Paolo Mereghetti, Corriere della Sera 19/8/2013, 19 agosto 2013
LE 60 CANDELINE DI NANNI E LE CONSEGUENZE DEL «MORETTISMO»
Che cosa si può dire a chi vede la tacca arrivare ai sessanta, sul metro che misura la vita? Probabilmente solo un affettuoso: «Auguri!». In Caro Diario , Nanni Moretti constatava con una certa apprensione il superamento dei quaranta, appena mascherata da uno scatto di vanità («sono uno splendido quarantenne»), ma erano ancora gli anni in cui il rumore di una società approssimativa e confusionaria poteva essere riequilibrato dal silenzio delle città d’agosto.
Adesso quelle urla sono diventate fuochi incendiari (come nel finale di Il caimano ) e quel silenzio si è trasformato in uno strazio disperato (come nel finale di Habemus Papam ). Non è migliorata l’Italia negli ultimi vent’anni per Moretti (e non solo per lui!) e il suo cinema ne ha portato le conseguenze, indirizzato su una strada sempre più in salita, dove il rigore morale del suo sguardo sulle cose fa più fatica a intrecciarsi con quelle piccole notazioni quotidiane che ne avevano favorito la popolarità.
Non ci sono più battute da scambiarsi tra amici, tic o macchiette che prendono vita sullo schermo a futura memoria. Anzi, quando tornano a far capolino sembrano quasi stonature: la teiera sbeccata di La stanza del figlio , i film trash di Il caimano , il torneo di pallavolo di Habemus Papam … piccoli residui di «morettismo» che stridono dentro storie sempre più adulte e dolenti. Perché Nanni non è più Michele Apicella, con la sua maschera nevrotica e aggressiva che certi «nuovissimi comici» si permettono di prendere in giro senza avere un’oncia del suo moralismo a far da contrappeso. Magari ce lo meritassimo, Moretti!
In passato lui stesso aveva in qualche modo favorito queste letture, incapace di trattenere i «giovenil furori» che aiutavano a compattare le schiere di fan e perpetuavano l’immagine di un eterno irriverente. Con l’avanzare degli anni, Apicella ha ceduto (fortunatamente) il passo a Moretti e il suo cinema ha preso a guardare in faccia a una realtà più complessa e matura. Meno «romana» e più «italiana». Niente mi toglie dalla testa che il vero spunto all’origine di Habemus Papam sia stato il suo personale sentirsi inadeguato di fronte alle domande che «girotondi» e società civile gli rivolgevano, tanto più encomiabile visto che il senso dei propri limiti è qualità molto, molto rara. E ora aspetto con molto interesse il suo prossimo Margherita (sempre che si chiami ancora così) perché dovrebbe parlare dei giovani e un padre sessantenne potrebbe avere molte cose interessanti da dire… Per questo un compleanno così si può solo festeggiare con un caloroso augurio: tutto il resto rischierebbe di stonare. Con il regista e con il Paese che spero racconterà.