Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  agosto 15 Giovedì calendario

ABATANTUONO: QUEGLI SVARIONI NATI AL DERBY CON JANNACCI

Lui era il più piccolo, aveva solo 16 anni, ma sapeva ascoltare, assimilare, e, soprattutto, far ridere: «Sono figlio unico, e non ho mai amato stare da solo, per me la compagnia è sempre stata fondamentale, quando non ce l’ho avuta, l’ho cercata». Dove? Al «Derby» di Milano, «il posto più importante della mia vita», locale storico, fucina di talenti, frequentato con pervicace assiduità, come se fosse una scuola, con corsi tenuti da maestri impareggiabili come i «Gatti di Vicolo Miracoli»: «Con loro, sul palco, si avvicendavano Jannacci, Andreasi, Bindi, Gaber, Cochi e Renato, ma la cosa più bella era la clientela. Un pubblico di gente incredibile, balordi internazionali, frequentatori del mondo delle corse, persone spesso molto più interessanti di quelle che si esibivano. Non si capiva bene perchè, ma stavano sempre lì, come se non avessero una casa loro dove andare a dormire». C’erano l’Orvati, e Mario Valera «che aveva un picchetto di cavalli», e «il Bistecca»: «Non ho mai saputo la ragione di quel nomignolo, ma ricordo che la sua passione era il risotto con i funghi e che è morto ammazzato da funghi avvelenati».
Spesso la vita sa essere grottesca. Può succedere che un ragazzino impari a parlar bene in un cabaret invece che in classe: «La mia pseudo-cultura me la sono fatta lì, stavo a sentire, attento. Dalla bocca mi uscivano svarioni, per esempio “trinceando” invece di “trincerando”, me li facevano notare, e, se a correggerti è un amico, poi non sbagli più». Il buffo è che proprio sulla distorsione del linguaggio, sugli errori (ed orrori) di un dialetto meridionale contaminato dall’emigrazione al Nord, Diego Abatantuono abbia costruito, con Eccezzziunale veramente , il primo, grande successo della sua carriera: «Quel pugliese lì lo parlavo per gioco ogni giorno, da quando vedevo gli amici, più o meno alle tre del pomeriggio. Era un continuo, una linea ininterrotta che partiva da loro, passava dal palcoscenico e poi arrivava al pubblico. Facevo tesoro di quello che vedevo e sentivo, mi tornano in mente certi dialoghi tra Jannacci e mio zio Gianni Bongiovanni, che veniva da una famiglia di ristoratori e aveva creato l’”Intra Derby Club”. Per capirli ci voleva il traduttore».
L’altra università era il cinema, passione coltivata in gruppo, dal momento in cui si sceglieva il film «stendendo il giornale aperto sopra il flipper» a quello in cui, dopo la proiezione, si restava a di«anagrammare i nomi. Per esempio Fabio diventava Biofa, e così per tutti gli altri».
La giornata cominciava a mezzogiorno: «Percorrevo sempre la stessa strada, vivevo al Giambellino, mi svegliavo poco prima dell’ora di pranzo e mangiavo con i miei genitori. Poi uscivo, passavo dal giornalaio per comprare Diabolik e facevo la strada da Piazza Cordusio a San Babila, per poi arrivare a Piazzale Loreto». A quel punto, con i «Gatti», partiva il «cazzeggio»: «Si parlava di politica. A Roma, a quei tempi, c’era il “Bagaglino” che era di destra, mentre noi del “Derby” eravamo di sinistra. Le donne erano fuori, amanti, fidanzate, l’amicizia vera era tra maschi. Capitava anche di litigare, perchè essere amici vuol dire che si può discutere e poi tornare come prima».
A furia di scherzi e di confronti, Diego, il più giovane della banda, stava crescendo : «Cominciai a fare il presentatore. La prassi voleva che al centro dello spettacolo ci fossero i nomi già celebri e che invece i primi e gli ultimi fossero gli sconosciuti, gli esordienti tra cui c’era una gran rivalità. La mia tecnica consisteva nel dilatare al massimo il tempo dell’introduzione, la facevo durare un’ora, e così la fine». Fu in questo modo che, sotto gli occhi di Umberto Smaila, Ninì Salerno, Jerry Calà, Gianandrea Gazzola, l’ex-allievo Abatantuono diventò attore: «Una sera venne Renzo Arbore, stava preparando un suo spettacolo, mi guardò per un po’ e poi chiese chi fossi. C’era mia madre, lo osservò stupita, e gli rispose “chi? Quel deficiente lì?”. Da quel momento, nell’arco di un anno, è cambiato tutto. Mi hanno chiamato per Il Pap’occhio , ho iniziato a fare tante partecipazioni, con Villaggio per Fantozzi, poi è stata la volta dei Fichissimi e di Eccezziunale veramente . Avevo 25 anni».
Da allora ci sono stati, nella vita di Diego Abatantuono, tanti altri gruppi, spesso legati alle esperienze cinematografiche: «Penso ai fratelli Avati, all’epoca in cui frequentavo Giovanni Veronesi, e, naturalmente, a quella con Gabriele Salvatores». Un’era, quest’ultima, segnata da un film, Mediterraneo, che ha attraversato l’oceano ed è piaciuto tanto da vincere un Oscar: «Tra una pellicola che prende un premio e una che ha non se la fila nessuno io non faccio differenze. Gli amici restano quelli di una volta». E la nostalgia che, a un certo punto arriva, puntuale, come il morbillo da bambini , riguarda soprattutto loro: «Gli anni del “Derby” sono stati magici, per me è come se fossi nato a Liverpool nell’epoca in cui nascevano i “Beatles”. Ripensandoci, adesso, provo un sentimento strano, in cui si mescola tutto. Non so se il rimpianto è più per le persone o per l’età andata via per sempre». Forse anche per capirci qualcosa, rivedendo, come in un sogno, i volti più cari, Abatantuono ha scritto un libro, Ladri di cotolette (Mondadori), che uscirà alla fine di ottobre: «Mi sono divertito a immaginare le cose più curiose. Che so, un dialogo tra Umberto Eco e Massimo Troisi, Giorgio Faletti che pensa al nuovo romanzo mentre raccoglie l’insalata, il mio socio-fratello-produttore Maurizio Totti...». Un sacco di gente: «Sì, per me la canzone dei “4 amici al bar”, andrebbe cambiata, gli amici dovrebbero diventare perlomeno 40».