Andrea Scanzi, Il Fatto Quotidiano 15/8/2013, 15 agosto 2013
DA GUCCINI AD “AMICI” LA TRAGICA HIT PARADE DEL PD
Sarà la musica che gira intorno, o sarà che il Pd gira spesso a vuoto, ma un bel giorno la sinistra è passata da Guccini a Moreno. No, non il ventriloquo José Luis, quello del corvo antropomorfo Rockfeller. E neanche Byron, l’arbitro con l’espressione da Gasparri che sbagliò troppo in Italia-Corea del Sud ai Mondiali 2002. Il Moreno a cui il Partito Democratico si affida, donandogli persino l’onore di chiudere la Festa Nazionale de l’Unità in programma a Genova, è Moreno Donadoni. In arte solo Moreno. Rapper. Buon talento. Enfant du pays e di partito, è nato a Genova nel 1989. A giugno ha vinto la dodicesima edizione di Amici. Moreno suonerà sabato 7 settembre. Non avrà un compito facile, perché prima di lui avrà luogo la sfavillante intervista con il caro leader Epifani. Moreno ha da poco inciso il vendutissimo Stecca, collaborazione e produzione di Fabri Fibra. Ha poi lavorato con Paola e Chiara, note intellettuali di impronta kantiana. A prima vista, Moreno non c’entra molto con la Festa de l’Unità. Errore. C’è almeno un rimando politico preciso. Perché Bersani scelse Un senso di Vasco Rossi come inno della sua gloriosa cavalcata verso il disastro? Non per la bellezza del brano, ma per la precisione di una strofa: “Voglio trovare un senso a questa storia anche se questa storia un senso non ce l’ha”. Bersani, giustamente, ci si specchiò. Per Moreno è accaduto qualcosa di analogo: il primo singolo del nuovo disco si intitola Che confusione, e il Pd non poteva non cogliere il riferimento neanche troppo subliminale alla linea politica tenuta dal partito. Pare anzi che i dirigenti, nonostante il forte parere contrario di D’Alema, abbiano contattato anche Tiziano Ferro. Erano tutti affascinati dalla forza profetica del vecchio hit Rosso relativo, ma Ferro non ha accettato. Criticare a prescindere chi viene dai talent è una vecchia forma di snobismo. La scelta di Moreno ha qualcosa di coraggioso, perché i cantautori di oggi sono proprio i rapper, più abili nel raccontare la quotidianità dei giovani. La mossa Moreno è poi chiaramente renziana: così come Renzi(e) si era vestito da Fonzi(e) da Maria De Filippi per dialogare con il nemico, il Pd apre ora le porte a quei contenitori catodici che fino a ieri riteneva pressoché destrorsi.
La colonna sonora del maggiore partito di (centro)sinistra italiana, nei decenni, è cambiata. Non poco. Nel 1996 c’era La canzone popolare di Fossati, brano che Cuperlo vorrebbe recuperare (povero Ivano). Con Veltroni venne il tempo di Mi fido di te, ovvero il buonismo jovanottiano e l’annacquamento. Quindi il Vasco di Bersani. E infine il mantra aurea “Lo smacchiamo” in salsa Queen, che ha notoriamente portato fortuna immensa, al punto che a Genova non sarebbe parsa fuoriluogo una sontuosa Dj Session con Chiara Geloni alla consolle e Francesco Boccia allo xilofono lettiano. Il rapper Moreno è quel che è rimasto di una tradizione cantautorale che se n’è andata, o non canta più, o vota ormai altrove. Nei Settanta c’erano i cantautori militanti, che assurgevano al rango di profeti: se anche solo osavano suonare alla Bussola, duettare con la Pfm o criticare il Pci, ricevevano proteste tremende. Accadde a De Andrè, a Gaber. E a Francesco De Gregori, addirittura processato nel ’76 dagli autonomi, che evidentemente intuirono anzitempo la tenera sbornia montiano-riformista del Principe. Alle Feste de l’Unità ci trovavi i più bravi, da Guccini ai Clash. Negli Ottanta arriva il riflusso, ma la Festa de l’Unità resta però quasi sacra. Una sorta di ultimo avamposto della buona musica. Nei Novanta arrivano i Pink Floyd, benché senza Roger Waters. Chi accetta di cantare in feste di destra, come Edoardo Bennato, uno che nei Settanta scriveva invettive meravigliosamente durissime, è scomunicato dalla intellighenzia. Oggi, di tutto quel fermento, è rimasto poco. La musica che gira intorno al Pd si è adattata al Pd. E dunque, a suo modo coerentemente, non gira quasi più.