolio». Francesca Reggiani sbuca alla fine di un’estenuante serata al Teatro Vittoria, «di quelle - ha raccontato - con 200 attori in scena e un caldo atroce, che dovevano cominciare alle 9 e alle 10 e un quarto ancora non si era aperto il sipario. Mi buttano sul palco forse alle due di notte, ma dev’essere andata bene, perché dopo mi han chiamato». Cinzia Leone si presenta al provino sciamannata, col mal di denti, preceduta da una telefonata perplessa della portineria, e fa una faccia che conquista tutte: prima ancora della pizza di fango del Camerun, le sue Francesca Dellera e Sabrina Salerno saranno leggenda. Alessandra Casella vara l’imitazione di Lilli Gruber sdraiata sulla scrivania, altre destrutturano Beautiful e telenovele, «quelle ad alto grado di pathos - specifica Dandini -dove lei finiva sempre in lacrime e come minimo aveva il nonno contrabbandiere». E Finocchiaro è la protagonista dei finti spot pubblicitari della donna perfetta (come faccio a far tutto? sniffo!) e della paracadutista con l’assorbente di ultima generazione.
Serena, dove e come le pensavate quelle scalette? Si favoleggia di sketch scritti nella cucina di casa Amurri. «Quella era particolarmente confortevole, anche se di cucine ce ne sono state tante. Soprattutto c’erano le torte e le merende, un’abitudine che mi son portata dietro anche con Vergassola. E alla fine arrivò pure il bunèt». Già, perché la Tivù delle ragazze , pensata a Roma, si realizzò tutta a Torino, nella sede Rai di via Verdi. «Nessuno voleva salire al Nord, era troppo scomodo. Noi l’abbiamo fatto volentieri, avevamo un budget di due lire e quegli studi costavano meno. Un clima ovattato, da epoca d’oro della tv, con i cameramen in camice bianco e il portiere che non voleva far passare China, la bastardella di Monica Scattini. Tanto che alla fine l’abbiamo fatta scritturare: Monica impersonava una regina dei salotti tipo Raffaella Carrà e il cagnolino in scena aveva un senso. La sera si andava alle Tre galline e il conto qualche volta lo pagava il cachet di China. Il bonet, appunto. Ne eravamo schiave, siamo tutte ingrassate».
Tra alberghi economici e viaggi in cuccetta c’era quella che dietro le quinte allattava e quella che si disperava per amore: un quadro fra Addio giovinezza e la casa occupata dalle femministe a via del Governo Vecchio. Una casa arrivò davvero alla seconda stagione, cioè una scenografia costosa che sancì la riuscita della factory. Lì si unirono al collettivo anche i Guzzanti, prima Sabina e poi suo fratello Corrado. Sono passati più di 25 anni, un fil rouge resta. «Ritrovo Lella Costa per lo spettacolo teatrale tratto dal mio libro Ferite a morte e in fondo nulla è cambiato». Nulla? Tutto. «Pare incredibile, ma allora riuscimmo a fare tivù senza manuale Cencelli. Ora, si vuole imporre per decreto il bilancino agli ospiti. D’accordo, ma allora andiamo fino in fondo. E l’appartenenza politica consideriamola fino ai vertici».