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 2013  agosto 15 Giovedì calendario

MORAVIA: «VOGLIO CELEBRALE LA GIOVENTU’ FASCISTA IN GUERRA»

«Chissà che grande libro ne sarebbe mai uscito, magari un Per chi suona la campana italiano», dice Renzo Paris mentre esce la terza edizione della sua celebre biografia di Alberto Moravia, Una vita controvoglia (questa volta edita da Castelvecchi, in libreria a fine mese). Si riferisce naturalmente alla discussa lettera che lo scrittore, reduce dal successo degli Indifferenti , dandy più che annoiato perplesso ed instancabile esploratore delle derive sessuali nell’Italia fascista e nell’Europa fra bohème e alta società, scrisse a Galeazzo Ciano l’8 agosto del ’35, mentre il manoscritto del suo secondo romanzo, Le ambizioni sbagliate , consegnato a Mondadori da qualche tempo, era bloccato dalla censura.

Moravia chiedeva di andare in Africa, alla «guerra africana», ma non da corrispondente di un giornale: voleva passare «qualche mese sull’altopiano eritreo», per ricavarne «un libro organico il quale potesse poi rimanere come documento e testimonianza dell’eroismo della gioventù fascista in guerra». Una parte era già nota: venne pubblicata per stralci anni fa, e ripresa integralmente proprio da Renzo Paris nel suo romanzo autobiografico Cattivi soggetti . Ora lo scrittore oltre a darne la versione integrale fa il punto su tutte le lettere (anche a quelle a Mussolini) che vedono un Moravia alle prese col regime, preoccupato soprattutto di poter continuare a lavorare.

Gli indifferenti era stato stampato - a pagamento - dalla casa editrice Alpes, di proprietà di Arnaldo Mussolini, e aveva ottenuto recensioni anche molto favorevoli proprio su giornali fascisti. Il giovane scrittore era imparentato con Augusto De Marsanich, deputato mussoliniano (e dopo la guerra segretario dell’Msi), ma anche coi fratelli Rosselli. Inoltre era ebreo per parte di padre. Una situazione sul filo del rasoio, che gli valeva forti attenzioni da parte della polizia segreta. La lettera fu forse un modo - ingenuo - per sbarazzarsi di questa cappa di sospetto. Era piuttosto servile («Eccellenza, mi permetta di congratularmi con Lei per l’esempio che Lei dà a tutti gli scrittori e a tutta la gioventù italiana») e per certi aspetti tanto ingenua da apparire beffarda.

«Sono stato riformato al servizio di leva per l’anchilosi all’anca destra e non mi è stato possibile perciò di arruolarmi volontario, come avrei voluto...», scrive citando un fatto vero, e cioè la tubercolosi ossea che lo aveva colpito adolescente, e uno totalmente immaginario, come il desiderio di arruolarsi, che era lontanissimo dai suoi propositi. Dice tuttavia qualcosa di vero, che anticipa la sua grande passione per l’Africa. Questa, almeno, è la lettura di Paris, che riguardando al complesso delle lettere destinate a Ciano, e anche a quelle per Mussolini, vede un Moravia attento soprattutto a tutelarsi come scrittore. E accosta un passo rivelatore del romanzo I due amici (incompiuto, cui lavorò nel ’52, pubblicato postumo e che consiste di tre corposi frammenti provenienti dal Fondo Moravia, con materiali confluiti in parte ne Il Disprezzo , uscito nel ’54). Qui uno dei protagonisti riflette sulla propria condizione: «sebbene odiasse il fascismo, gli pareva di averlo nel sangue... come una specie di torpore».

Resta quello strano sogno africano, sebbene vestito di una farsesca camicia nera, che non ebbe seguito, anzi peggiorò la situazione. Per tutta risposta infatti Ciano ordinò di indagare sull’ambiente della rivista Carattere , alla quale Moravia collaborava (e dove c’erano Mario Pannunzio, Mario Soldati, Luigi Bartolini, Paolo Milano e altri). Venne fuori che erano in rapporto con «alcuni fuorusciti antifascisti», e cioè i fratelli Rosselli. E resta un piccolo segreto, in una vita di cui sembra di conoscere ormai tutto. Ad essa sono stati dedicati innumerevoli libri, dal Moravia desnudo di Sergio Saviane alla biografia di Enzo Siciliano a quella di Alain Elkann, innumerevoli testimonianze (basti pensare a Il bambino Alberto di Dacia Maraini, o alle lettere pubblicate da Camen Llera).

Prodigo di interviste, di confessioni e di chiacchiere, lo scrittore ha lasciato dietro di sé un vero labirinto, dove non è facile mettere ordine. E dove manca pur sempre qualcosa. Paris, nella sua esplorazione che dura ormai da molti anni, ha scoperto per esempio che non tutto è stato detto del tumultuoso rapporto - e del lungo matrimonio - con Elsa Morante. Dalla raccolta delle lettere di - e a - Elsa Morante curate dal nipote Daniele attingendo a un archivio sterminato, e pubblicate l’anno scorso per Einaudi col titolo L’amata , ne mancano parecchie, non perché non siano interessanti. Ma perché gli eredi le hanno giudicate impubblicabili. Paris ne evoca alcune, risalenti al periodo in cui abitava in via del Corso, finalmente da sola, ventenne, bellissima e come ricordò Moravia «moriva letteralmente di fame».

Erano indirizzate a un’amica, secondo Paris «forse la signora Rosati, moglie del musicista di Ossessione » e cioè di Giuseppe Rosati, regista e compositore: lettere di amore e passione sensuale. «Ne ho vista una, presso un’italianista di Roma racconta -. Ma anche a lei era stato intimato di non farne niente». La caccia continua.