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 2013  agosto 17 Sabato calendario

I CERVELLI DELLA NUOVA SINISTRA? SONO PIU’ VECCHI DEI NURAGHE

Meravigliose, «le pa­role della nuova si­nistra», l’inchiesta partita da Michele Serra con tante graziose intervi­ste a scrittori e intellettuali, e una volta sentite ti chiedi subito quali erano le parole della vecchia sini­stra. Nel senso che Pasolini ri­spetto a questi sembra un mix tra Steve Jobs e Michael Jackson.
Gli ultimi a dire la loro sono sta­ti i Wu Ming, che si chiamano an­cora WM1, WM2, WM3, che cari­ni. Qui siamo ancora alla carta d’identità da neorealismo post­bellico: «Siamo figli di metalmec­canici», anzitutto. Cioè la dichiarazione standard necessaria per pubblicare con Einaudi dagli an­ni Cinquanta in poi, infatti Gui­do Morselli è morto inedito e per leggere Nietzsche hanno dovuto fondare l’Adelphi. Inoltre saran­no pure intellettuali, ma il concet­to gira e rigira è quello secondo cui la sinistra sta con i poveri e la destra con i ricchi, e se così fosse significa che mezza Italia è ricca.
Comunque ci sono strepitose metafore moderne, per dirne una di WM1: «il concetto di sini­stra è come un file zippato. Lo de­comprimi e esce una storia con le sue prassi. Ma come tutti i file decompressi ti ritrovi un docu­mento semplificato, ci sono parti rimosse, altre impoverite». Vogliono farti credere che se dico­no cazzate è colpa di Winzip. Op­pure deduci che anche il compu­ter di sinistra deve essere uno scassone IBM del 1978, se si faces­sero un Mac book Pro quando de­comprimi un file si legge tutto. Tra l’altro i WM1, 2 e 3 eccetera potrebbero almeno trovare il mo­do di non pubblicare tutti i libri per Berlusconi perché li paga di più. E perché, come ha dichiara­to sempre il signor WM1, dall’Ei­naudi di Berlusconi non hanno mai avuto censure, quindi Berlu­sconi è più di sinistra e di sicuro più liberale di loro.
Non è che vada meglio con Marco Revelli, ex Lotta Continua e adesso portatore di una nuova, grande idea di sinistra: «bisogna far sentire lo scandalo della diseguaglianza sociale». Ma dài, non si era mai sentita. E ovviamente Revelli vanta un padre partigia­no, ci mancherebbe. Una volta il maestro disse in classe al piccolo Revelli che i partigiani rubavano le mucche e il padre Nuto gli dis­se di portargli il Libro dei condan­nati a morte della Resistenza, un aneddoto edificante, mi è venuto quasi da piangere. Tuttavia Re­velli, a differenza degli altri, alter­na momenti di lucidità, deve ave­re un decompressore migliore dei Wu Ming. A un certo punto riflette: «La mia generazione ha completamente fallito. Rappre­sentiamo nella politica un enor­me buco nero». Su questo non ci sono dubbi.
In ogni caso il bello della sini­stra intellettuale della gauche Re­pubblica è che si accontenta di poco. Un’eroina è Michela Mur­gia (intervistata da Concita De Gregorio, un binomio da paura) una specie di Giovanna D’Arco che scrive «per fare politica» (ma chi in Italia non scrive per fare po­litica?) mentre prega la Madon­na­ perché ha avuto un’educazio­ne cattolica, ce le ha tutte. Inoltre è sarda, e i sardi sono di moda, og­gi basta essere sardi per essere un po’ di sinistra, c’è tutta una lob­by di sardi che presentano scritto­ri sardi e poi vengono invitati da Geppy Cucciari, e se non è la Mur­gia c’è Soriga o la sorella di Soriga che racconta la resistenza. La Murgia ci informa che in Sardegna c’è ancora la tradizione ora­le, e lei scrive per portare la voce della gente, un genio. Insomma come fa Barbara D’urso con mez­zi migliori. Sebbene la Murgia, a differenza della D’Urso, lotti con­tro «la dittatura del mercato», e soprattutto contro Berlusconi, il quale «è stato in questi anni l’otti­mismo fasullo». Mica come loro che sono la tristezza vera. Inutile precisare come anche la suddet­ta Murgia (come quasi tutti gli en­gagé di Repubblica, da Scalfari a Rampini) sia pubblicata da Berlusconi, al quale qualche colpa dovremmo pure attribuire, se li potrebbe pure prendere la Feltri­nelli questi qui.
Almeno Stefano Rodotà si fa una domanda fondamentale al­l’inizio dell’intervista: «Perché mi applaudono nelle piazze e nei teatri?». In effetti è un mistero. Forse perché, come sostiene l’al­tro Stefano intellettuale di sini­stra, Stefano Benni, bisogna ave­re grandi esempi da seguire. Niente da eccepire, e pensi a Mar­cel Proust, che mentre c’era la guerra mondiale scriveva la Re­cherche.
Oppure a Shakespeare, a Cervantes, a Flaubert, a Bernhard, a Beckett, a Leopardi. In­vece i grandi esempi di Benni so­no questi tre: Valentino Parlato, Rossana Rossanda e Luigi Pin­tor. Di conseguenza ti viene spontaneo chiederti chi siano i piccoli esempi, forse la suocera casalinga marxista, o il cognato operaio, sicuramente i nonni, che quando Benni bambino an­dav­a in montagna gli raccontava­no le storie partigiane.
Morale della favola: hanno fat­to più danni i nonni che il Mincul­pop o il Dipartimento Scuola Educazione della Rai. Una volta l’ho sentito dire perfino da Alba Parietti: «Sono di sinistra perché ho avuto nonni partigiani». Tra l’altro mai un nonno che abbia raccontato a questi nipotini così ricettivi il patto Molotov-Ribben­trop, per spiegargli come non fa­cevano la resistenza i partigiani prima che Hitler cambiasse idea su Stalin. Con la differenza che Al­ba appare la più moderna di tutti per non aver fatto la Resistenza al silicone, mi domando perché non la intervistino.