Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  agosto 15 Giovedì calendario

RIVERA, I SUOI PRIMI SETTANT’ANNI

Gianni Rivera, domenica saranno 70 anni: fanno effetto?
«Quando sei lontano sembra un traguardo particolare invece si sale un gradino alla volta e ci si abitua all’idea»

C’è un’età in cui una persona fa un bilancio, è già arrivata?
«Spero di conservare la lucidità necessaria per tirare le somme finali quando sarà il mio momento. Di bilanci parziali ne ho fatti tanti che ora ci vorrebbe un consolidato...».

Quando ha smesso, se l’ha fatto, di sentirsi ex calciatore?
«Calciatore lo si è sempre. Se giocando hai certi valori, il rispetto per l’avversario e l’impegno, te li porti dietro per sempre».

Il film della sua vita: quali parti taglia?
«Ce ne sono, ma sarebbe un’esistenza troppo perfetta senza le cose negative. E la perfezione non è di questo mondo».

Il podio delle persone più importanti di questi 70 anni?
«A parte i genitori che ti danno la vita e la moglie che ti scegli, ci sono Cornara e Pedroni che mi hanno insegnato a giocare ai tempi dell’Alessandria, poi Rocco e Liedholm».

Motivazioni?
«Mi capivano senza dirmi troppe cose. Liedholm sembrava freddo all’apparenza, ma dentro era molto simile a Rocco».

Li racconti.
«Rocco ti coinvolgeva molto sul piano personale, facevo parte della sua famiglia. Liedholm puntava soprattutto a migliorare tecnicamente i giocatori, proprio quello che piaceva a me: lo faceva con i giovani e con i meno giovani. E poi aggiungo...».

Prego.
«Padre Eligio per tutto quello che mi ha lasciato, una religiosità e uno spirito con cui poi ho affrontato la vita».

Allora fece molto scalpore quel rapporto?
«Perché i giornalisti non capirono nulla. Diffidenti, ironizzavano. Uno di loro mi rivelò di non voler nemmeno conoscere Padre Eligio perché temeva di dover cambiare idea su di lui».

Lei disse: «Non sono mai stato un calciatore, ho sempre giocato a pallone». Perché la distinzione?
«Il problema è che troppe volte si generalizza il concetto di calciatore: non eravamo, non siamo tutti uguali. Nel bene e soprattutto nel male. Per questo ho sempre preferito dire che io giocavo a pallone».

Oggi intorno al calcio c’è molta melassa, lei e Gianni Brera di cosa discutereste?
«La melassa arriva dai troppi soldi checircolano, così tanti che nessuno ha voglia di uscire dal coro. Io e Brera? Di aspetti tattici ce ne sarebbero eccome con tutti questi moduli. Allora si marcava a uomo e ci si divideva tra chi esaltava il contropiede come Brera e chi invece come noi sosteneva si potesse anche giocare nella metà campo avversaria. Ma oggi Brera non farebbe il giornalista sportivo: inventò un genere e ora non c’è più niente da inventare».

Quanto calcio vede?
«Solo quando sono in casa. E sto poco in casa. Seguo il Milan e la Nazionale».

Che cosa la diverte?
«Il Barcellona e il Brasile. E qualche sprazzo di campionato italiano».

La partita che le sarebbe piaciuto giocare?
«La finale mondiale con il Brasile nel ’70 . Non lo erano, ma ammesso che le critiche su di me fossero fondate, quella era proprio la mia partita. Tecnica e su ritmi non alti. E invece andò diversamente...».

Baratterebbe il gol del 4-3 alla Germania con quella finale?
«E come faccio? Senza quel gol non saremmo andati in finale».

Avrebbe potuto farlo un altro?
«No, potevo segnarlo solo io».

Il Milan è ancora una ferita o non ci ha fa più caso?
«Ho smesso di pensarci subito. Quando uno viene messo alla porta dalla propria azienda può fare causa, ma io non avrei mai fatto una cosa simile al Milan. Mi sarebbe spiaciuto di più lasciarlo da giocatore».

Come andò tra lei e Berlusconi?
«Zero possibilità di dialogo. Stava prendendo piede una cultura che non mi apparteneva».

Paolo Maldini farà la sua fine?
«Dovreste chiederglielo. Mi spiacerebbe se accadesse anche a lui. Solo, gli dico di rimanere sempre se stesso».

Oggi Rivera giocherebbe all’estero?
«No, in Italia».

Si stava meglio quando si stava peggio o ai suoi tempi si stava meglio e basta?
«Nel calcio si sta sempre bene. Se lo vivi con serietà e intelligenza».

Balotelli figlio dell’epoca o c’era un Balotelli anche allora?
«Ci sono sempre stati giocatori di qualità che poi camminando nella vita si sono persi per strada».

Balotelli rischia questa fine?
«Lo conosco troppo superficialmente».

In quale giocatore vede lo spirito dei suoi anni?
«Dovrei essere negli spogliatoi, come faccio a dirlo?».

Il calciatore di oggi è più o meno intelligente rispetto a ieri?
«Non è questione di oggi o ieri. È l’educazione che ricevi in famiglia e a scuola che fa la differenza».

Emozioni e vittorie: le metta in fila?
«C’è una sola partita, è durata vent’anni. Quelli passati giocando a pallone».

Ha frequentato calcio e politica: dove si sta meglio?
«Il calcio è migliore di tanti altri ambienti. La politica dà più problematiche che utilità, vive sul mors tua vita mea. In più nemmeno ci si diverte come nel pallone».

Il compagno di viaggio ideale di questi 70 anni?
«Padre Eligio».

Organizzi una tavolata immaginaria per il compleanno: chi invita?
«Dovrebbe essere lunghissima. Ho avuto tanti amici, ma anche i conoscenti erano di buon livello».

Cosa farà nei prossimi 70 anni?
«Vado avanti fino a che gambe e testa reggono»